Manfredonia

La raccolta delle acque nelle Grotte Scaloria-Occhipinto

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LA RACCOLTA DELLE ACQUE NELLE GROTTE SCALORIA-OCCHIOPINTO.

Torniamo a parlare dello straordinario complesso ipogeico di Scaloria-Occhiopinto, nel territorio di Manfredonia, soffermandoci sulla pratica sacra della raccolta delle acque sotterranee.

In questa parte caratteristica della Daunia, affacciate sulla piana carsica che guarda il promontorio del Gargano e il mare, si trovano queste due grotte dal fascino arcaico e misterioso: Scaloria e Occhiopinto. Questi siti, parte di un unico complesso ipogeo, hanno attraversato millenni di storia umana, trasformandosi da semplici ripari a santuari del sacro e della memoria. Vediamo nel dettaglio, facendoci guidare da un recente studio (fonte alla fine del post).

Grotta Scaloria, oggi sigillata, custodisce una lunga frequentazione che risale al Neolitico. Nei suoi recessi più oscuri, l’acqua, che stilla dalle pareti e si raccoglie nei laghetti inferiori, è stata al centro di rituali antichi. Ricerche recenti hanno svelato la morfologia originaria dell’ingresso, un’ampia apertura che illuminava la cavità e ne facilitava l’accesso, ribaltando l’idea di un luogo nascosto e angusto. Ma col tempo, gli accessi si sono chiusi, e la grotta si è trasformata in un luogo quasi dimenticato.

Proprio lì, al di sotto di un grande masso di crollo, è stata trovata una sepoltura risalente al Neolitico tardo, a conferma di una continuità d’uso cultuale. L’ambiente della grotta diventa simbolico: è spazio liminale, dove sopra e sotto, sacro e profano, luce e tenebra si incontrano. Le ricerche mostrano come la funzione abitativa abbia gradualmente lasciato posto a un uso rituale e simbolico, culminando in pratiche che celebravano la vita più che la morte.

A differenza di Scaloria, la grotta Occhiopinto è rimasta accessibile fino ai nostri giorni, frequentata anche da pastori e contadini. La sua lunga storia d’uso è testimoniata da reperti dell’età dei Metalli, ma anche da una serie enigmatica di vaschette scavate nel pavimento roccioso, distribuite in file ordinate e posizionate proprio sotto i punti di massimo stillicidio.

Queste vaschette – e il sistema di canalette ad esse collegato – sollevano interrogativi ancora aperti: erano parte di un complesso sistema di raccolta dell’acqua per scopi pratici? Oppure avevano una funzione rituale, legata a culti delle acque sotterranee? Il guano dei pipistrelli, presente in alcune aree della grotta, ha innescato processi chimici di corrosione delle rocce, ma le dimensioni e la regolarità delle vasche fanno pensare a un intervento intenzionale.

L’acqua, del resto, ha da sempre avuto una doppia valenza: risorsa vitale e simbolo di rigenerazione. In ogni epoca, da quella neolitica fino al Medioevo, le comunità hanno cercato e venerato l’acqua nelle sue molteplici forme. A Scaloria e Occhiopinto, questa relazione si concretizza in strutture, riti e offerte, dove il confine tra utilità e sacralità è sottile, fluido, proprio come l’elemento che le pervade.

Queste grotte non sono solo cavità nel terreno, ma veri e propri teatri naturali di esperienze multisensoriali e spirituali. Oscure, silenziose, umide, offrono un ambiente totalmente altro rispetto alla superficie: un luogo di passaggio tra mondi, di contatto tra vivi e invisibile.

Il contributo degli autori di questo studio sottolinea come solo una lettura complessa e multidisciplinare possa restituire senso a questi spazi. Le grotte di Scaloria e Occhiopinto, nella loro ambiguità, rappresentano la perfetta incarnazione dello “spazio sacro” nella preistoria mediterranea: un luogo che accoglie, trasforma e conserva la memoria ancestrale dell’uomo e del suo rapporto con la natura e il divino.

Archivio di Giovanni BARRELLA.

Fonte e fotografie:

– E. Isetti, L. Coppolecchia, N. Leone, D. Pian, I. Rellini, G. Rossi, A. Traverso, “Strutture ipogeiche e raccolta delle acque da Grotta Scaloria e Grotta Occhiopinto”, in 41° CONVEGNO NAZIONALE sulla Preistoria – Protostoria – Storia della Daunia, San Severo, 2021

Garganodascoprire

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