Storia

Case e rifugi rurali del Gargano: un museo a cielo aperto dell’architettura in pietra

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CASE E RIFUGI RURALI DEL GARGANO: UN MUSEO A CIELO APERTO DELL’ARCHITETTURA IN PIETRA.

Chi oggi percorre a piedi o in bicicletta le campagne garganiche, tra uliveti, pascoli sassosi e sentieri che s’inerpicano tra i muretti a secco, rimane subito colpito dalla straordinaria varietà di rifugi e strutture in pietra che punteggiano il paesaggio.

Si passa a volte nel giro di poche decine di metri da un ipogeo scavato nella roccia viva a una cappella rurale trasformata in stalla, da un pagliaio in pietra a cupola che pare uscito da un villaggio preistorico a una masseria a due piani con scala monumentale.

Ogni struttura sembra raccontare una diversa stagione dell’abitare umano: l’urgenza del riparo, la vita nomade dei pastori, la sedentarietà dei contadini, l’ambizione dei massari più ricchi. Non esiste un solo modo di abitare la campagna garganica: esiste una costellazione di soluzioni, nate nelle varie epoche storiche per necessità e conservate per abitudine, che rendono questo territorio un vero museo all’aperto dell’architettura rurale in pietra e in natura.

Uno studio articolato su questo argomento è stato condotto tempo fa da Osvaldo Baldacci, nel suo “La casa rurale nel Gargano”. Da tale scritto emerge tutta la meraviglia dell’autore nel descrivere e raccontare la ricchezza di strutture abitative offerta dalle campagne del promontorio.

Nel Gargano, infatti, l’abitare in campagna non è mai stato solo questione di avere quattro mura intorno e un tetto: era un adattamento continuo a un territorio duro, roccioso e avaro d’acqua. Le case sparse non nascevano per comodità, ma per necessità. E proprio per questo assumevano forme diversissime, dalla grotta naturale o scavata alla masseria, dal pagliaio di sassi alla torre isolata. La pietra calcarea del promontorio, abbondante e facilmente lavorabile, ha fornito il materiale principe per ogni tipo di dimora rurale, dalle più povere alle più complesse.

La forma più antica e assai presente è la dimora ipogea, la grotta (la ruttë) scavata nella roccia viva. Nelle epoche più antiche gli ipogei avevano altro utilizzo ma in tempi più recenti nel Gargano si sono rivelati un vero e proprio rifugio, ma non solo di miseria: spesso veniva scelta per tradizione e per vantaggio climatico. Fresca d’estate e più mite d’inverno rispetto alle case di superficie, la grotta era un ambiente monocellulare, con pareti imbiancate a calce e pavimento in terra battuta.

Gli esempi più caratteristici a Peschici, Monte Sant’Angelo, Macchia, Bagno di Varano e Rignano Garganico.

Le aperture sono minime, spesso solo una porta e un foro per il fumo. Quando una famiglia cresce, non si costruisce altro: si scava un’altra stanza. Sono stati documentati veri e propri nuclei trogloditici, con trenta cavità collegate da sentieri e muretti, simili a villaggi ‘preistorici’ ancora vivi.

Affiancata alla grotta troviamo un’altra forma di abitazione rudimentale ma diffusa: la torre monocellulare, un cubo o cilindro in pietra, isolato, anche di diversi metri di altezza, con un unico vano. A Carpino e Ischitella, ad esempio, se ne trovano esempi massicci, poi spesso ampliati con accrescimenti successivi.

L’abitazione rurale elementare più comune, però, è quella con due ambienti giustapposti, o talvolta sovrapposti con scala esterna. Sono costruzioni di un’economia primitiva ma funzionale: stanze senza intonaco, pavimenti in terra battuta, tetto a due falde con travi in legno e copertura di pietre piatte o coppi.

La porta è quasi sempre a due battenti, con quello superiore apribile per far passare aria e luce: un finestrino rustico detto ‘a finestreciddë’, mentre chiude tutto un robusto catenaccio di legno, il ‘catenazzo’. Davanti alla facciata si estende spesso un pergolato, struttura non ornamentale ma climatica: in estate crea ombra, in inverno lascia passare il sole, diventando un piccolo portico stagionale.

Col salire di complessità si arriva al casino rurale, casa a più piani presente soprattutto sui versanti con uliveti, vigneti e agrumeti. Il piano superiore è abitativo, quello inferiore rustico, con deposito per attrezzi o ricovero per animali. Quando la stalla diventa parte integrante della struttura, il casino assume il nome di masseria.

La ‘masseria ischitellana’, ad esempio, è tipicamente legata all’associazione tra oliveto e allevamento: un edificio a due livelli con scala esterna o interna, spesso costruito per più famiglie. Nella zona verso il Tavoliere si sviluppano invece le masserie cerealicolo-pastorali, derivate dal mondo della transumanza: qui la stalla è ampia, con loggiati coperti e tetto a padiglione molto alto, che funge da cucina, dormitorio e laboratorio per i pastori.

Con una interessante diffusione territoriale, troviamo i pagliai, strutture a secco che rappresentano la forma più interessante dell’abitato temporaneo. Ne esistono in pietra, in pietra e paglia, o anche solo in paglia. Il tipo più elementare è formato da una cupola circolare, compatta, con pareti spesse e copertura ogivale formata da pietre lastriformi (chianche), aperta solo da un foro di tiraggio del fumo. Spesso una scala esterna integrata nella muratura permette di salire sul tetto per controlli o per fare da vedetta durante mietitura e vendemmia. Il Baldacci ha individuato nei pressi di Rignano Garganico un modello da lui definito unico: un pagliaio rettangolare con tetto a due falde, nicchie interne, focolare e piccoli fori per la luce, coperto da uno strato erboso vivo che funge da isolamento naturale.

Diverse ancora sono le capanne di paglia collegate alla vita pastorale estiva. Alcune hanno base in sassi e tetto di canne o grano, altre sono interamente in materiali vegetali. Queste forme sono comuni nelle zone a frazionamento agricolo intenso, mentre nei pascoli aperti prevalgono i recinti pastorali, complessi con spazi murati per gli animali e piccole celle per l’uomo. Il tipo più tipico è il ‘recinto garganico’, con muro a secco detto ‘lamione’, spiazzo per il bestiame e zona coperta per la mungitura.

Un’altra categoria da non trascurare è quella delle abitazioni con rustici adiacenti, dove la casa è separata dai locali agricoli da un semplice tramezzo o da un muro maestro. Talvolta un solo tetto copre sia la stanza del contadino che la stalla. Il tetto garganico è quasi sempre a due falde leggere, retto da travi grezze: solo nelle masserie più articolate compaiono volte in pietra o tetti a padiglione con comignolo centrale.

Non mancano le abitazioni con vani sovrapposti raggiunti da scala esterna: sono le forme che preludono al palazzo rurale, edificio più ricco e nobilitato, eredità di epoche di fortificazione e di difesa contro i briganti. Alcune case rurali mostrano torrette annesse, reminiscenze della vita armata nelle campagne meridionali.

Infine, accanto alle costruzioni vere e proprie, il paesaggio rurale è punteggiato da elementi funzionali come cisterne e pozzi, indispensabili in un territorio colpito periodicamente da siccità. La cisterna è il cuore di ogni casa rurale: uno scavo rivestito con pietre e intonaco impermeabile, collegato a solchi scavati nella roccia per convogliare l’acqua piovana. Anche i comignoli assumono forme fantasiose: alcuni “a bocca di lupo”, altri “a fascio d’armi”, terminanti in forme stilizzate simili a fiori di giglio.

Tutto questo mostra come l’abitare rurale nel Gargano non segua uno schema rigido, ma una progressione continua tra temporaneo e permanente, tra economia pastorale e agricola, tra rifugio e residenza. Dalla grotta al palazzo, ogni forma racconta una risposta diretta alle condizioni del territorio, al clima, alla paura, al lavoro. La pietra, materiale povero e onnipresente, diventa così al tempo stesso riparo, simbolo e testimone di una civiltà montana che ha saputo adattarsi a stretto contatto con la Natura, senza mai cessare di costruire.

Archivio di Giovanni BARRELLA.

Planimetrie: O. Baldacci.

Fonti:

– “La casa rurale nel Gargano”, O. Baldacci, 1957.

– “Insediamenti rupestri medievali in territorio di Cagnano Varano (FG): aspetti della civiltà del ‘vivere in grotta’ sulle rive del lago di Varano, tra religiosità e sfruttamento delle risorse del territorio”, F. Monaco, Università degli Studi di Foggia, 2013

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