La cucina della Daunia, regina delle erbe

LA CUCINA DELLA DAUNIA REGINA DELLE ERBE
Di Aldo Caroleo
Voglio proporre questo eccezionale contributo del prof.Renzo Scariello, dell’ ”Accademia Italiana della Cucina” per tenere sempre viva questa grandissima cultura popolare di straordiaria valenza. Personalmente ho fatto una ricerca sulle preparazioni ,non solo di questi piatti detti “poveri” ma di una immensa ricchezza,ma di tantissimi altri E l’ho fatto sul “campo” intervistando ,per anni, donne e uomini anziani delle masserie, dei borghi,ecc. e ne ho fatto una collezione sui metodi del cucinare saggio.
Ne è venuto fuori un caleidoscopio di storico culturale ,ritengo, di notevole interesse..
Conto di proporre in una mostra questa raccolta di ricette a beneficio ,specie delle giovani madri per far conoscere i sapori veri della di Puglia ai bambini fin dalla loro prima infanzia.Personalmente, dopo averle sperimentate con i miei figli, lo sto facendo con i miei nipoti che ne vanno entusiasti. Ma anche delle scuole che dovrebbero porre piu’ attenzione alle tradizioni e alla cultura in genere del territorio.
Parole come Pesca, Transumanza, cucina popolare, tutela del paesaggio Dialetto,, oltre alla conoscenza del territorio, dovrebbero essere inserite nei programmi scolastici di tutte le scuole della Daunia.
Ecco il contributo del dott. Renzo Scariello tratto da una suo intervento ad un convegno nazionale sulla cucina delle tradizoni popolari , regionali, italiane.
“Sarà anche vero che la Capitanata non può vantare una cucina originale, essendo stata esposta , per ragioni politiche storico geografiche e socio-economiche, ai forti influssi della cucina napoletana in primis, e poi, come terra d transumanza, di quella abruzzese e molisana, ma anche da certe ascendenze murgiane e lucane.
Di certo non se ne può negare una fondamentale specificità, perché in nessuna altra cucina, non solo in Italia, ma forse nel mondo intero, è dato reperire un uso così esorbitante di erbe, sia spontanee che coltivate.
Per rendersene conto, del resto, basta visitare i tanti mercatini nei vari paesi, ma quello più famoso , il Mercato di Via Rosati a Foggia , un’istituzione per Foggia ,famoso ormai anche all’estero , un vero e proprio “corridoio verde”, dove,accanto ai prodotti dell’orto, è possibile acquistare verdure selvatiche nella varietà più completa consentita dalle stagioni: asparagi,bietoline,borragine, cardi, cardocelli, cascigni o crespigni,cicorielle, cicorioni,cime amare (Sinapis arvensis), cime dolci (Sinapis alba),finocchietti, marasciuoli,portulaca,rucola, salicornia…
E con queste erbe , singolarmente o nelle loro più disparate combinazioni (la più ricca è quella delle verdure miste , i “ fogghije ammisckate”), o coniugate con verdure coltivate , si condiscono le paste, fresche o secche,, in una rassegna irraggiungibile da qualsiasi altro repertorio gastronomico regionale.
Perché la peculiarità della cucina della Capitanata va vista proprio nella combinazione ideale tra pasta e verdure; e poichè non c’è limite alla variabilità delle combinazioni create dall’estro delle massaie e dei ristoranti, possiamo tranquillamente affermare che quella foggiana è una cucina che, pur onorando la tradizione, è un cantiere aperto, un laboratorio perenne dove non esistono realizzazioni definitive ,ma piuttosto sperimentazioni suscettibili di ulteriori rielaborazioni.
Ne è esempio più clamoroso uno dei piatti più tradizionali , ma anche più vari, il pancotto, cioè il pane condito con le verdure.
Se i veneti possono rivendicare di avere nel loro ricettario una varietà di risotti pari al numero dei giorni dell’anno, i dauni di capitanata possono vantare altrettanti modi di fare il pancotto,anzi infiniti modi,perché le combinazioni degli ingredienti sono sempre mutevoli: solo il pane è fondamentale,, il resto dipende dall’ispirazione della massaia e, ovviamente, dalla disponibilità delle verdure.
C’è chi lo fa con le cicorielle, chi ci aggiunge fagiolini o le zucchine, chi le patate, chi le erbe miste, chi ci mescola il cavolo o la verza, chi le cime di rapa o le cimamarelle, chi i talli di zucca,o, addirittura,la stessa zucca; chi la rucola, chi i finocchietti, chi i legumi, e via dicendo.
Naturalmente le erbe spontanee non vengono utilizzate solo con la pasta, ma anche per farne “ minestre”, anzi, la minestra foggiana per antonomasia è rigorosamente solo a base di verdure, altrimenti è “pasta”.
Si tratta di piatti semplici, leggeri,magari combinati con pomodoro, o patate,o legumi , conditi con l’olio extravergine , talvolta pecorino, e, soprattutto, aromi spontanei o coltivati,come rucola,semi di finocchio,origano,aneto, peperoncino, prezzemolo,sedano,cipolla, aglio, ecc. solo eccezionalmente nella versione “sontuosa”,quella della festa,la minestra viene “maritata” con la carne.
Un piatto foggiano,ma anche in genere pugliese e lucano,la cui fama ha varcato i confini nazionali, è “fave e cicorie”, cioè cicorielle selvatiche lessate , accompagnate da purè di fave : anche qui , tuttavia, è possibile sostituire le cicorie con altre verdure, sia spontanee(ad esempio bietoline di campo,le foglie miste,i marasciuoli, ecc.) , sia coltivate.
Il “primo” foggiano per antonomasia è “orecchiette con le cime di rape”, ma che dire delle altre ingegnose combinazioni che la tradizione contadina ha perpetuato fino ai nostri giorni?
In quale cucina regionale è possibile trovare un piatto come i cavatelli o gli strascinati con i talli di zucca, talli che, anche senza la pasta, cotti con aglio, olio , pomodoro e prezzemolo e serviti con fette di pane casereccio, costituiscono un pasto saporitissimo e al tempo stesso leggerissimo? E che dire dello splendido accostamento alla rucola e alle patate?
Questa sovrabbondanza di erbe spontanee , nella cucina della daunia, è legata alla tradizione o meglio,alla storia stessa della Capitanata,che per secoli è stata terra di pascolo, incolta, di transumanza.
Foggia, nel 1447 , con Alfonso I d’Aragona, divenne la capitale della Transumanza , e vi rimase ben oltre l’abolizione della Dogana,avvenuta nel 1806 con l’occupazione del Regno di Napoli da parte dei Francesi.
Contro gli abusi dell’occupazione di terre da parte dei privati,ci fu il reintegro dei tratturi, e il Regno contrastò ogni possibilità di coltivare il territorio con leggi severissime, impedendo ai cittadini, nei periodi della transumanza,di varcare la cinta muraria.
Quando il Tavoliere, la seconda più estesa pianura d’Italia (4000 km quadrati), era libero da i pascoli, e quindi per quasi tra stagioni dell’anno, offriva una sterminata varietà e abbondanza di verdure selvatiche , di arbusti, di funghi, alla raccolta soprattutto di quei cittadini , o meglio, quei terrazzani (terrazzano , in origine, indicava colui che abitava all’interno della terra cinta da mura) e che erano ai margini della scala sociale perché non legati né alle attività pastorali, né al Tribunale della Dogana, né a professioni,commercio o artigianato ma vivevano appunto della raccolta d questi frutti o di pesca o di caccia.
Ecco perché, sino ad oggi, si è perpetuata questa tradizione della vendita di erbe spontanee , che continuano ad essere utilizzate in cucina, nelle loro più disparate combinazioni . E proprio perché è aperta alla variabilità degli ingredienti e dei oro stessi dosaggi, quella di Capitanata è una delle cucine più disponibili a contrastare l’omologazione del gusto imposta dalle multinazionali alimentari, attraverso quella creatività che oggi è fondamentale per rilanciare il gusto della cucina della tradizione coniugandolo l inevitabile cambiamento del gusto imposto dalla modernità.”
( Renzo Scariello : Accademia Italiana della Cucina) cit.
Aldo Caroleo Archeoclub Siponto in form. A.p.s.