Il figlio di Andreotti attacca Bellocchio: “Mio padre non era cinico”

Il film di Marco Bellocchio “Esterno notte”, incentrato sul rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, il leader della DC ucciso il 9 maggio 1978 dalle Brigate Rosse, dopo un giorno nelle sale crea già polemiche. Il film, presentato a Festival di Cannes, è uscito in anteprima nelle sale: la prima parte ieri, mentre la seconda sarà possibile vederla il 9 giugno. Il film completo, invece, diventerà una serie in autunno per Ra1.
A polemizzare contro Marco Bellocchio è uno dei figli di un personaggio centrale del film: Giulio Andreotti. Se in “Buongiorno, notte” Bellocchio raccontava la tragedia di Moro dall’interno, ovvero dal covo dei brigatisti e dalla prigione del popolo in cui Moro è stato occultato per ben 55 giorni, questa volta Bellocchio racconta e parla di quello che c’era fuori quella prigione. Chi c’era, cosa ha fatto e cosa non ha fatto per salvare il leader pugliese.
Stefano Andreotti, terzogenito dell’ex premier democristiano scomparso nel 2013, sul Corriere della Sera attacca Bellocchio di aver imprigionato il padre in una serie di stereotipi falsi. Andreotti accusa il regista di leggerezze. “Ho visto che il regista Bellocchio si è pentito dopo cinquant’anni di essere stato tra i firmatari del documento famigerato contro il commissario Luigi Calabresi: proprio adesso che ci vuole fare un film. Poi parlano del cinismo di Andreotti… Spero che tra una ventina d’anni, studiando magari un po’ le carte, si penta anche dell’immagine falsata che mi dicono dia di mio padre Giulio nella sua ultima pellicola sul sequestro di Aldo Moro”.
Andreotti jr, che non andrà a vedere il film di Bellocchio, tiene a precisare che non fu suo padre, Giulio Andreotti, ad impedire le trattative per la liberazione di Moro (come molti, invece, sostengono). “Quanto al cinismo: la cosa intollerabile è che dipingano mio padre come se fosse responsabile dell’assassinio di Aldo Moro, insensibile ai tentativi di salvarlo. Di più, quasi d’ostacolo alle trattative. Questa è una profonda falsità politica e ingiustizia storica”.
Moro, però dalla prigione del popolo non la pensava così. Ad Andreotti scrisse quasi una profezia che, poi, si avverrà. “La lacerazione ne resterà insanabile. Nessuna unità nella sequela delle azioni e reazioni sarà più ricomponibile. Con ciò vorrei invitarti a realizzare quel che si ha da fare nel poco tempo disponibile”.