Per celebrare i 90 anni del Manfredonia: gli appellativi delle squadre di calcio

Tra gli improbabili “figuri” che si aggirano nei meandri dell’informazioni giornalistica sportiva della nostra landa (essenzialmente su alcuni social), vi è un novello Elzevirista che discetta, purtroppo, anche in maniera sarcastica, sugli errori altrui.
Il novello prosatore dimentica che tra coloro che si occupano di informare esiste un codice deontologico, una regola non scritta ma consuetudinaria (e nel diritto anglosassone hanno valore di legge) che vieta di evidenziare sviste, omissioni, per non essere a sua volta cassato o perlomeno redarguito od anche sbeffeggiato… (alcune volte i panni è meglio lavarli in casa).Gli Dei sono essenzialmente dei giocatori; giocando, “creano” diceva il poeta Octavio Paz. Per il sociologo Robert Neelly Bellah, «to play very seriously as a way in which men and gods interact; giocare in maniera seria, allo stesso modo con cui gli uomini e le divinità interagiscono».
Il gioco si abbina strutturalmente ai gesti rituali e con le credenze religiose, e cantare le imprese diventa di per se un fatto epico.
Un qualsiasi lirico novelliere ha avuto terreno fertile (mentre osservo la pianura attraversata da pater Padum, nebbiosa e disperata, ancora in piena, tra golene sparite, e rive tracimanti) nel descrivere le imprese di atleti e delle relative squadre usando epiteti (non sono le coscke… ohibò), aggettivi e locuzioni, e pertanto ci sovviene l’idea di descrivere i nomi “affibbiati” alle squadre di calcio per definirle ed evidenziarle, e per scherzarci un po’ sopra.
I Noiani sono quelli del Noicattaro, così i Clivensi ovvero Mussi Volanti (Asini) sono i calciatori della squadra del Chievo. Nella Longobardia Ulteriore o nella Serenissima Repubblica, la macellazione della carne equina fu dovuta all’utilizzo delle macchine agricole al lavoro e di questi animali vi era abbondanza. Ma nelle trattorie tipiche è consigliabile invero, il bollito con la pearà, i bigoli con le sarde, o la polenta con monteveronese e soppressa, accompagnati da un calice di Valpolicella Ripasso superiore.
I Veronesi si chiamano scaligeri (Cangrande della Scala signore di Verona), e si sono sempre distinti per il loro coraggio (la rivolta delle Pasque con a capo gli italianissimi soldati Dalmati avverso i Franzosi ne è il fulgido esempio. Poi i gallici d’oltralpe, per ritorsione, trafugarono cimeli di arte a rimpinguare il loro museo nazionale).
Nella Longobardia Citeriore troviamo ancora tanti appellativi: quelli del Gladiator vengono chiamati Audaci o Sammaritani (San Maria Capua Vetere), quelli del Savoia, Oplontini (il nome latino di Torre Annunziata zona residenziale della vetere Pompei). A Torre del Greco la squadra è denominata come Corallina (la città è famosa per la lavorazione del corallo).
In Puglia i rossoneri del Foggia vennero definiti dal giornalista Mario Taronna come i Satanelli, per distinguerli dai Diavoli milanisti. Quelli dell’Entella sono invece i Diavoli neri. Il Manfredonia, sul Corriere dello Sport negli anni ’50 del XX secolo, venne chiamato dal cronista Pasquale Di Bari, il Delfino. I sipontini vengono erroneamente denominati, da qualche ignorante (cioè che ignora, senza offesa), anche “il Donia”… ah ah ah…, ma questo è un suffisso di origine etimologica incerta, probabilmente persiano, che significa “terra” (Donya); pertanto Manfredonia è la “terra” di Manfredi… dunque i biancoazzurri sarebbero i “terranei” (sic!).
Quelli della Sampdoria sono sampierdarenesi o doriani, per la fusione dei due team Andrea Doria e Sampierdarenese. L’Atalanta venne distinta come la Dea (il simbolo) perché era una figura della mitologia con particolare destrezza nella caccia, che promise di sposarsi solo con chi l’avesse battuta in una gara di corsa.
Il figlio venne chiamato Partenopeo, e parthenos (Παρθενόπη) significa vergine in greco, per il lungo periodo di astensione osservato dalla madre. I seguaci del Milan, oltre a qualificarsi “i Diavoli”, sono anche i Cacciavit, perché i primi seguaci erano gli operai delle industrie della città.Ci sono tantissimi sostantivi, aggettivi, aggettivi sostantivati per le squadre (a proposito il novello cantore e censore della grammatica calcistica conosce la differenza?).
Uno dei più simpatici è definire Molossi quelli della Nocerina. Il 6 Gennaio 1928 si disputava l’incontro amichevole tra la neonata S.S.C. Napoli e la formazione salernitana. I rossoneri militavano nel campionato di II Divisione (attuale lega Pro), mentre gli azzurri erano inseriti nel campionato di Divisone nazionale (attuale serie A).La gara era un allenamento per il Napoli, ma i nocerini sfoderarono una prestazione di gran carattere e un giornalista partenopeo (la sirena Partenope, vergine appunto, venne sepolta secondo la tradizione dove vi è Castel dell’Ovo) vedendo l’ardore che i calciatori rossoneri misero in quel match, pensò bene di definirli “Molossi”.
Quella “chiavica” di J. G. M. al secolo Johannis Gaudentius Mammasantissima, un pò di tempo fa, si è fatto “riprendere” in maniera ignobile scrivendo, che un giocatore sipontino ha militato anni orsono con i “molossi” del Savoia… Diamine, cosa grave ed ingiusta, quali strali fulmineranno costui!!!.Ebbene attribuire il termine “molossi” a una squadra significa dire pure i “mastini”, e cioè cani da guardia, di forza straordinaria, e quindi squadra forte, potente (Molosso era il figlio di Neottolemo e di Andromaca, la moglie di Ettore che Neottolemo aveva ottenuto come parte del bottino nella Guerra di Troia, fu Re dell’Epiro).
Nutriamo profonda tristezza per quelli che si ergono a “paladini del lessico”… in tanti anni di onorata carriera da scriba, cominciata quando i polpastrelli si incastravano tra le leve di scrittura a pressione (Olivetti Lettera 22… chissà se ne ha mai sentito parlare), ci dispiace sfoderare la nostra “onniscienza”, per chiarire una inezia letteraria (dal latino ineptia, cioè cosa di poco conto) e difendere J.G.M.
Si è ritenuto che, invece di apprezzare la sostanza ed il contenuto del papello, ci si attacca alle cosucce; siamo convinti che alcune volte, essere troppo “democratici” con chi è avvezzo alla sottomissione e subordinazione, significa perdere tempo! (Quanne ‘u porece ce vede ind’a farine, crede de jesse mulenere). D’altronde ora che mi accingo a diventare con sommo piacere (tomber amoureux), un habitué (traduzione: frequentatore assiduo di un luogo) dell’antica Stabia, non vorrei tramutarmi in una Vespa (nome comune dei supporters gialloblu)… e si sa che le Vespe quando pungono, fanno male!.
Prof. Dott. Giovanni Ognissanti
Direttore Archivio Storico Sipontino
FOTO: GARGANOPRESS