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“In piedi, signori, davanti ad una donna”

“C’è stato un omicidio. Dobbiamo andare sul luogo a documentarci”. Era il 13 novembre del 2004. Da poco ero diventata corrispondente da Manfredonia per La Gazzetta del Mezzogiorno, quando mi giunse una telefonata trafelata e dopo qualche minuto mi ritrovai nei pressi dell’ex Enichem, a pochi metri da un corpo senza vita.

“Sarà stato un delitto di faida”, pensai, senza riuscire ancora a scorgere i lineamenti del cadavere che giaceva poco più in là. Poi la macabra ed orrenda rivelazione degli agenti sul posto: “Si tratta di una ragazza appena quindicenne”. Vidi da lontano sollevare un esile corpicino dai lunghi capelli scuri e penzolanti e girai di scatto la testa, per rispetto. In quel momento il sangue mi si gelò nelle vene ed una sola domanda mi attanagliò la mente: Perché?

‘Perché’ è quanto si chiesero anche i cittadini di Manfredonia. ‘Perché’, fu l’interrogativo a cui gli inquirenti lavorarono per dare una risposta. ‘Perché’ divenne l’atroce avverbio che straziò il cuore dei famigliari di Giusy Potenza, la giovanissima vittima di un efferato omicidio.

Iniziò la caccia al ‘mostro’, salvo poi scoprire che si trattava di un 27enne padre di famiglia al di sopra di ogni sospetto, Giovanni Potenza, un cugino del padre che aveva agito d’impeto per un movente passionale.

Quando dopo un mese e mezzo si diffuse la notizia dell’arresto, presso il Commissariato di Manfredonia si radunarono decine di persone. E mentre la gente cominciò ad urlare a squarciagola: “Assassino!”, due pescatori l’osservarono e riconobbero. “È Giuann (Giovanni)!”. Poi, uno di loro disse: “Il giorno che hanno trovato Giusy abbiamo giocato a calcetto insieme. Gli ho chiesto se aveva sentito quello che era successo alla figlia del cugino e mi ha risposto: Nun saccje ninte (non so niente)”.

A Giovanni Potenza, incensurato, gli inquirenti pervennero dopo un eccellente lavoro investigativo, bloccandolo di notte nel porto di Termoli, a bordo del peschereccio sul quale lavorava. Era un insospettabile, come quasi sempre accade in questo tipo di delitti.

L’omicidio di Giusy Potenza fu il primo caso di femminicidio che sconvolse mediaticamente l’Italia intera. Il Pubblico Ministero Letizia Ruggeri, che lavorò al caso della 13enne di Brembate, Yara Gambirasio, in un’intervista ha confessato di aver scelto di dedicarsi a questo lavoro perché in quel 2004 rimase profondamente scossa dal delitto di Manfredonia.

Giusy era ancora una bambina, appena adolescente, che da soli 55 giorni aveva iniziato a frequentare il liceo e che probabilmente come tante sognava da ‘grande’ di diventare famosa ed apparire in televisione. Grande, purtroppo, non lo è mai diventata, ma famosa sì, nel modo più tragico e doloroso.

Quanti ‘mai più’ ho sentito dire da allora. Invece il femminicidio è ormai all’ordine del giorno.

Oggi, Giornata Internazionale Contro la Violenza sulle Donne, io comincerei dagli uomini. Perché è a loro che bisogna insegnare che la donna non è un oggetto, non è un trofeo, non è una serva. È a loro, fin da bambini, che bisogna insegnare ad averne rispetto.

Ricordando Giusy e tutte le altre numerosissime donne barbaramente uccise, a seguire un brano tratto da una meravigliosa poesia in rete:

Per tutte le violenze consumate su di Lei,
per tutte le umiliazioni che ha subito,
per il suo corpo che avete sfruttato,
per la sua intelligenza che avete calpestato,
per l’ignoranza in cui l’avete lasciata,
per la libertà che le avete negato,
per la bocca che le avete tappato,
per le ali che le avete tagliato,
per tutto questo:
in piedi, signori, davanti ad una Donna.

Maria Teresa Valente

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Redazione

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