Mamma, li turchi! Il 16 agosto 1620, il giorno dell’apocalisse manfredoniana

Mamma, li turchi! Il 16 agosto 1620, il giorno dell’apocalisse manfredoniana
Era il 16 agosto del 1620 quando lo sguardo dei sipontini venne catturato dalla presenza in mare di circa 55 galee all’orizzonte a vele spiegate, una dietro l’altra. A quell’epoca erano gli spagnoli a reggere la città ed il governatore Don Fernando de Velasco inviò tre uomini a cavallo a Chianca-Masjille (Chianca Masitto) per accertare che la flotta che stava sbarcando appartenesse, come si pensava, ai veneziani. Ma quando le galee approdarono, i tre uomini di Don Fernando capirono subito che qualcosa di tremendo stava per accadere.
Uno dei tre, galoppando all’impazzata, ritornò a Manfredonia e alle porte della città iniziò a gridare con tutto il fiato che aveva in corpo: “Turchi! Turchi!”.
Migliaia di soldati ottomani riversarono ovunque la loro ferocia inumana: i bambini che trovavano dinanzi venivano lanciati contro i muri, le donne stuprate e quelle che si opponevano ammazzate e appese con le parti intime in vista, gli anziani impiccati alle travi. Nell’arco di tre terribili giornate i turchi si impadronirono di Manfredonia e al grido di “Uè – Uè”, depredarono e incendiarono le chiese, i conventi e i palazzi. Rasero completamente al suolo la cattedrale gotica, la più bella di Puglia, dandola alle fiamme, e bruciarono il corpo di San Lorenzo Majorano (di cui si salverà solo un pezzo del braccio ancora oggi conservata nell’attuale cattedrale).
Quando finalmente da Foggia arrivarono i rinforzi, le ostilità cessarono e iniziarono le trattative. Il governatore di Manfredonia, Don Fernando, cedette il castello al capo dei turchi, Alì Pascià, in cambio della salvezza della sua pelle e di quella della sua famiglia. Ma i sipontini scoprirono l’inganno e intimarono allo spagnolo: “o tutti liberi o tutti a sangue e fuoco”. Un secondo messo, questa volta sipontino, il gentiluomo Antonio De Nicastro, ritornò dal comandante della flotta turca per “trattare il bene comune”. Si giunse così ad una seconda trattativa che si concluse “con la libertà di tutti”.
Lo spettacolo che si presentava agli scampati era tremendo ed i sipontini superstiti piangevano disperatamente vedendo bruciare le loro case, le piazze desolate e l’icona della Madonna di Siponto “diruta e diluta”. I turchi lasciarono ruderi e fiamme e la devastazione prese il posto di ciò che solo fino al giorno prima era una delle più belle e floride città dell’Adriatico.
Dopo tre giorni d’inferno, Alì Pascià al comando della sua flotta spiegò le vele per tornare a Costantinopoli. Sulle navi turche c’erano almeno un centinaio di donne e uomini sipontini fatti schiavi; e c’era anche una bambina bellissima, rapita dal convento di Santa Chiara dove le monache fuggendo l’avevano lasciata ancora dormendo nel suo letto. La bambina si chiamava Giacometta Beccarini e diventò la moglie preferita del sultano…
Maria Teresa Valente