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“Il mio piano per l’Italia 2023. Ora giù le tasse, a dicembre la riforma del fisco”

Intervista a La Stampa – 24/09/2020 di Massimo Giannini

Presidente, abbiamo scritto che il voto delle regionali blinda il suo governo. È davvero così? Adesso lei si sente davvero più tranquillo?

«Non mi sento di dire che il voto blinda o premia il presidente del Consiglio o il governo. Era un’opinione che avevo già espresso quando alla vigilia del voto si preconizzava una Caporetto alle regionali, quando si azzardavano risultati tennistici. Non ho cambiato idea. Noi saremo giudicati per quanto riusciremo a realizzare nell’interesse degli italiani».

Partiamo dal referendum. Lei lo ha votato, cosa pensa del trionfo del Sì? È un voto contro la casta?

«L’ampia partecipazione è un segno di grande vitalità della nostra democrazia, tanto più in tempo di Covid. Circa 25 milioni di elettori sono andati a votare. È una riforma storica di cui va dato senza dubbio il merito al M5S. Avevo annunciato già il mio voto favorevole e spiegato come la riduzione dei parlamentari non avrebbe comportato alcun vulnus alla rappresentatività. Non è un voto contro qualcuno, ma un voto per rendere più efficiente il sistema istituzionale. E soprattutto è il primo passaggio di un percorso riformatore di più ampio respiro».

Nel “certificato di nascita” del governo c’era un impegno solenne ad accompagnare il taglio dei parlamentari con una riforma della legge elettorale, che in un anno non è stata fatta. Cosa aspettate a correggere le storture del Rosatellum, a partire dalle liste bloccate?

«Tutti, nessuno escluso, hanno evidenziato la necessità di un progetto riformatore ampio che includa anche la riforma della legge elettorale. Questa esigenza non è venuta meno, anzi. Ora dobbiamo accelerare sull’iter già avviato in Parlamento».

Passiamo alle regionali. Il Pd ha ottenuto un risultato insperato, e ora vuole farlo pesare al tavolo della maggioranza. L’asse del governo si sta spostando a sinistra?

«L’asse del governo è sempre stato l’interesse generale, ieri come oggi. La squadra di governo lavora su temi e strumenti per rilanciare e innovare il Paese, per renderlo più equo e inclusivo».

D’accordo, ma Zingaretti reclama il Mes. Perché pesa più il veto dei Cinque Stelle?

«Mi sono dichiarato agnostico sul punto. Non accetto veti. Dobbiamo proseguire con un approccio pragmatico e valutare insieme se vi è un fabbisogno di risorse aggiuntive. In caso positivo esamineremo gli strumenti di finanziamento a disposizione, pubblicamente, coinvolgendo il Parlamento».

L’altra svolta chiesta dal Pd è quella dei decreti sicurezza: lei ha detto che porterà le modifiche al prossimo Consiglio dei Ministri. Cosa vuoi dire “prossimo”? È da un anno che lo ripete…

«C’è un testo condiviso, che affronta il tema senza cedere a slogan, senza dare credito alle semplificazioni binarie del “pro” o “contro” gli immigrati. Ci ritagliamo il tempo tecnico per farlo esaminare dagli uffici e condividerlo nella versione finale. Gli interessi in gioco sono la sicurezza e la protezione di tutti, cittadini e migranti».

Non si è scandalizzato per la vicenda Suarez? Per un calciatore milionario basta un quarto d’ora per ottenere la cittadinanza, per migliaia di ragazzi nati qui ci vogliono 18 anni. Non c’è qualcosa di disumano in tutto questo? Cosa aspettate a varare la legge sullo ius culturae?

«La magistratura sta indagando su questa vicenda e non spetta a me anticipare giudizi. Il tema della cittadinanza non deve essere usato come strumento di campagne elettorali permanenti: rischieremmo di svilirlo, di indebolirne il profondo significato, di usarlo come clava politica. Auspico invece che si avvii in sede parlamentare un’approfondita riflessione che possa valutare serenamente quali siano le condizioni e i percorsi di integrazione più solidi ed efficaci per attribuire lo status di cittadino italiano».

Torniamo alle regionali: dopo «la peggiore sconfitta nella storia del Movimento», come l’ha definita Di Battista, la galassia Cinque Stelle è implosa. Non è una minaccia alla stabilità del governo?

«Nelle competizioni territoriali il M5S ha sempre conseguito risultati inferiori rispetto alle politiche. Sono certo che gli Stati generali saranno l’occasione per un processo di crescita e trasformazione, che servirà a rilanciare la loro azione politica».

Vedremo, ma lei è stato indicato come premier da M5S, non può restare super partes nel dibattito interno. Prima del voto aveva chiesto un’alleanza strutturale con il Pd, e le hanno risposto picche. È ancora convinto che quella sia la strada giusta per il Movimento?

«Il mio invito era rivolto alle forze che sostengono la maggioranza affinché si adoperassero per un dialogo utile a trovare soluzioni condivise e a governare più efficacemente i territori. Ritengo irragionevole rinunciare a valorizzare, anche a livello locale, l’esperienza positiva che stiamo consolidando a livello di governo nazionale. E dunque resto convinto che questa sia la strada giusta e continuerò a lavorare per costruire e non per dividere».

Il quadro politico si è stabilizzato, ma le ricordo che 15 regioni su 20 sono comunque amministrate dalla destra. È davvero è convinto che il ciclo dei populisti-sovranisti alla Salvini stia tramontando?

«Le motivazioni che portano un elettore a votare per il governo regionale sono spesso legate alla dimensione squisitamente territoriale, né possiamo ritenere che tutte le amministrazioni guidate dal centrodestra esprimano un univoco indirizzo sovranista. Ma è certo che il sovranismo in salsa nostrana ha ricevuto un duro colpo con la forte reazione europea, che ha portato all’adozione di un programma di finanziamento che vede l’Italia beneficiaria di risorse pari a 209 miliardi di euro. La pandemia ha infine dimostrato che le chiusure nazionaliste sono velleitarie perché il virus stesso non conosce confini, i sistemi economici sono completamente integrati, e le soluzioni ai problemi possono essere individuate solo in una prospettiva solidale».

Giorgia Meloni ha detto: in un Paese normale, dopo risultati del genere, si andrebbe a votare domattina. Cosa risponde?

«Ripeto: il governo non può essere valutato in base all’esito di consultazioni locali, seppure importanti. Il governo nazionale si valuta in base al suo operato ed è questo che interessa ai cittadini. Abbiamo davanti l’importante sfida di rilanciare l’Italia con un progetto innovativo, di ampia prospettiva. È un impegno che non possiamo realizzare in breve tempo. La stabilità è fondamentale».

A questo punto una crisi e un governo tecnico sembrano scongiurati. Sarà contento, lei che a proposito di Draghi aveva detto «gli ho proposto la commissione Ue, ma mi disse che era stanco». Dica la verità: era un siluro contro un possibile concorrente per Palazzo Chigi o addirittura per il Quirinale…

«La mia era stata una proposta sincera in considerazione della stima che nutro nei confronti di una personalità come Draghi. Come ho già detto, è una grande risorsa del Paese, lo ha dimostrato alla guida della BCE e resto convinto che lo sarebbe stato anche a capo della Commissione. Le mie parole sono state strumentalizzate».

Ora abbiamo di fronte due grandi emergenze. La prima è il Covid e il rischio di una nuova ondata. Lei si sente a posto con la coscienza per tutto ciò che avete fatto finora? Ed è così sicuro che adesso siamo in grado di gestire la seconda ondata senza nuovi lockdown?

«Oggi il Financial Times dichiara che l’Italia è riuscita a gestire meglio di altri paesi europei la nuova emergenza e che ha tenuto sotto controllo l’epidemia. E’ un riconoscimento di cui sono orgoglioso, a testimonianza soprattutto del comportamento esemplare degli italiani. Dal canto nostro, posso garantire che abbiamo sempre fatto il massimo e agito in scienza e coscienza, secondo il principio di massima precauzione e proporzionalità, mettendo al primo posto la salute dei cittadini. Oggi la situazione in Italia è sicuramente migliore rispetto ad altri Paesi europei, e siamo più preparati – anche come sistema sanitario – ad affrontare una eventuale recrudescenza della diffusione del virus. Allo stato attuale escludo la possibilità di un generale lockdown, potrebbero esserci – se necessarie – chiusure ben mirate. La cosa più importante è mantenere un atteggiamento prudente per non vanificare gli sforzi e i sacrifici fatti finora. Chiedo ancora una volta a tutti, specie ai più giovani, di non abbassare la guardia».

La seconda emergenza è il Recovery Fund. Non siamo in ritardo con la presentazione dei progetti, rispetto a Francia e Germania?

«No, l’Italia non è affatto in ritardo, stiamo rispettando la tabella di marcia dell’Unione Europea, che stabilisce i tempi cui ci dobbiamo attenere. Stiamo lavorando con la massima determinazione per definire il Piano. Anzi, le annuncio che intendo offrire ai cittadini uno strumento per poter monitorare costantemente l’attuazione dei singoli progetti che saranno contenuti nel piano di rilancio. Faremo in modo che ci sia un controllo diffuso e che non venga sprecato un solo euro di queste risorse».

È la volta buona per ridurre le tasse, a partire dall’Irpef?

«Siamo già al lavoro per una riforma del fisco che ci permetta di arrivare a un sistema più equo ed efficiente, a vantaggio di cittadini e imprese. Da troppi anni su questo tema abbiamo ascoltato solo annunci, è il momento di agire. Accanto a questa riforma, realizzeremo anche una riforma del processo tributario, che contribuisca a rendere il nostro Paese più competitivo e più attrattivo per gli investitori».

E sull’evasione fiscale? Che fine hanno fatto gli incentivi all’uso della moneta elettronica?

«Questa è una riforma su cui mi sono impegnato personalmente. Dal 1° dicembre è previsto un cashback, cioè un rimborso del 10% su quanto si spende, fino a una spesa massima di 3000 euro: più usi la carta e più guadagni. Ma non solo. Il famoso bonus befana, che da oggi si chiamerà supercashback, sarà di 3000 euro l’anno. Lo abbiamo ribattezzato così, perché – esattamente come il cashback – sarà rimborsato ogni sei mesi. I 100 mila cittadini che useranno maggiormente la carta – cioè faranno più transazioni a prescindere dalla cifra spesa – avranno un rimborso di 3000 euro l’anno. Inoltre, ci saranno fino a 50 milioni di euro in palio con la lotteria degli scontrini, solo per chi usa la moneta elettronica».

Sul dramma del lavoro regna una grande incertezza: cosa succederà quando finirà la cassa integrazione?

«Abbiamo impiegato ingenti risorse finanziarie per tutelare i posti di lavoro e per preservare quanto più possibile il tessuto produttivo. Abbiamo approfittato anche del piano Sure per rinforzare, acquisire ulteriori risorse finanziarie in modo di mettere le nostre imprese nella condizione di mantenere i livelli occupazionali».

Presidente, la leva dello sviluppo sono gli investimenti e le grandi opere. Su questo siamo indietro…

«Proprio per questo non abbiamo aspettato la fine dell’emergenza per mettere in campo gli strumenti della ripartenza. Nei mesi scorsi abbiamo approvato il decreto Semplificazioni, che consente di accelerare i tempi per tradurre gli investimenti e le risorse in opere pubbliche e cantieri che migliorano la vita delle persone, delle città, dei territori. In ‘Italia veloce’ prevediamo oltre 100 opere prioritarie di cui bisogna accelerare la realizzazione, abbiamo creato le condizioni migliori per un cambio di passo. Nei prossimi giorni firmerò un decreto per individuare i cantieri che avranno un percorso accelerato e i relativi commissari».

Bonomi e gli industriali privati temono la Cdp trasformata in una nuova Iri. Torna lo Stato Padrone?

«La pandemia ha richiesto un maggior protagonismo dello Stato in tutto il mondo. Molti economisti hanno sostenuto che senza un intervento pubblico coraggioso e immediato, il mercato come lo conosciamo sarebbe collassato su se stesso. Il governo si è mosso proprio in quest’ottica, non certo con l’obiettivo di sostituirsi al mercato ma di accompagnare il sistema economico fuori dalla fase peggiore della crisi. Lo Stato ha il dovere di proteggere il tessuto economico nell’interesse dei cittadini e per il bene della comunità. Quanto a Cdp, si tratta di un investitore paziente e strategico, che pure controllata dallo Stato agisce secondo logiche di mercato. Quando si è in fase emergenziale, alcuni interventi ben mirati, destinati a proteggere assetti strategici, non possono essere considerati espressione di vetero-statalismo».

E su Autostrade come siamo messi? Avevate fatto un accordo per l’uscita dei Benetton da Aspi, ma la trattativa rischia di saltare di nuovo. Cosa farete?

«Su Autostrade, com’è noto, è in corso un negoziato complesso con Cdp di cui abbiamo però già delineato un percorso. Abbiamo fretta di chiudere questo dossier. Non accetteremo nessuna dilatazione dei tempi».

Lei cita spesso Aldo Moro, ma c’è chi la paragona a Rumor. Prima o poi dovrà pur scegliere cosa fare da grande. In un M5S così balcanizzato non potrebbe essere lei a riportare la pace, assumendone la leadership?

«Per qualcuno sono troppo mediatore, per altri troppo decisionista. In realtà in politica la mediazione deve per forza presupporre al suo interno una carica innovatrice, in quanto deve essere in grado di produrre sintesi e conseguentemente decisione. Penso che si possa mediare e decidere nello stesso tempo, avendo come punto di riferimento l’interesse degli italiani. Per quanto riguarda il M5S, parliamo di una straordinaria esperienza che ha profondamente innovato la politica italiana e che ora è chiamata a compiere un salto che auspico avvenga all’esito di un confronto franco e sereno fra le varie anime. Per quanto mi riguarda, l’impegno di governo è assorbente e richiede la mia massima concentrazione».

Non è stato un po’ improvvido a evocare un secondo mandato per Mattarella?

«E perché mai? Con quella risposta ho voluto esprimere la mia ammirazione e la mia stima per il Presidente Mattarella, per la saggezza e l’equilibrio con cui sta interpretando il suo ruolo».

Mi risponda con una mano sul cuore: lei ogni tanto ci pensa al Quirinale?

«A me interessa dove sarà l’Italia nel 2023. Penso solo a questo. Non partecipo ad altri giochi, non concorro ad altri incarichi. Se con gli investimenti, le riforme e i progetti che vogliamo mettere in campo riusciremo a gettare le basi per rendere il Paese più veloce, più moderno, più verde, più digitale, se riusciremo a ridurre disuguaglianze e divari territoriali, potrò guardare con soddisfazione al lavoro svolto».

E dopo? Torna a fare l’avvocato?Conte sorride, sospira, saluta: «È tardi, vado a cena… Un caro saluto!».

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