Sant’Andunje, masckere e sune: più di un secolo fa a Manfredonia il Carnevale cominciava a casa Gelsomino
(di Maria Teresa Valente )
Da oltre un secolo i festeggiamenti del Carnevale a Manfredonia hanno sempre avuto inizio il 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, da cui il detto Sant’Andunje, masckere e sune. Sfogliamo a ritroso le pagine della nostra storia e scopriamo dove e perché questa tradizione nella nostra città assunse i connotati di una vera e propria festa.
Erano i primi anni del Novecento, quando proprio nel giorno di Sant’Antonio Abate, il devoto Daniele Gelsomino titolare della Premiata Ditta di Fuochi Pirotecnici Gelsomino, cominciò ad allestire presso la sua abitazione, di fronte Largo Clemente, una cappelletta in onore del santo protettore del fuoco e degli animali. Secondo una leggenda, il santo nato in Egitto si recò all’inferno con il suo maialino per rubare il fuoco al diavolo e donarlo agli uomini, ecco perché venne considerato il protettore del fuoco.
La statua di Sant’Antonio veniva condotta dalla famiglia Gelsomino presso la chiesa di San Francesco dove si teneva una messa in suo onore e poi riportata nell’abitazione. Di anno in anno la cappelletta allestita con tutti i crismi in casa Gelsomino attirava manfredoniani da ogni parte della città: quel giorno di festa dedicato al loro santo protettore, i Gelsomino amavano condividerlo con quanta più gente possibile.
Quando Daniele morì, per un tragico incidente sul lavoro, la statua passò al primogenito Ciro Gelsomino, che con i fratelli ereditò e portò avanti la ditta dei fuochi d’artificio, divenendo noti in città come i sparapizz. Anche la tradizione venne portata avanti da Ciro e la sua famiglia.
Terminata la seconda guerra mondiale, dopo la messa ed i convenevoli in onore del santo con biscotti e rosolio, nel pianterreno dei Gelsomino veniva allestita una socia dove fino a Carnevale era quasi sempre festa. Insomma, proprio dal 17 gennaio e da casa Gelsomino, Sant’Antonio Abate con la sua campanellina dava inizio ufficialmente ai festeggiamenti carnascialeschi.
La tradizione andò avanti per decenni, tramandata da Ciro Gelsomino al primogenito figlio maschio Daniele. Oggi custode della statua è Mattia Gelsomino, figlia di Daniele, nipote di quel nonno con il suo stesso nome la cui ‘premiata’ ditta di fuochi d’artificio era stata premiata davvero, poiché aveva vinto una medaglia d’oro alla Mostra dei fuochi pirotecnici di Parigi nel 1911. Ma questa è un’altra storia.
Ringrazio Domenico Palmieri per avermi raccontato gli aneddoti della sua famiglia svelandomi l’inizio a Manfredonia di Sant’Andunje, masckere e sune.
Maria Teresa Valente
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