Rambaudi a ilSipontino.net: “Foggia nel cuore. Zeman? Vi racconto di quella volta che…”
Roberto “Rambo” Rambaudi, è stato uno degli uomini simbolo di una delle squadre più spettacolari tra quelle che si sono viste nella storia della Serie A. Chi non ha visto da vicino il Foggia di Zeman, difficilmente può farsi un’idea di cosa sia stato. I Satanelli incutevano terrore alle big e tutti avevano paura di affrontarli allo Zaccheria davanti ai suoi tifosi. Guidato dal boemo, quel gruppo di perfetti sconosciuti hanno impartito lezioni di calcio e insegnato a tutti come ci si può divertire e vincere allo stesso tempo.
FACE TO FACE CON RAMBAUDI
Se le dico Foggia qual è il primo ricordo che le viene in mente.
“In primo luogo la città, bellissima. Subito dopo la voglia di emergere e la tifoseria che ci è sempre stata vicino. Il loro supporto è stato essenziale per creare quell’armonia che ci ha portato ad essere quella squadra di cui ancora tutti oggi continuano a parlare”.
All’esordio in Serie A eravate tutti degli “sconosciuti”, provenienti da serie minori.
“È vero, ma avevamo tutti tanta voglia di emergere. Ci mettevamo a disposizione del mister e cercavamo di mettere in pratica la sua idea di calcio. Siamo stati fortunati sia noi che Zeman”.
In che senso.
“Il boemo ha avuto la fortuna di avere davanti dei ragazzi che lo seguivano in tutto e per tutto. Noi di avere una guida esperta che si fidava ciecamente dei suoi uomini, che tra l’altro fu lui stesso a scegliere”.
Insieme a Signori e Baiano avete dato vita al trio delle meraviglie. Come siete riusciti a raggiungere quel tipo di intesa.
“Con Beppe e Ciccio eravamo molto uniti anche fuori dal campo, ci legava una forte amicizia. Ovviamente ad accentuare il feeling ci ha pensato il mister con i suoi schemi e allenamenti. Ognuno di noi aveva caratteristiche differenti ma messi in quel modo sul rettangolo verde ci completavamo. Inoltre, credo che il trio delle meraviglie sia stato uno dei più forti della storia, non solo del Foggia ma anche della Serie A”.
A proposito di Serie A, ci racconta l’anno della promozione?
“Quell’anno siamo riusciti a tornare nella massima serie dopo tredici anni di esilio. Il cammino non è stato semplice ma il gruppo era consolidato ed eravamo reduci da un anno di lavoro che ci permise di crescere e di avere maggiore fiducia nei nostri mezzi. Per vincere un campionato devi fare un salto mentale e noi l’abbiamo fatto. Arrivarono subito importanti vittorie e il sacrificio unito all’entusiasmo ci permise di salire in Serie A”.
Pierluigi Collina ammise che arbitrare il Foggia di Zeman era difficile a causa della vostra velocità.
“Il mister ci faceva allenare duramente tutta la settimana. Avevamo delle giocate prestabilite che dovevamo fare a tremila all’ora. Riuscivamo ad abbinare la tecnica individuale alla velocità e credo sia questa la differenza tra un ottimo e un normale giocatore”.
Nel tempo libero cosa facevate?
“Giocavamo a scopa e tressette col morto (ride ndr). Anche Zeman si univa al nostro tavolo e ci divertivamo tutti assieme. Anche così facevamo gruppo, eravamo tutti molto legati. Non esisteva un io, ma un noi. In campo così come fuori il nostro leader era il gruppo”.
C’è un episodio con Zeman che ricorda in particolare?
“Giocavamo a Parma e a fine primo tempo eravamo sotto di due gol. Non stavamo dando il massimo e una volta negli spogliatoi ci aspettavamo tutti il cazziatone di Zeman; che non arrivò. Ci guardò tutti e disse: ‘Il riscaldamento è finito. Adesso iniziamo a giocare'”.
Un altro giocatore fondamentale di quella squadra era Franco Mancini.
“Eravamo amici e lo siamo tuttora, anche se non c’è più. Siamo cresciuti insieme ed era un ragazzo umile e introverso. Credo che sia stato il precursore del portiere moderno, un grande nel suo ruolo. Dopo il ritiro è diventato allenatore dei portieri ed io l’ho visto a Pescara qualche mese prima che morisse. Ero molto legato a lui, così come lo ero a Paolo List: due grandi perdite per me”.
Quanto è stato duro per lei lasciare Foggia.
“È stato molto difficile ma eravamo arrivati alla fine di un ciclo e l’addio era inevitabile sia per esigenze societarie sia perché erano arrivate diverse offerte importanti. Il Foggia aveva altre ambizioni”.
Crede che in quegli anni meritavate di raccogliere qualcosa di più della salvezza in A?
“Se fossimo stati continui sicuramente, ma solitamente ottieni ciò che meriti e noi meritavamo quello”.
Sta continuando a seguire il Foggia?
“Lo seguo sempre e mi sta piacendo molto quest’anno. È una squadra che è ben messa in campo e gioca un buon calcio. Con la Gelbison, però, è mancato qualcosa per portare a casa i 3 punti. Non mi è piaciuta la sostituzione di Peralta, avrei preferito lasciare in campo perché avrebbe potuto accendere la luce da un momento all’altro, e la performance di Iacoponi. Il gol preso era evitabile. Il Foggia poteva vincere questa partita ma nonostante il pareggio ha dimostrato carattere”.
Ha progetti per il suo futuro?
“Mi piacerebbe tornare ad allenare ma trovando una società che voglia far calcio in una certa maniera: propositiva. Trovando quindi una proprietà che sia disposta a costruire e non a distruggere. Nel mondo di oggi ci sono presidenti e dirigenti che sanno poco e peccano di presunzione. Non mettono mai l’allenatore in primo piano e non ascoltano le richieste, le direttive del mister. Se vogliono coinvolgermi in un progetto dove ho carta bianca, accetterei di sicuro”.