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C’è chi si stupisce del successo della serie sugli 883, il segreto di Hanno ucciso l’uomo ragno

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C’è chi si stupisce del successo della serie sugli 883, ma a ben vedere non c’è nulla di sorprendente. Non è solo un buon prodotto, no. È un richiamo profondo a quella stagione della vita in cui tutto era ancora da scrivere.

E le canzoni degli 883, quelle, non cantavano solo di noi, ma per noi. Erano il sottofondo dei nostri giorni, delle nostre sere, dei nostri anni in motorino. Parlavano dei nostri amici, dei nostri amori, di chi eravamo e di chi, forse, saremmo diventati.

C’è una magia nell’amicizia tra Max e Mauro, quell’alchimia rara che ci riporta dritti in un’aula di liceo, un banco qualunque a Pavia. Un incontro casuale, una stretta di mano, e da lì, tutto il resto. Le notti in macchina a vagare senza meta, alla ricerca di qualcosa che non sapevamo nemmeno di volere. Gli anni delle immense compagnie, delle risate infinite, delle promesse fatte sotto il cielo, e di quella strana sensazione che, alla fine, sarebbe andato tutto bene. Anche quando non andava affatto bene.

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Ecco perché questa serie ci parla. Perché ci riporta indietro, a un’epoca in cui la lealtà, l’amicizia, erano il terreno su cui camminavamo con la sicurezza di chi non ha paura di cadere. Ci gettiamo a capofitto in quei ricordi, con il cuore che batte forte, come quando eravamo ragazzini e tutto sembrava un film. Guardiamo gli episodi e per un attimo ci dimentichiamo di quella guerra quotidiana con la razionalità, e ci lasciamo cullare dal ricordo di una notte d’estate, quando il vento o una voce lontana sembravano avere tutte le risposte.

883

Poi, certo, arrivano anche le ombre. Quei momenti in cui pensiamo a chi se n’è andato, a chi ha fatto parte della nostra storia solo per poi svanire, lasciando una traccia sbiadita ma indelebile. Ma anche questo fa parte della dura legge del gol, la regola non scritta che abbiamo imparato a rispettare, così come la regola dell’amico.

E quando, un giorno, ci fermeremo e qualcuno ci chiederà perché amiamo tanto quegli anni, risponderemo: perché ci hanno insegnato tanto. E ci ricorderemo di ogni istante, di ogni sorriso, di ogni abbraccio.

Grazie, Max. Grazie, Mauro. Grazie per averci fatto sentire meno soli, per averci dato una colonna sonora a cui aggrapparci.

Grazie mille, davvero.

Pensieri di Marco Voleri

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