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C’è la crisi. Ma le pizzerie sono piene

Quella che continuiamo a chiamare crisi sta producendo cambiamenti profondi nelle abitudini e nei costumi. Alcuni passeggeri, altri duraturi. La crisi non è uguale per tutti; ci sono settori del ceto medio, quello con due redditi, che non l’avvertono. Ci sono disuguaglianze provocate dall’occupazione femminile e dalle modalità di formazione delle famiglie. Dagli anni Ottanta le donne istruite sono entrate in massa nel mercato del lavoro e hanno avuto accesso a professioni ben retribuite. Per effetto di scelte matrimoniali funzionali e ragionate si è creata una polarizzazione tra famiglie con due redditi medio elevati e famiglie con un solo reddito o due redditi molto modesti. Oggi abbiamo lavoratori poveri a livello familiare (una fascia in aumento nellaUnione Europea), non perché abbiano un reddito da lavoro insufficiente per vivere, ma perché non è sufficiente a mantenere una famiglia, specie con 2-3 figli. All’opposto lavoratori che non guadagnano a sufficienza per mantenersi, riescono a vivere adeguatamente perché condividono altre risorse entro la famiglia.

In genere la fascia media scorre verso il basso. Si appannano i simboli del consumo di massa,  mentre altri crescono. Ci sono beni che si usano e non si posseggono. Un tempo per un giovane arrivare a scuola o all’università con un’auto di grossa cilindrata faceva colpo, in tal modo si manifestava il proprio status, ora lo è di più arrivare in bicicletta o ancor meglio in bike sharing. Condividere beni e servizi fino a ieri non aveva nulla di prestigioso, oggi invece è diverso. La condivisione sta divenendo lentamente una modalità di consumo. Si sta sviluppando (in forme ancora timide) il car sharing tra coloro che abitano nel litorale Sud o nei Comparti, e la tecnologia viene in aiuto per comunicare, anche con i bambini delle scuole elementari, variazioni di orario e luoghi di incontro.

Partecipano i nonni alle spese dei nipoti, comprano i pannolini, omogeneizzati, mantengono agli studi, invitano sistematicamente a pranzo i figli sposati. I nonni con entrate fisse a fine mese, casa in proprietà e risparmi messi da parte sono un punto di riferimento, un legame che nel Sud c’è sempre stato nelle varie crisi ricorrenti. Ci si sposa di meno, ma non si convive di più, si resta più a lungo con i genitori; spie di una generale difficoltà a iniziare un percorso di autonomia. Si acquista diversamente. Si compra quello che si consuma e non si butta niente. Si eliminano le spese non necessarie, vittime in prima linea le boutique dei bei vestiti e delle calzature. Il contraffatto piace. C’è una attenzione alla cucina, al cibo. Nei tanti programmi televisivi si esalta la creatività, le cose povere. Tornano uova e legumi. Cambiano i modelli di consumo. “C’è la crisi, ma le pizzerie sono piene”. È vero. Si fanno, però, delle operazioni intelligenti. Il mangiar fuori sta cambiando, è più povero, essenziale. Si è più liberi, molti sono soli, molte coppie senza figli e il sabato sera si sente il bisogno di uscire, di incontrarsi (ed è un bene), magari si mangia una pizza in due.

Il numero di coloro che si iscrivono all’Università è diminuito nettamente. Quando le risorse sono scarse l’investimento in titolo di studio è un lusso superfluo? Ci sono messaggi contrastanti. Da un lato abbiamo il numero dei laureati più basso d’Europa e dall’altro molti laureati non trovano lavoro. Il titolo di studio come ascensore sociale è in discesa (anzi si è bloccato) e aumenta il dislivello tra ricchi e poveri. Una ragazza, incontrata un po’ di tempo fa, mi disse tra le lacrime: “Mi sono laureata a Foggia, nella mia famiglia sono l’unica ad avere conseguito un titolo così alto. E ora l’unica cosa che riesco a fare è la badante a mia nonna!”. E’ un periodo particolare, che fa guardare attorno e fa scoprire altre esperienze, nuove e creative, che si possono condividere, nuovi modi di fare assieme e di vivere.

 

Paolo Cascavilla

C’è la crisi. Ma le pizzerie sono piene.

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