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Garganodascoprire: “L’antica tradizione dei serpari nel Gargano e in Capitanata”

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CIARÀULI E SANPAOLARI: L’ANTICA TRADIZIONE DEI SERPARI NEL GARGANO E IN CAPITANATA.

Da dove iniziamo? Dai serpenti.

Già in altri post abbiamo accennato a questo “totem” molto presente nel Gargano e in Daunia – la tradizione legata a San Giorgio e San Michele non ha bisogno di presentazioni, ma anche tutte le leggende di grossi rettili che infestavano i vari territori (il Vallone di San Nicandro Garganico, il lago di Varano, la valle di Stignano, Castelpagano, San Paolo Civitate, Cerignola, San Marco in Lamis) – e, soprattutto, a un “simbolo” assai temuto e venerato.

Innanzitutto, nei territori citati, esistono diverse specie di serpenti: il Biacco (Coluber viridiflavus), il Colubro liscio (Coronella austriaca), il Colubro di Riccioli (Coronella girondica), la Biscia dal collare (Natrix natrix), la Biscia tassellata (Natrix tessellata), i Saettoni (Zamenis longissima e Zamenis lineata), il Cervone (Elaphe quatuorlineata) e le Vipere (Aspis aspis e Aspis hugyi) – le vipere sono gli unici serpenti locali il cui morso può essere pericoloso per l’uomo.

Il serpente, fin dalla preistoria, ha sempre affascinato l’essere umano. È stato spesso utilizzato per rappresentare il male e la trasgressione divina e visto come un simbolo negativo in molti contesti, soprattutto nelle credenze religiose e nella mitologia. Tutti conoscono la storia cristiana del serpente nel mito di Adamo ed Eva; nell’ebraismo, la Serpe di Mare è una figura malvagia e diabolica; per i musulmani, il serpente ha un carattere impuro.

Nelle culture più antiche e in contesti iniziatici, però, il serpente ha quasi sempre valenza positiva: è legato alla saggezza, alla conoscenza, alla libertà, alla guarigione. Asclepio aveva un bastone con intorno attorcigliato un serpente, a simboleggiare le arti sanitarie. Hermes possedeva il Caduceo, un bastone alato con due serpenti attorcigliati, simbolo della Sapienza. Tradizione vuole che fossero due esemplari di Zamenis longissimus, detti anche Saettoni o Colubri di Esculapio.

Anche Paolo di Tarso è rappresentato con una spada intorno alla quale è attorcigliato un serpente e, guarda caso, “San Paolo” è guaritore del morso di serpenti, scorpioni e tarantole.

Questa tradizione nasce da quanto raccontato negli ‘Atti degli Apostoli’, in cui si narra del viaggio di Paolo prigioniero alla volta di Roma. Fatto naufragio presso le coste dell’isola di Malta, “… gli abitanti ci trattarono con rara umanità; ci accolsero tutti attorno a un fuoco, che avevano acceso perché era sopraggiunta la pioggia e faceva freddo. Mentre Paolo raccoglieva un fascio di rami secchi e lo gettava sul fuoco, una vipera saltò fuori a causa del calore e lo morse a una mano. Al vedere la serpe pendergli dalla mano, gli abitanti dicevano fra loro: «Certamente costui è un assassino perché, sebbene scampato dal mare, la dea della giustizia non lo ha lasciato vivere». Ma egli scosse la serpe nel fuoco e non patì alcun male. Quelli si aspettavano di vederlo gonfiare o cadere morto sul colpo ma, dopo avere molto atteso e vedendo che non gli succedeva nulla di straordinario, cambiarono parere e dicevano che egli era un dio” (Atti degli Apostoli, cap. 28).

Paolo non aveva subito danni dal morso del serpente velenoso e da questo episodio è nata la tradizione dei ‘Sanpaolari’, chiamati anche ‘Ciaràuli’.

Ma chi sono costoro? Etimologicamente, il termine Ciaràulo deriverebbe dal greco antico ‘kerayles’ e indicherebbe il suonatore di tromba, forse nella sua connotazione di ammaliatore. I Ciaràuli sono coloro che incantano i serpenti e hanno come protettore San Paolo. Per questo motivo vengono chiamati Sanpaolari, appunto.

Anticamente “u ciaràul” era un girovago che, in sella al suo cavallo, faceva la questua in nome di San Paolo. Si diceva che avesse ereditato dal santo poteri sovrannaturali e quando se ne incontrava uno, per timore, si offriva ciò che si poteva al viandante.

In cambio, i Ciaràuli donavano ai contadini o ai pastori dei sassolini neri che fungevano da antidoto nel caso fossero stati morsi da un serpente.

Il Ciaràulo, inoltre, veniva chiamato dalla popolazione nel caso in cui ci fosse stata un’infestazione di serpenti. Questa tradizione era presente in tutto il meridione d’Italia. Si racconta che egli, dopo aver disegnato due cerchi sul terreno, uno all’interno dell’altro, si poneva al centro di quello interno e disegnava una serie di segni su quello più esterno, tanti quanti erano i serpenti da richiamare; in questo modo, pronunciando delle frasi magiche, attirava a sé i rettili che gli ubbidivano. Il Ciaràulo non poteva ammazzarli altrimenti avrebbe perso i suoi poteri.

Se invece i serpenti disobbedivano all’incantatore, allora poteva ucciderli non utilizzando alcun bastone ma solo schiacciando loro la testa con il piede.

In altri territori, questo rituale presentava sfumature e caratteristiche differenti. Anche il Tancredi, nel suo Folklore Garganico, ci parla di questi serpari, ‘lu Ciaràul’, dotato di facoltà soprannaturali e ritenuto tale il settimo figlio maschio nato in una famiglia, oppure chi fosse nato nella notte di San Paolo, il patrono delle serpi, ossia tra il 24 e il 25 gennaio (conversione di San Paolo) oppure tra il 28 e il 29 giugno (giorno di San Pietro e Paolo). Lu Ciaràul aveva anche virtù di indovino e il dono di incantare i serpenti, cioè farli ubbidire senza alcun pericolo.

I serpari erano temuti, ammirati, onorati e la loro persona era anche associata simbolicamente alla figura dell’Ofiuco, colui che porta e domina il serpente, rappresentato dalla costellazione omonima detta anche del Serpentario.

Anche a Manfredonia si racconta ancora oggi dell’operato fatto da ‘u Sambaulére’ in grado di afferrare vipere e ‘guardapasse’ senza pericolo e di succhiare il veleno dai morsi dei rettili perché immune da qualsiasi conseguenza della sostanza tossica.

I serpenti non hanno vita facile nel Gargano e in Daunia. Il Cervone, per esempio, viene ucciso da giovane perché scambiato per una vipera e da adulto perché oggetto di un’assurda leggenda per la quale succhierebbe il latte dalle mammelle del bestiame addormentato (per cui è localmente chiamato “pasturavacche”). In realtà, il Cervone frequenta spesso stalle e ovili solo perché vi trova facilmente le sue prede: topi e ratti.

A proposito del naufragio di San Paolo sull’isola di Malta. Una tradizione locale in Croazia racconta che San Paolo con la sua nave s’incagliò dalla parte sud-orientale dell’isola di Meleda. Nel campo Žara vicino al paese Korita, una parte dell’isola ancor’oggi viene chiamata dal popolo Crkva o Crkvina (chiesa) e, secondo una credenza popolare, questa è dai tempi antichi la zona in cui si trovava la chiesa originaria di San Paolo. I vecchi abitanti di Meleda (in serbo-croato Mljet) dicono che la chiesa fu innalzata in onore dell’apostolo convertito, che dopo il suo naufragio, per tre mesi soggiornò sull’isola stessa.

In effetti, negli Atti degli Apostoli si narra del naufragio nel mare Adriatico e non nel Mediterraneo. Inoltre, il nome citato negli Atti è Μελίτη, Melite, da molti ritenuto anche l’antico nome di Malta. C’è solo un particolare: sull’isola maltese non ci sono mai stati serpenti mentre Meleda ne è piena. Quale la verità?

Per ultimo, proponiamo un nostro spunto di ricerca: quando San Paolo riprese la navigazione verso Roma, costeggiò le terre meridionali italiche. Fosse vera la tradizione croata, lungo le coste in effetti troviamo molti toponimi del tipo ‘Melite’, a partire da ‘Torre Maletta’, oggi Torre Mileto, sulle coste opposte all’isola di Meleda. Non è l’unico caso di omonimie italo-dalmate: vi è l’isola di Lesina sempre in Croazia e Bar (Antìvari, ‘di fronte a Bari’) nel Montenegro e diverse altre. Ufficialmente è stato proposto per Torre Mileto un’origine da parte di Manfredi Maletta, zio materno di Re Manfredi di Svevia, figlio di Federico II, ma non ci sono prove ufficiali.

I miti si mescolano, si intrecciano, come le serpi in amore durante la primavera, continuando a raccontare storie intrise di magia e sacralità. Questo è il Gargano. Questa, l’antica Daunia.

Archivio Giovanni BARRELLA

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