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Epicinio sulla 32^ Serie D

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Epicinio sulla 32^ Serie D


Il vento del Gargano soffia come sempre, frustando le barche e i pensieri dei pescatori, e a ogni folata sembra riportare sul Miramare i fantasmi di una storia calcistica che non si è mai arresa.

Il Manfredonia si prepara al suo trentaduesimo campionato di Serie D, e già questo è un traguardo che puzza di fatica e gloria minore, di categorie che per altri sono cenere e per i sipontini sono ossigeno.

Non è un anniversario tondo, non un numero da celebrare, ma è un macigno di partite, chilometri, palloni calciati su sterrati e poi su campi che odorano ancora di alghe salmastre. Qui il calcio è sudore misto al sale del mare.


Il girone H della Serie D, stagione 2025/26, si annuncia come sempre: il più feroce e il più romantico d’Italia.

Ogni anno lo si dice, e ogni anno non basta.

Dentro ci sono nomi che evocano battaglie di provincia e guerre civili sportive: Barletta, Fidelis Andria, Nardò, Martina, Francavilla, Gravina. Ci sono sorprese nuove, come Candela, Afragolese e Pompei, che i sipontini non hanno mai incontrato. E c’è la Paganese, con quell’aura di chi ha calcato i palcoscenici professionistici e non vuole smettere di farsi chiamare signora.

Il calendario non è un elenco: è un rosario di pene e di gioie, di scontri che fanno tremare le gradinate.
Il derby personale dello scrivente sarà Pompei-Manfredonia. Perché c’è un legame d’adozione, stabiese di cuore, nell’Ager Stabianus che Plinio descrisse fertile e salubre.

Un territorio tra i monti Lattari e il mare, dove il latte dei bovini diventa oro bianco: la Filiata, la Provola affumicata, il Provolone del Monaco. Qui la civiltà ha imparato a mescolare terra e mare, collina e pianura, grano e latte, per farne sostanza e piacere. È lo stesso territorio che ha regalato calciatori ruvidi, piazze infuocate, campi che sapevano di tenzoni eroiche.


E allora, mentre a Manfredonia si pensa al debutto con il Francavilla in Sinni, o ai ricordi pesanti contro il Barletta, io non posso che pensare al mio personale derby col Pompei: è una geografia sentimentale che non rispetta confini ma intreccia radici, amori e nostalgie.


La storia dei precedenti racconta di un Manfredonia che contro il Barletta ha vissuto ventitré battaglie: cinque vinte, nove pareggiate, nove perse, diciotto gol segnati, ventisei subiti, non ha un bilancio trionfale, ma neppure una resa. Una parità spezzata da un filo di malinconia, come i litigi tra fratelli che non finiscono mai. La rivalità con i barlettani non è solo sportiva: è territorio, è vicinanza che diventa urto. Ogni volta che il Manfredonia incontra il Barletta, il calcio sembra tornare a essere quello di una volta, di scontri grevi e cori roboanti, di viaggi in corriera per raggiungere l’Università con il cuore serrato in ispecie il lunedi’ mattina, e farsi l’Adriatica attraversando paesi, finestre, umori.


Il girone H non è fatto solo di squadre, ma di uomini. Qui nascono e si consumano i calciatori che restano leggende nelle loro città. Si parla di bomber che conoscono il mestiere del gol come un muratore conosce il cemento, di mediani che azzannano le caviglie, di fantasisti che accendono un campo fangoso come un fiammifero nel buio. Nardò schiera ancora attaccanti di razza, pronti a far tremare difese impaurite. La Fidelis Andria ha giovani che aspettano solo di spiccare il volo verso categorie superiori. Il Martina sembra aver trovato la misura giusta tra spettacolo e sudore.


Il Manfredonia porta con sé il fascino di chi ha vissuto più volte la resurrezione. Non c’è più Castriotta con la sua essenzialità possente, né Renzulli con i suoi dribbling da giocoliere, né D’Errico con le sue bordate fulminanti, nemmeno Max Vadacca e Paki Trotta. Ma la loro ombra aleggia ancora sul Miramare, sterrato o rifatto che sia. Ogni volta che un sipontino calcia forte o salta un uomo, la memoria corre a loro, a un calcio che sapeva di terra bruciata dal sole e di pubblico appeso alle reti.


Chi scrive ha distrutto parte di questa memoria. Nella notte del 23 agosto scorso, dopo il Galà dello Sport, ho deciso di dare al macero ricerche, giornali, fotografie. Volumi composti e mai pubblicati sulla storia di Manfredonia calcio (e non solo) sono stati ridotti a nulla. Era un atto di rabbia, o forse di disperazione.

Pensavo: basta con il passato, viva solo il presente. Ma il calcio, il calcio vero, non ti lascia mai. Il passato ritorna ogni volta che uno stadio si accende, ogni volta che un vecchio amico racconta di un gol visto da ragazzo, ogni volta che i fanciulli di oggi corrono su un campo dove altri hanno lasciato le proprie impronte.


Il girone H insegna proprio questo: che il calcio non è mai solo tre punti. È identità. Ogni borgo, ogni città che manda undici uomini in campo porta con sé secoli di storie, tradizioni, orgoglio. Candela non sarà solo un nome nuovo, ma un grido di territorio. Afragolese sarà la voce di Napoli che si riversa in provincia. Pompei porterà con sé il mito eterno di una città sepolta e risorta, come a dire che nulla muore davvero.


E allora il Manfredonia cammina, ancora una volta, tra rovine e speranze, tra mare e vento. Sa che ogni partita sarà romanzo, che ogni gol sarà poesia. Nonostante le ferite, nonostante il macero e la malinconia, il calcio sipontino resta vivo.
Le luci del Miramare si accendono ancora, e chi ama questa squadra sa che la storia non è mai finita. Perché il calcio da noi, non perisce: si rigenera, come il vento che continua a soffiare dal Gargano, eterno e implacabile.

Giovanni Ognissanti

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