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“Dolcetto, scherzetto o nu fiche?” Halloween nella tradizione sipontina da quasi duemila anni

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Quando si avvicina #Halloween, puntualmente a #Manfredonia ci dividiamo in squadre: laici contro cattolici e favorevoli o contrari ad una festa che ai più appare del tutto estranea alle nostre tradizioni. Invece, ci sbagliamo. Anzi, per dirla tutta, a differenza del resto d’Italia (e del mondo) che ha assimilato in tempi recenti questa festa dal sapore anglosassone, per noi sipontini Halloween è una tradizione ultramillenaria. Certo, non la chiamavamo proprio così, ma andiamo con ordine.
La parola Halloween deriva da All Hallows (ogni santo) e si riferisce alla notte di Ognissanti festeggiata il 31 ottobre nell’Irlanda celtica del V secolo a.C.. Secondo la leggenda, durante questa notte gli spiriti dei defunti vagavano in cerca di un corpo da possedere per l’anno successivo. E per non essere ‘posseduti’, i contadini si mascheravano per imbruttirsi e giravano di casa in casa, per spaventare gli spiriti e farli scappare.

Quando gli antichi romani invasero la Bretagna durante il I sec. a.C., fecero proprie queste pratiche celtiche che rimasero talmente radicate nella popolazione, da passare intatte anche attraverso l’avvento del Cristianesimo passando dall’essere pratiche per scacciare gli spiriti maligni a pratiche per invocare la protezione delle anime dei propri cari estinti. La tradizione del trick or treat (dolcetto o scherzetto) sembra trarre origine proprio dal souling, una pratica cristiana del IX sec. d.C., che in italiano potremmo tradurre come ‘elemosinare anime’: il giorno di Ognissanti, i primi Cristiani si recavano di villaggio in villaggio elemosinando un po’ di pane d’anima, un tipo di dolce a forma quadrata con l’uva passa. Più dolci ricevevano, più preghiere promettevano per i parenti morti dei donatori. A quell’epoca si credeva che, dopo la morte, le anime dei defunti rimanessero per un certo tempo nel limbo e che le preghiere, recitate anche da estranei, potessero rendere più veloce il passaggio in paradiso (fonte ManfredoniaNet).

Ecco dunque che il solco della tradizione celtica e poi cristiana incrocia la nostra. Non dobbiamo dimenticare che Siponto è stata una delle più importanti e fiorenti colonie romane e che proprio qui da noi il cristianesimo ha conosciuto i suoi albori. Tradizione vuole che sia stato San Pietro in persona, apostolo di Gesù, fondatore della chiesa cattolica e primo papa, a dare il via il cristianesimo a Siponto durante una sua sosta nella nostra terra. Ebbene, la tradizione celtica importata dai romani possiamo dire sia rimasta a Siponto, e poi a Manfredonia, praticamente da duemila anni.

Fino a non molto tempo fa nella nostra città c’era infatti la credenza che nella notte tra il giorno di Ognissanti e il 2 novembre i morti ritornassero sulla terra, nelle proprie case, per far visita ai parenti. Qui l’aneme ‘u Priatòrje (l’anima del Purgatorio) trovava la tavola imbandita: non dovevano mancare pane, acqua e un ramoscello di ulivo benedetto, conservato per l’evenienza già da Pasqua. Spesso c’era anche una lucerna, realizzata con un piccolo contenitore dove nell’acqua santa galleggiava olio d’oliva in cui veniva posto uno stoppino acceso, per rischiarare la stanza all’arrivo dei defunti.

Durante la visita notturna, inoltre, i bimbi ricevevano le cosidette cavezette di murte (la calzetta dei morti). In pratica, i bambini lasciavano una calza vuota ai piedi del letto che i propri cari estinti riempivano di noci, mandorle, carrube, mele cotogne e melograni. Quelli più birbanti, però, la trovavano piena di carboni come punizione. Il pomeriggio del 2 novembre, giorno della commemorazione dei morti, i bimbi di Manfredonia si riunivano in gruppetti e andavano di casa in casa per finire di riempire le loro calze. Bussavano alle porte di parenti, conoscenti ed estranei e dicevano: “L’Aneme ‘i Mùrt! (l’anima dei morti)”. Dopo un breve scambio di convenevoli pronunciavano “e damme nu fiche, e damme nu fiche” e ricevevano in dono castagne lesse o arrostite, fichi secchi, pezzi di cotognata, caramelle e dolciumi che mettevano nelle loro calze.

A ben vedere, dunque, la festa di Halloween, con il suo girare per le case e lo scherzetto è molto simile alla tradizione sipontina. La zucca illuminata, poi, ricorda il lumino che ogni famiglia metteva sulla tavola per rischiarare la stanza per l’arrivo dei propri cari. E persino il travestimento ci appartiene, con la differenza che noi sipontini ci mascheriamo a carnevale.

Ben venga Halloween, dunque, ma non per cancellare e dimenticare le nostre tradizioni, bensì per rispolverarle e tenerle vive: un popolo senza memoria storica non ha futuro.

Maria Teresa Valente

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Maria Teresa Valente

Giornalista pubblicista dal 2000 ed impiegata, esercita anche l’attività di mamma full time di due splendidi e vivacissimi bambini: Vanessa e Domenico. È nata e cresciuta a Manfredonia (FG), sulle rive dell’omonimo Golfo, nelle cui acque intinge quotidianamente la sua penna ed i suoi pensieri. Collabora con diverse testate ed ha diretto vari giornali di Capitanata, tra cui, per 10 anni, Manfredonia.net, il primo quotidiano on line del nord della Puglia. Laureata in Lettere Moderne con una tesi sull’immigrazione, ha conseguito un master in Comunicazione Politica ed è appassionata di storia. Per nove anni è stata responsabile dell’Ufficio di Gabinetto del Sindaco di Manfredonia. Ancora indecisa se un giorno vorrebbe rinascere nei panni di Oriana Fallaci o in quelli di Monica Bellucci, nel frattempo indossa con piacere i suoi comodissimi jeans, sorseggiando caffè nero bollente davanti alla tastiera, mentre scrive accompagnata dalla favolosa musica degli anni ‘70 e ‘80.

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