Il ruolo ‘giudiziario’ della Grotta di San Michele Arcangelo

“DOVE LE PIETRE SI APRONO, LÌ VENGONO RIMESSI I PECCATI DEGLI UOMINI”: IL RUOLO ‘GIUDIZIARIO’ DELLA GROTTA DI SAN MICHELE ARCANGELO, SUL GARGANO.
Sul promontorio garganico, in un angolo aspro e sacro della Puglia, si apre una fenditura nella roccia che da secoli attira pellegrini, penitenti e curiosi.
È la grotta di San Michele Arcangelo, il più importante santuario micaelico dell’Occidente latino, dichiarato patrimonio UNESCO nel 2011. Il suo culto affonda le radici nella tarda antichità, ma è nella narrazione leggendaria dell’Apparitio Sancti Michaelis che tutto ha inizio: un racconto sacro datato tra VII e VIII secolo in ambiente longobardo, in cui l’Arcangelo stesso rivendica il possesso del luogo, consacrandolo con le proprie mani. Non c’è bisogno dell’intervento umano: «Non est vobis opus…», dice Michele al vescovo di Siponto. È lui il patrono, il fondatore, il custode.
La leggenda comincia con un pastore, Gargano, che insegue un toro fuggito e lo trova presso una grotta. Tenta di colpirlo con una freccia, ma l’arma si ritorce contro di lui. Il prodigio richiama la comunità e l’arcivescovo, che con il digiuno ottiene la visione angelica: quel luogo sarà sede della comunione tra cielo e terra. Così la grotta, naturale e irregolare, non si distingue per ori e decorazioni, ma per la sua “virtù celeste”. L’acqua che stilla dalla roccia guarisce i malati; le impronte dell’Angelo sulla pietra, il drappo rosso sull’altare e la forma stessa dell’ambiente, “spigolosa e aspra”, segnano la presenza del soprannaturale.
Ma non è solo un racconto: la grotta di Monte Sant’Angelo diventa, già dall’Alto Medioevo, un luogo di attrazione spirituale che travalica i confini della Puglia.
I longobardi ne fanno centro del loro potere religioso e culturale: i duchi di Benevento – Grimoaldo I, Romualdo I e Romualdo II – intraprendono opere di monumentalizzazione, regolano il flusso dei pellegrini con scalinate (la “scala diritta” e la “tortuosa”) e lasciano iscrizioni solenni incise nella pietra.
Pellegrini di ogni provenienza – latini, goti, franchi, sassoni – vi lasciano traccia attraverso graffiti e iscrizioni, alcune in alfabeto runico. Tra di loro, donne e uomini, semplici viandanti o re devoti. L’eco del culto arriva fino in Normandia: nel 708, il vescovo di Avranches fa prelevare frammenti di roccia dal Gargano per fondare Mont-Saint-Michel, nel desiderio di trasferirvi la virtus angelica.
Dal IX secolo in poi, il santuario assume anche un ruolo “giudiziario”. Espiazioni e condanne si risolvono con pellegrinaggi “vicari”: la grotta diventa un santuario del perdono. L’iconica iscrizione sul portale bronzeo lo dichiara solennemente: «Ubi saxa panduntur ibi peccata hominum dimittuntur». Nella montagna dove si apre la pietra, si dissolvono anche le colpe. È una teologia scolpita nella roccia.
Con l’arrivo delle Crociate, Monte Sant’Angelo si inserisce stabilmente nei grandi circuiti della fede. Le testimonianze letterarie abbondano. Un anonimo pellegrino inglese, nel 1344, racconta la salita faticosa verso la grotta. Mariano di Nanni da Siena, nel 1431, la descrive come un “luogo di troppa devozione”. Giovanni Adorno di Bruges ne loda la vegetazione, la sorgente miracolosa, gli altari scolpiti e la vista che spazia fino all’Adriatico. Racconta persino di un piccolo bosco, il “boschetto delle pietre”, dove i pellegrini si liberano dei loro pesi simbolici, appendendo sassi ai rami.
Questa pratica – il gesto rituale di portare, trascinare, appendere o lasciare una pietra – ha una lunga storia. Le pietre rappresentano i peccati, i dolori, le richieste di grazia. Nel tempo, diventano anche amuleti, frammenti da portare con sé per protezione. Durante la peste del 1656, l’Arcangelo – in una delle sue apparizioni – ordina all’arcivescovo Puccinelli di benedire le pietre della grotta e distribuirle alla popolazione. “Dove si pongono con devozione le pietre, lì la peste si allontana”, recita una variante popolare del motto. Da allora, la pietra garganica diventa un “pignus”, una reliquia in sé: si incastona nelle case, si cuce nei corpetti dei neonati, si conserva tra le reliquie personali.
Il simbolismo si estende al paesaggio: sopra la grotta, il boschetto di lecci si popola di ex voto, sassi, bastoni e nastri colorati. Un albero in particolare, detto “l’albero di San Francesco”, resiste fino agli anni ’30 del Novecento, quando viene abbattuto per far spazio a un edificio. Ma il ricordo del suo potere sacro resta. I pellegrini, allora, iniziano a far rotolare le pietre a valle, ripetendo inconsapevolmente il rito antico del “lasciare andare”.
L’esperienza del pellegrinaggio non è mai neutra. L’atmosfera della grotta, buia, umida, stretta tra le viscere della montagna, lascia un’impressione incancellabile. I viaggiatori descrivono le messe al lume di candela, il silenzio rotto solo dai canti penitenziali, le figure inginocchiate sui gradini. L’abate Richard de Saint-Non, scettico ma incuriosito, ne esce carico di pietre e oggetti devozionali. Ferdinand Gregorovius, storico protestante, la definisce “metropoli del culto dell’Arcangelo in Occidente”. E confessa: «Questo modo tenni io per portarmi felicemente a casa il mio San Michele, che mi sta ora dinanzi sano e salvo».
Nel museo annesso al santuario, le tavolette ex voto raccontano storie di guarigione, grazie ricevute, navi scampate alla tempesta, malattie debellate. Ogni incisione, ogni immagine è il frammento di una vita, ma nel loro insieme diventano uno specchio fedele della società. E in questo specchio la figura dell’Arcangelo si trasforma: da psicopompo e guaritore, a guerriero, poi a protettore di contadini e pastori, fino a simbolo della resilienza popolare.
La pietra, elemento umile e insieme potentissimo, è al centro di tutto. Non è solo scenario, ma protagonista: ospita la grotta, imprime le orme, sgorga l’acqua, riceve le preghiere, si fa amuleto. Anche oggi, nel silenzio del monte, qualcuno stringe tra le dita una scheggia bianca, o la cuce in un fazzoletto, o la bacia prima di scendere. La pietra, testimone millenaria, continua a “parlare” in silenzio.
Archivio e foto di Giovanni BARRELLA.
Fonte:
– “«Ubi saxa panduntur ibi peccata hominum dimittuntur»: devozione, perdono e resilienza nella grotta-santuario di San Michele sul Monte Gargano”, di Ada Campione e Angela Laghezza, aprile 2023
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