Il Gargano e il Natale: atmosfere di un tempo

IL GARGANO E IL NATALE: ATMOSFERE DI UN TEMPO.
Quando pensiamo al Gargano, le prime immagini che si formano nella nostra testa ci propongono atmosfere estive, cariche di sapori e odori di una stagione capace di esaltare tutto quanto di buono c’è nel nostro Promontorio.
Ma le atmosfere migliori non appartengono soltanto all’estate: anche nel mese di dicembre, con l’avvento di quello che comunemente viene appellato “Spirito del Natale”, l’animo dei garganici si ritrova al cospetto di emozioni e sensazioni uniche.
Tante le tradizioni messe, anche letteralmente, sul “piatto”: memorie, costumanze, cibi, folklore, molto spesso abbastanza differenti tra paese e paese ma, in generale, identici nella loro genuinità e significato intimo. Molte di queste tradizioni affondano le loro radici in un tempo anteriore all’arrivo del Cristianesimo. Qui di seguito proponiamo un sunto di varie usanze garganiche (e non solo) legate al periodo natalizio, facendoci guidare da Saverio La Sorsa, Giovanni Tancredi e Teresa Maria Rauzino.
LA MAGIA DEL NATALE DI UN TEMPO.
Era l’inizio di dicembre e un’atmosfera di attesa palpabile avvolgeva le città e i paesi del Gargano. Il suono dolce della “pastorella” o della “ninna nanna” si levava dagli organi delle chiese già dal giorno di San Nicola, il 6 dicembre, come ci racconta Saverio La Sorsa nelle sue opere, ma era Giovanni Tancredi a dipingere con pennellate vivide i quadri del Natale garganico, dove ogni dettaglio si trasformava in poesia.
L’ARRIVO DEGLI ZAMPOGNARI.
Nei piccoli centri del Gargano, soprattutto a Monte Sant’Angelo, l’annuncio del Natale non arrivava solo dai cieli limpidi e dai venti pungenti, ma dai suoni melodiosi della zampogna e della ciaramella. Dall’Abruzzo, dal Molise e dalla Basilicata giungevano i robusti zampognari, avvolti nei loro pesanti mantelli di lana. Il più anziano, con la barba bianca, soffiava nella zampogna mentre il più giovane compagno suonava il piffero. Insieme, intonavano novene davanti a botteghe, case e focolari, seguiti da gruppetti di bambini curiosi.
Le note melanconiche e gioiose si diffondevano nell’aria gelida, toccando l’animo di chiunque ascoltasse, dalle popolane ai patriarchi di famiglia. Gli zampognari, con un’umiltà mistica, concludevano ogni esibizione con una riverente “scappellata” e un saluto promesso: «Addio, sor padrò».
NELLA SACRA GROTTA DELL’ARCANGELO.
La notte di Natale, il loro viaggio culminava nella Grotta dell’Arcangelo, a Monte Sant’Angelo. Qui, con cappelli sotto il braccio in segno di devozione, gli zampognari suonavano la “pastorella” sulle note della pastorale di Bach. Le melodie vibravano tra le antiche pietre della Grotta, mescolandosi ai sospiri di fede e commozione dei fedeli.
IL FOCOLARE DOMESTICO E IL CEPPO ARDENTE.
Nelle case garganiche, il focolare domestico era il cuore pulsante della vita familiare. Durante la notte santa, un grande ceppo veniva acceso con un rito quasi sacro. Il fuoco doveva ardere senza interruzioni fino all’Epifania, proteggendo la casa e i campi dalle disgrazie. La cenere del ceppo, infatti, simbolo di purificazione, veniva successivamente sparsa nei campi come auspicio di abbondanza per il raccolto.
IL PRESEPE E I CANTI DI NATALE.
Le case si trasformavano in piccoli santuari grazie ai presepi, che riproducevano con minuziosa cura monti, valli e grotte ricoperte di muschi e arbusti. Non mancavano angeli sospesi e lumini accesi, che illuminavano la scena della Natività. In molte case, il presepe era benedetto dal capofamiglia e adornato con frutti e dolci, pronti per essere gustati durante il Natale.
A Peschici, canti natalizi riempivano le serate, mentre i bambini intonavano nenie dedicate a Gesù Bambino. Ogni strofa era una promessa: un capo del corredino per il Bambinello veniva aggiunto, immaginato confezionato dalla Madonna durante i momenti di quiete.
PREPARATIVI E TRADIZIONI CULINARIE.
Il periodo natalizio era un trionfo di sapori e odori. Le massaie si dedicavano alla preparazione di dolci e piatti tradizionali: le cartellate, le pettole, i calzoni di ricotta, i peperati, tutti simboli di devozione e prosperità. A Peschici, le pettole, lunghe e dorate, erano protagoniste della tavola. Ogni preparazione seguiva rituali e superstizioni: la donna che friggeva non doveva bere, e nessun dolce poteva essere elogiato senza dire: «Dio la benedica».
A San Nicandro Garganico, dalle basse finestre delle case al pianterreno e lungo i viottoli del centro, il profumo di mandorle e cannella inebriava la mente e i cuori.
LA NOTTE DELLA VIGILIA.
La notte del 24 dicembre, il Gargano si animava come mai. Le strade si riempivano di bancarelle, musica e risate. Nei mercati, capitoni, triglie e anguille si contendevano l’attenzione dei passanti, mentre le famiglie, strette attorno al camino, attendevano il cenone. Ogni pietanza portava con sé tradizioni antiche: dalle fettuccine con ceci al capitone fritto.
CREDENZE E UN PIZZICO DI MAGIA.
La notte di Natale era avvolta da un’aura di mistero. Si diceva che gli animali potessero parlare, ma spiarli portava sfortuna. Il ceppo doveva ardere senza spegnersi, pena il cattivo augurio per il capofamiglia. Si lasciava la tavola imbandita per accogliere le anime dei defunti, e le donne osservavano il proprio riflesso nello specchio per scoprire l’identità del futuro sposo.
Allo scoccare della mezzanotte, i vecchi insegnavano ai giovani gli scongiuri per evitare le tempeste, o il “pater noster verde” per allontanare i tifoni e distruggere il malocchio.
E ancora. Nei paesi del Foggiano si credeva che chi nascesse nel giorno destinato al Bambino, divenuto giovane, venisse preso da una forma di pazzia, per diventare “lupo mannaro”. Per guarire tale malattia occorreva, con coraggio, pungere con la punta di un coltello l’ammalato, allo scoccare della mezzanotte, per “fargli uscire il sangue cattivo”.
LA CELEBRAZIONE DEL GIORNO DI NATALE.
Finalmente, il giorno tanto atteso. Le famiglie si radunavano nelle chiese per assistere alle tre messe tradizionali. Dopo i riti, le strade si riempivano di auguri e doni. Anche la natura partecipava alla festa: quando il cielo si presentava sereno esso prometteva abbondanza per l’anno a venire, e i contadini scrutavano i campi in cerca di segni di buon auspicio.
La descrizione del Tancredi ci mostra in modo vivido l’idea di quello stare tutti insieme, accalcati nella Sacra Grotta: saltano inevitabilmente gli austeri e puritani tabù di quel tempo, che impedivano ai giovani innamorati di stare a stretto contatto fisico. «In questa Santa Notte, nella Reale Basilica, fermentano gli amori in un dolce contatto di fianchi, di braccia, di piedi». Naturalmente, nell’attesa della funzione, la Grotta dell’Angelo, come tutte le altre chiese, si trasformava in animata sala di conversazione; e si assisteva anche a curiosi scherzi: «I giovani, in questa confusione, cuciono le vesti alle giovanette, alle donne anziane, le quali, all’uscita della chiesa, trovandosi legate, gridano e inveiscono contro i giovani maleducati».
UN NATALE CHE VIVE NEL RICORDO.
Le antiche atmosfere natalizie, fatte di melodie, tradizioni e fede, sono un’eredità che il tempo rende più preziosa. Come diceva Giovanni Tancredi, ogni gesto, ogni suono e ogni sapore del Natale di un tempo ci ricorda che in quelle notti non nasceva solo Gesù, ma rinascevano la speranza e la comunità.
Per approfondire nel dettaglio il ricordo delle tradizioni garganiche, rimandiamo ai seguenti lavori:
– Teresa Maria Rauzino (che ringraziamo), https://www.mondimedievali.net/microstorie/natale.htm.
– Giovanni Tancredi, “Folklore garganico”, 1938.
– Saverio La Sorsa, “Usi, costumi e feste del popolo pugliese”, 1930.
Archivio di Giovanni BARRELLA