Stipendio docenti: il divario tra scuola e università
Differenze tra lo stipendio dei docenti di scuola superiore e i colleghi dell'università: due mondi completamente diversi.

Lavorano entrambi “nell’istruzione”, ma dal punto di vista retributivo i docenti di scuola superiore e quelli universitari parlano lingue diverse. Nel sistema scolastico il cuore dello stipendio è il contratto collettivo e la progressione per anzianità; nel mondo accademico pesano regime giuridico, classi/scatti e differenze tra tempo definito e tempo pieno, oltre agli adeguamenti annuali. Risultato: due carriere con curve economiche lontane, soprattutto nel medio-lungo periodo.
Stipendio docenti: Scuola vs Università
Partiamo dalla scuola, perché qui la bussola è più lineare. Per un docente laureato della secondaria di II grado lo stipendio tabellare lordo annuo (valori di tabella) si muove così: 22.678,52 euro a inizio carriera (fascia 0–8), 31.736,25 euro nella fascia 21–27 e 35.505,47 euro oltre i 35 anni di servizio. Questi importi sono la “base” contrattuale: poi entrano in gioco voci accessorie e variabili (retribuzione professionale docente, eventuali funzioni/ore aggiuntive, indennità e compensi legati a incarichi), ma la struttura resta quella: crescita soprattutto per anzianità, relativamente prevedibile e abbastanza compressa verso l’alto.
All’università, invece, bisogna distinguere ruoli e regimi di impegno. Le tabelle del “nuovo regime” (DPR 232/2011) aggiornate con l’adeguamento in vigore dal 1° gennaio 2025 mostrano già il salto di scala. Un esempio: un professore associato a tempo definito in classe iniziale ha un totale annuo (stipendio + IIS + tredicesima/altre voci di tabella) attorno a 35.432,24 euro. Salendo di livello e soprattutto passando al tempo pieno, la distanza cresce ancora: nelle tabelle di costo/parametri applicate dopo l’adeguamento 2025, per un professore ordinario a tempo pieno compaiono valori di lordo dipendente annuo ben superiori, con esempi oltre 127.000 euro nelle classi riportate (voci comprensive di componenti come IIS e assegni previsti). Qui sta la chiave: la carriera accademica è più “a gradini”. L’accesso è più selettivo e lento, ma quando si entra stabilmente nei ruoli più alti (associato/ordinario) la progressione economica può diventare molto più ampia di quella scolastica. Inoltre, gli stipendi universitari vengono modificati periodicamente: per il 2025, ad esempio, l’adeguamento del trattamento economico dei non contrattualizzati è stato formalizzato con DPCM pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Sul fronte degli aumenti stipendiali, il quadro per il 2026 è già in parte definito. Per i docenti della scuola, è stato firmato il CCNL Istruzione e Ricerca 2022-2024, che produce effetti economici spalmati anche sui cedolini del 2025 e del 2026. L’accordo prevede incrementi medi tra i 124 e i 150 euro lordi mensili, variabili in base all’anzianità e al grado di istruzione, oltre al pagamento degli arretrati maturati nel periodo di vacanza contrattuale, che in molti casi superano i 2.000 euro lordi complessivi. Gli aumenti strutturali resteranno quindi in busta paga anche nel 2026, mentre il confronto per il contratto successivo (2025-2027) è già aperto, con i sindacati che chiedono ulteriori risorse per recuperare l’inflazione accumulata.
Il nuovo CCNL Istruzione e Ricerca ha un perimetro molto ampio e coinvolge l’intero comparto pubblico legato alla formazione e alla conoscenza. Riguarda infatti i docenti di scuola di ogni ordine e grado, il personale ATA, il personale delle università, i dipendenti degli enti pubblici di ricerca e le istituzioni AFAM (Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica). Nel complesso, il contratto interessa oltre 1,28 milioni di lavoratori pubblici, accomunati da una lunga fase di stagnazione salariale: nel triennio 2022-2024, infatti, l’impennata dell’inflazione ha eroso in modo significativo il potere d’acquisto degli stipendi, rendendo il rinnovo contrattuale un passaggio cruciale per il recupero, almeno parziale, delle perdite subite.
