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Cinque giorni di trattative per riportare Draghi a Palazzo Chigi. Serve il sì di Salvini

Lo strappo, alla fine, si è consumato. Dopo l’abbandono dell’aula e il non-voto al ddl Aiuti da parte del MoVimento 5 Stelle, ieri Mario Draghi si è prima recato al Colle e poi si è dimesso da Presidente del Consiglio. Draghi ha dichiarato. “Le votazioni di oggi in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo”. Mattarella, trattandosi di una crisi extraparlamentare, sia pure originata da un voto parlamentare, ha deciso di rifiutare le dimissioni del Presidente del Consiglio e di rinviarlo alle Camere per la giornata di mercoledì per la verifica del rapporto fiduciario con il parlamento. 

Molti retroscenisti politici, ieri, hanno sottolineato una diversa veduta fra il Colle e Palazzo Chigi: con Mattarella impegnato a far restare Draghi nella sua postazione, soprattutto in un momento così complesso e denso di scadenze, e Draghi pronto a lasciare tutto. Le posizioni, però, come riportano oggi i giornali non sarebbero così granitiche. Le dimissioni di Draghi, secondo Repubblica, potrebbero essere non irrevocabili. Mario Draghi, allora, può ancora convincersi di restare a Palazzo Chigi? La risposta, filtrata informalmente da Chigi, è affermativa: sì. Ora si sono cinque giorni per ricompattare la maggioranza e per porre delle solide basi per continuare il lavoro, senza strappi e pressioni, fino alla fine della legislatura. 

I partiti della maggioranza potrebbero chiedere il bis a Draghi. I due partiti che l’hanno già fatto sono due: il Partito Democratico e Italia Viva. Anche Forza Italia è intenzionata, come è sulla stessa strada – incredibilmente, dopo aver aperto la crisi – il M5S. La senatrice Castellone, ieri protagonista del voto in aula, ha dichiarato che i grillini sono pronti a dare la fiducia a Draghi.

L’ultimo tassello di questo mosaico, oltre a Giorgia Meloni che già ieri ha chiesto dimissioni ed elezioni anticipate subito, è la Lega. Il partito più complesso e più diviso: da una parte i governisti, con Giorgetti che parla di “tempi supplementari” per il governo Draghi, e dall’altra Matteo Salvini, voglioso di tornare alle urne per capitalizzare il risultato favorevole al centro-destra con Meloni vincente. 

Mattarella è stato chiaro: o si troverà l’accordo oppure si andrà al voto. Attualmente, però, in pochi sono realmente desiderosi di andare al voto. A partire dall’ex campo largo di Letta e Conte, che potrebbe frantumarsi in mille pezzi se il governo cadesse davvero. Draghi, dunque, potrebbe essere ancora la figura giusta per allontanare – di qualche mese – lo spettro delle urne. 

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