Cinema

Una poltrona per due, il rito della Vigilia e l’effetto “loop” televisivo

Italia 1 ripropone “Una poltrona per due” ogni 24 dicembre: una tradizione che funziona tra rituale familiare e comfort watching.

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Il 24 dicembre 2025, come accade ormai da molti anni, Italia 1 ha mandato in onda in prima serata Una poltrona per due. Una scelta che non sorprende più nessuno e che, proprio per questo, è diventata parte integrante dell’immaginario natalizio italiano. Non si tratta semplicemente della replica di un film di successo, ma di un vero e proprio rito televisivo che scandisce la Vigilia per milioni di spettatori.

Nel corso del tempo, questa consuetudine si è trasformata in un fenomeno culturale stabile, capace di resistere ai cambiamenti del pubblico, all’avvento delle piattaforme streaming e alla frammentazione dell’offerta audiovisiva. Allo stesso tempo, però, la ripetizione annuale solleva interrogativi più profondi sul rapporto tra memoria, nostalgia e consumo culturale, soprattutto quando il passato rischia di diventare una gabbia anziché una risorsa.

Il rito della Vigilia e la forza della tradizione televisiva

La programmazione del 24 dicembre è storicamente una delle più delicate per le reti generaliste. È una serata in cui la televisione resta accesa in molte case, ma spesso non viene seguita in modo continuativo: si cena, si conversa, si preparano gli ultimi dettagli delle feste. In questo contesto, la scelta di un titolo già noto, rassicurante e facilmente garante di risate risponde a una logica precisa.

Una poltrona per due, diretto da John Landis nel 1983, è una commedia dal ritmo sostenuto, con personaggi immediatamente riconoscibili e una struttura narrativa lineare, che consente allo spettatore di rientrare nella storia in qualsiasi momento. La sua ambientazione invernale, pur non essendo un film natalizio in senso stretto, contribuisce a renderlo coerente con il clima delle festività.

A partire dalla fine degli anni Novanta, la replica del film la sera della Vigilia è diventata una consuetudine consolidata per Italia 1. Col tempo, il titolo ha smesso di essere percepito come una semplice proposta cinematografica ed è diventato un segnale temporale: quando va in onda, per molti il Natale è ufficialmente iniziato. Questa dimensione rituale è uno dei motivi principali del suo successo duraturo.

Ascolti, affidabilità e comfort televisivo

Dal punto di vista editoriale e commerciale, la scelta è sostenuta da dati costanti. Anche nel 2025 il film ha registrato ascolti significativi, dimostrando una capacità di attrazione che pochi titoli riescono a mantenere a distanza di oltre quarant’anni dall’uscita. In un panorama televisivo sempre più competitivo, un contenuto in grado di garantire risultati prevedibili rappresenta una risorsa preziosa.

Ma il successo non è spiegabile solo con la forza del marchio o con l’abitudine. Negli ultimi anni si è parlato spesso di “comfort watching”, ovvero della tendenza a rivedere contenuti già conosciuti perché in grado di generare una sensazione di sicurezza e familiarità. La prevedibilità narrativa riduce lo sforzo cognitivo e attenua l’ansia, offrendo allo spettatore un’esperienza rilassante, particolarmente ricercata nei periodi di maggiore stress emotivo.

Il Natale, nonostante la sua aura festosa, è anche un momento carico di aspettative, bilanci personali e tensioni familiari, a maggior ragione se si organizzano cenoni con suoceri, cognati, zii e cugini. Vogliamo poi parlare della crisi economica che in periodi “magici” come il Natale si fa sentire ancor più prepotentemente in tante famiglie italiane? In questo contesto, un film già visto, di cui si conoscono battute e sviluppi, diventa una sorta di rifugio emotivo, una presenza stabile che accompagna la serata senza richiedere un coinvolgimento totale.

Dal comfort al “loop”: quando la ripetizione diventa inquietante

Se la ripetizione può essere rassicurante, esiste però un punto oltre il quale essa rischia di trasformarsi in qualcosa di diverso. È qui che entra in gioco il concetto di “loop”, inteso come percezione di un tempo che si ripete in modo automatico, senza variazioni significative.

Il “loop” non riguarda solo il film, ma ciò che esso finisce per rappresentare: la sensazione che ogni Natale sia identico al precedente, che le tradizioni si ripetano senza essere rinnovate, che il presente venga costantemente schiacciato dal peso del già visto. In questo senso, la ripetizione non è più un rito consapevole, ma un automatismo.

Dal punto di vista culturale e psicologico, questa dinamica può generare una sottile inquietudine. Ciò che è familiare smette di essere confortante quando appare privo di vita, quando sembra ripetersi per inerzia. È il paradosso del conosciuto che, proprio perché troppo noto, perde calore e diventa meccanico.

La televisione natalizia, in questo senso, funziona come uno specchio: riflette il nostro rapporto con il tempo, con la memoria e con l’idea di cambiamento. La riproposizione costante degli stessi titoli può amplificare la percezione di immobilità, soprattutto in una società che cambia rapidamente ma che, nei rituali collettivi, tende a rifugiarsi in immagini cristallizzate.

Il valore del passato e il fascino del vintage

Il problema, tuttavia, non è il passato in sé. Anzi, il passato ha un valore fondamentale nella costruzione dell’identità individuale e collettiva. Il successo del vintage, non solo in televisione ma anche nella moda, nella musica e nel design, dimostra quanto forte sia il bisogno di continuità e di radici.

Rivedere Una poltrona per due significa anche ricollegarsi a un’epoca, a un modo di fare commedia, a un tipo di racconto cinematografico che oggi è meno frequente. Significa riconoscere la qualità di un film che ha saputo attraversare i decenni senza perdere efficacia, e che continua a parlare a generazioni diverse.

Il passato, dunque, non è qualcosa da rimuovere. È una risorsa culturale, un archivio di storie e linguaggi che meritano di essere conservati e trasmessi. Il vintage, quando è vissuto in modo sano, permette di dialogare con ciò che è stato, di comprenderlo e di reinterpretarlo alla luce del presente.

Il rischio di un rapporto tossico con ciò che è “morto”

Il confine delicato si supera quando il passato smette di essere un riferimento e diventa un rifugio esclusivo. Rimanere ancorati in modo ossessivo a ciò che è stato può trasformarsi in una forma di immobilismo culturale, in cui il nuovo viene percepito come una minaccia anziché come un’opportunità.

In questo senso, la ripetizione continua degli stessi film natalizi rischia di produrre un effetto paradossale: invece di celebrare la memoria, la svuota di significato. Un classico, se proposto senza pause e senza alternative, può perdere la sua aura e ridursi a semplice rumore di fondo.

Il passato, per definizione, non torna. Può essere ricordato, studiato, celebrato, ma non rivissuto. Insistere nel riproporlo sempre nello stesso modo significa, in qualche misura, negare il presente. Ed è qui che il rapporto con il vintage può diventare “tossico”: quando non lascia spazio a nuove narrazioni, a nuovi immaginari, a nuove tradizioni in grado di parlare alle generazioni future.

Altri classici natalizi tra fascino e ombre

Nel panorama delle festività televisive italiane non c’è solo Una poltrona per due. Anche la Rai propone ogni anno una selezione di titoli in grado di segnare la programmazione natalizia, rivolgendosi in particolare alle famiglie e ai più giovani. Tra questi, uno degli appuntamenti più consolidati è Il Canto di Natale di Topolino, noto anche con il titolo originale Mickey’s Christmas Carol, trasmesso tradizionalmente in prima serata su Rai 2 la vigilia di Natale, alle ore 21:00 circa. Il cortometraggio animato, prodotto dalla Disney nel 1983 (anche questo guarda caso!) e ispirato al celebre racconto di Charles Dickens, racconta la storia di Ebenezer Scrooge, qui incarnato da Paperon de’ Paperoni, spietato capitalista incapace di comprendere il significato della festa, fino alla visita dei tre spiriti del Natale. Accanto alla programmazione del Canto di Natale di Topolino, nei palinsesti Rai si segnala anche, nei giorni successivi al 25 dicembre, la programmazione del live action di La bella e la bestia su Rai 3, un film che da anni ripropone la celebre fiaba in chiave visiva moderna. Il fascino di Canto di Natale di Topolino è legato alla sua capacità di fondere l’iconografia Disney con temi narrativi profondi e universali: la redenzione, la solidarietà, la compartecipazione emotiva. Tuttavia, proprio questa combinazione di leggerezza visiva e contenuti forti produce momenti di sorprendente intensità emotiva. Un esempio emblematico è la scena del cimitero, in cui lo Spirito del Natale Futuro — qui “interpretato” da Pietro Gambadilegno — conduce Scrooge/Paperone davanti alla fossa aperta verso quello che sembra l’inferno. La visione di questo momento è, per tonalità e impatto figurativo, paragonabile alle atmosfere cupe dei migliori horror hollywoodiani, nonostante sia inserita in un contesto di cartone animato per famiglie.

L’elemento che emerge con forza, oltre alla morale dickensiana, è la dialettica vita–morte: la celebrazione della festa e della generosità si intreccia con la constatazione della finitezza umana e delle conseguenze delle scelte egoistiche. Questa componente, se da un lato veicola un messaggio di speranza e trasformazione, dall’altro rivela un lato più oscuro e penetrante, capace di colpire anche lo spettatore adulto con immagini e simboli che rimangono impressi nella memoria.

Contrastando Il Canto di Natale di Topolino con la programmazione del live action La bella e la bestia, emerge una differenza di registro importante. Il film Disney moderno, pur conservando un tono fiabesco e romantico, si concentra su temi di accettazione, fiducia e superamento delle apparenze. Il Canto di Natale di Topolino, pur breve, contiene — nella sua essenza dickensiana — una riflessione più netta sull’ombra della morte e sulla trasformazione etica, tratto che lo distingue dai semplici “classici di consumo” e lo colloca su un piano narrativo capace di parlare a più livelli.

Questo richiamo a temi profondi e quel modo in cui la visione del passato, del presente e della morte può insinuarsi nella percezione di chi guarda, permette di leggere il fenomeno televisivo anche in chiave più ampia. La ripetizione annuale di questo titolo, quali che siano le differenze di registro tra prodotto per famiglie e prodotto per adulti, può contribuire ad alimentare quell’effetto di “loop” descritto più sopra: un ritorno identico di immagini, simboli e scene che diventa parte della scansione del tempo festivo non solo come rito consolatorio, ma come ritorno di contenuti emotivamente pregnanti.

La frequentazione regolare di questi classici — Una poltrona per due su Mediaset e Il Canto di Natale di Topolino sull Rai — può quindi offrire conforto, legame con il passato e con le proprie radici culturali. Ma se queste proposte diventano automatismi spettacolari, ripetuti senza variazione alcuna, si rischia di scivolare da un rapporto sano con il patrimonio narrativo a una sorta di presenza ossessiva e immodificabile, che assomiglia più a un ritorno senza tempo che a un’esperienza di dialogo tra nuove e vecchie generazioni.

La necessità di una ventata di aria fresca

Non si tratta di eliminare i classici, né di rinnegare la tradizione. Al contrario, la sfida per la televisione generalista è quella di preservare il valore di questi titoli senza consumarli. Alternare, variare, sperimentare all’interno del tema natalizio è un modo per mantenere viva la ritualità.

Inserire nuove commedie, nuovi film a tema, nuove storie capaci di dialogare con il presente non significa tradire il passato, ma costruire il futuro. Ogni classico, prima di diventarlo, è stato una novità. Se oggi si smette di rischiare, domani non ci saranno più film in grado di assumere quel ruolo simbolico.

In questo senso, una pausa strategica può essere salutare. Lasciare “riposare” un titolo per qualche anno, per poi riproporlo, può restituirgli forza e significato. Il rito non perde valore se viene rinnovato; al contrario, lo ritrova.

Tradizione come scelta, non come automatismo

Il vero nodo, dunque, non è la presenza di Una poltrona per due nel palinsesto natalizio, ma il modo in cui questa presenza viene vissuta e proposta. La tradizione funziona quando è una scelta consapevole, non quando diventa un automatismo.

Il passato è importante, il vintage è importante, e i classici natalizi rappresentano un patrimonio culturale condiviso. Ma vivere bene il rapporto con essi significa riconoscerne anche i limiti, accettare che il tempo scorre e che ogni epoca ha bisogno delle proprie storie.

Una televisione capace di tenere insieme memoria e rinnovamento non rinuncia ai suoi simboli, ma li protegge dall’usura. E forse, proprio così, può evitare che il conforto si trasformi in loop e che la nostalgia diventi una prigione.

Il passato, del resto, insegna. Basta guardare a Dragon Ball prima serie/ Z/GT, per anni e anni strareplicato su Italia 1 nella fascia del lunchtime, fino a diventare un appuntamento quasi biologico, e ancora oggi presente, in altra forma, su Italia 2 con Dragon Ball Super. Un esempio perfetto di loop tossico, un vero uroboro televisivo: il serpente che si morde la coda, dove c’è un inizio, una fine… e poi un ritorno identico al punto di partenza.

Funziona, certo. Consola, indubbiamente. Ma alla lunga immobilizza. Perché quando la ripetizione smette di essere scelta e diventa automatismo, il rischio è quello di confondere la memoria con l’inerzia. Vale per gli anime, vale per le commedie cult, vale per i classici natalizi: il passato va custodito, non abitato come se fosse l’unico tempo possibile.

Ogni tanto, anche in televisione, spezzare il cerchio non è un tradimento della tradizione. È il modo migliore per farla respirare.

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