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Morta la poetessa Patrizia Cavalli, amica di Elsa Morante

Questa mattina, a Roma, è morta la poetessa Patrizia Cavalli, una delle più apprezzate e riconosciute poetesse del secondo Novecento. Aveva 25 ed era malata da tempo, ma Cavalli con la sua penna – limpida e diretta – è riuscita in una lunga carriera a far arrivare i suoi versi a tantissimi lettori e appassionati di poesia, senza perdere la stima e l’apprezzamento della critica. 

Nata a Todi, la sua passione per la poesia si è strutturata a Roma. Nella Capitale, infatti, arrivo negli anni Settanta e conobbe una delle sue prime maestre: Elsa Morante. Proprio a lei, infatti, Cavalli dedicò il suo primo volume in versi, “Le mie poesie non cambieranno il mondo”, pubblicato da Einaudi nel 1974. Con la Morante c’è stata un’affinità elettiva e personale. “Un giorno volevano farmi incontrare Elsa Morante, ma sono arrivato in ritardo”, ha raccontato Patrizia Cavalli ad Annalena Benini in un dialogo contenuto nel libro “La scrittura o la vita” (Rizzoli). “L’ho incrociata sulla porta mentre se ne andava, e con aria un po’ sprezzante mi ha detto: telefonami se vuoi. Così ho fatto. Lei mi ha dato un appuntamento per andare a pranzo insieme e abbiamo subito litigato: io avevo la certezza di assomigliarle perché aveva scritto Il mondo salvato dai ragazzini, ma lei già stava da un’altra parte mentre io ero una conformista ancora ferma al Sessantotto. In ogni caso, lì è cominciata la mia vita. Da quel momento è cambiato tutto, da così a così”.

Il suo timbro, sin dall’inizio, apparirà subito personalissimo, insieme classico e quotidiano, malinconico e dolorante. Secondo il critico Berardinelli, “il suo lessico è misto e ibrido, ma la sua dizione è immancabilmente pura. Si intuisce subito che è proprio la purezza della dizione lo scopo per cui scrive. Quando una cosa è precisamente detta, la mente guarisce dal malessere, dalla malattia dell’imprecisione”.

Malata da tempo, Cavalli aveva parlato del tempo con la sua malattia e con la scrittura. “Cerco di usare questa malattia a mio vantaggio, sto ricopiando tutto quello che ho scritto a mano, anche cose di insignificanza assoluta, quasi come un esercizio di auto dispetto. Mi misuro con le mie goffaggini, le insipienze, con quella che sono, perché quello che ho scritto è anche quello che sono”. Alla domanda sulla paura della morte, la poetessa aveva risposto così. “Quando ci penso molto, sì, ho paura, poi faccio finta di niente, perché so che non gioverebbe vivere nel terrore. Se penso alla mia morte quasi quasi mi dispiace più per gli oggetti che per le persone. Mi mancherà proprio la bellezza degli oggetti”. 

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