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Lettera aperta di un LSU del Comune di Manfredonia

Quella riportata è la storia vera di un Lavoratore LSU della provincia di Foggia, ad oggi (da 22 anni) in capo al Comune di Manfredonia, una storia come tante, troppe, che riguardano moltissimi, troppi Lavoratori Socialmente Utili, che da 22 anni attendono il riscatto della loro dignità.

Saluti

Testo lettera aperta:

Mi chiamo Francesco sono un lavoratore socialmente utile del Comune di Manfredonia, ho 50 anni .

La mia storia lavorativa inizia 22 anni fa, avevo 28 anni, all’epoca ero sposato , dal mio matrimonio nata una bambina, Carla .

Avevo lavorato in varie ditte edilizie con la qualifica di operaio qualificato, l’ultima esperienza l’ho avuta presso la Ditta di Costruzioni Trombetta. Poi il licenziamento.

Intanto il mio matrimonio finiva per via dei problemi e le difficoltà, a 40 anni mi separavo da mia moglie, mia figlia all’epoca aveva sedici anni. Intanto entravo nella platea storica degli lsu e la mia condizione di lavoratore atipico non mi ha mai  permesso nemmeno di dare un minimo di mantenimento alla mia famiglia. Mia figlia ormai prossima ai 18 anni passava i suoi anni più belli vivendo un po’ con me, un po’ con sua madre ed i nonni. La mia condizione è stata subito chiara: non riuscivo ad essere d’aiuto alla mia famiglia sia nelle grandi cose che nelle piccole, non riuscivo nemmeno a pagare l’affitto.

Nel frattempo Carla (mia figlia) andava a vivere con il suo compagno  ed  iniziava  a lavorare presso un’azienda dove ricopriva il ruolo di addetta alla contabilità, ed io non avendo più la possibilità di pagarmi una casa in affitto sono stato costretto ad andare a vivere con lei che mi rendeva nonno.

“Si prova tanta gioia nel diventare nonno, un nipotino è un dono, io oltre alla gioia ho provato tanto sconforto perché quando sai che non hai dato quello che dovevi a tua figlia nulla puoi ai nipoti ”

Oggi mi sono rifatto una vita, parlo di una nuova compagna, anch’essa con un matrimonio finito alle spalle, si chiama Annarita, una donna comprensiva a cui purtroppo non posso dare la speranza di un futuro insieme così come vorrei, un futuro che non appare migliore del passato, anzi un futuro senza una pensione dignitosa. Si nemmeno sulla pensione posso contare, perché noi lsu non abbiamo nemmeno i contributi.

Oggi vivo in casa con mia figlia, ho una stanza per me, mia figlia ha perso il suo lavoro ed io per quel che posso l’aiuto facendo quello che è nel minimo delle mie disponibilità: faccio la spesa, faccio il nonno e faccio la maggior parte dei lavori domestici. Cerco insomma di essere d’aiuto il più possibile  e di non essere un peso, perché è così che mi sento a volte, un peso.

Un padre che non ha potuto dare nemmeno un minimo di quello che resta essenziale per una vita “normale”. Mia figlia avrebbe voluto studiare m ma non l’ha potuto fare, per lei avevo desiderato un futuro diverso dal mio , concreto e reale così come quello di tanti altri ragazzi .Quando guardo mia figlia vedo il mio fallimento  o forse dovrei dire il fallimento di uno Stato , di una situazione e condizione anomala ed irreale considerando i tempi.

Io non posso dare nulla a nessuno, ne a mia figlia ne alla mia compagna e nemmeno al mio nipotino. Nulla a me stesso .

Dovrei sentirmi italiano, invece mi sento solo un uomo fuori posto, con un unico sogno quello di vedere dopo 22 anni uno Stato di diritto .

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Redazione

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