I dauni e la pirateria nell’Adriatico, raccontata attraverso le stele daunie

I DAUNI E LA PIRATERIA NELL’ADRIATICO, RACCONTATA ATTRAVERSO LE STELE DAUNIE.
Trattare dei Dauni è sempre un’esperienza affascinante. In ogni ricerca si impara sempre qualcosa di nuovo. Molto si è detto, e si dice, su questo popolo dell’Italia antica. Come giustamente puntualizza Giovanni Colonna, nel suo articolo “I Dauni nel contesto storico e culturale dell’Italia arcaica”, tanto si è scritto sulle connessioni extraitaliche di questo popolo, confortati dalla concorde testimonianza di una tradizione letteraria, peraltro assai esile e tarda.
Il Colonna vuole dire che non va dimenticato che gli antichi proiettavano gli antefatti illirici del popolo daunio in una prospettiva cronologica alquanto remota: Dauno, il mitico eponimo, cui si dava origine illirica (Verrio Flacco) o arcade (Nicandro), ma comunque ponendolo a capo di Illiri, era considerato un contemporaneo di Diomede e di Enea. Siamo, dunque, in piena età leggendaria, all’indomani della guerra di Troia.
In sé, queste tradizioni non meritano maggiore credito
di quelle che proponevano un’origine troiana per i Latini o un’origine lidia per gli Etruschi, tanto più che, a parte la semplice constatazione da parte di Ecateo di una concordanza toponomastica tra Italia e Illiria, nulla prova che queste tradizioni siano molto più antiche del primo autore che ne parla, ossia Nicandro di Colofone, o al più Catone, se questi è stato la fonte di Plinio.
Quel che dà forza alla tesi illirica è la relativa vicinanza geografica, il favorevole responso dell’onomastica e soprattutto la provata esistenza di continuati rapporti culturali e di scambio tra le due sponde dell’Adriatico, dalla media Età del Bronzo al VI secolo a.C. Non si vuole negare o diminuire l’importanza della componente balcanica nella formazione etnico-linguistica e culturale dei Dauni, ma occorre semplicemente essere rigorosi nel processo di indagine storica, per meglio comprendere l’identità culturale di un popolo.
Non tantissimo è giunto a noi, ma un aspetto straordinariamente interessante è quello dei culti, su cui siamo informati meglio che per altre regioni italiane, per lo stesso periodo storico, grazie anche a talune peculiarità, per così dire, etnografiche che hanno suscitato l’interesse di poeti e di eruditi, a cominciare da Timeo e da Lico di Reggio.
Ecco degli esempi: la Daunia è il paese dove le donne, e anche gli uomini, “vestono di nero”, a ricordo dell’incendio appiccato dalle donne troiane alle navi di Diomede; il paese dove le vergini riluttanti al matrimonio si tingono il viso di rosso, si vestono e si agitano come Erinni nel culto prestato a Cassandra; il paese degli ‘animali intelligenti’, che fanno festa ai Greci e rifuggono dai barbari, come i cani del santuario di Athena Achaia e gli uccelli delle isole Diomedee; il paese dei termini di pietra che camminano ritornando al loro posto, se rimossi con l’inganno.
Il culto principale della Daunia, però, resta notoriamente quello di Diomede, che arrivò fino al Timavo, propagandosi lungo le coste dell’Adriatico fino alla Dalmazia. Abbiamo già accennato a questo argomento in un precedente post. Avremo modo di parlarne ancora.
Tornando alle ‘pietre di Diomede’, esiste un’antica tradizione che lega la figura dell’eroe alle famose stele daunie. Infatti, oltre ad attribuire al personaggio mitico la fondazione dei più importanti centri dauni, tale tradizione ne collega l’immagine al mare: Diomede giunge in Daunia proprio dal pelago, avendo zavorrato le proprie navi con le pietre provenienti dalle ‘divine’ mura di Troia, e con quelle segna i confini della sua terra; alla sua morte, le stesse pietre, gettate in mare dai nemici, prodigiosamente ritornano negli stessi luoghi in cui l’eroe le aveva collocate.
Si ritiene particolarmente suggestivo identificare quelle pietre con le stele istoriate trovate nel Tavoliere, adombrate nella leggenda da un’aura mitica, a significarne l’originaria nobiltà di appartenenza, come ci racconta Maria Luisa Nava, nel suo “I pirati e il mare nelle stele daunie”.
Come dicevamo sopra, sui rapporti tra gli ‘ethne’ protostorici della Puglia e le popolazioni illiriche, al di là di ogni considerazione che implichi una critica delle fonti, va comunque osservata l’esistenza di una serie di rapporti tra le rispettive culture, rapporti che appaiono confermati – sul piano archeologico – dagli intensi scambi che sembrano essere stati attivi tra le opposte sponde dell’Adriatico, già a partire dagli esordi dell’Età del Ferro e che riguardano non solo oggetti “di pregio”, ma anche di “uso comune”.
Proprio nell’interpretazione delle stele saltano fuori elementi interessanti: secondo la Nava, ad esempio, diverse immagini incise raccontano le gesta compiute anche per mare. Alle attività marine, con chiarezza assoluta, riporta il tema centrale di alcune stele sulle quali sono raffigurate sia navi alla fonda che in navigazione, attività di pesca sia in mare aperto che nei pressi delle rive, o anche più semplici raffigurazioni di pesci. Pesci isolati o in branchi compaiono sulle stele sia con ornamenti che con armi. Quest’ultimo aspetto risulta interessante. Vediamo il perché.
Le rappresentazioni di animali marini isolati, tuttavia, non si limitano ai pesci, ma comprendono anche gli animali fantastici e mostri teriomorfi: sulle stele con armi, si riconoscono creature marine nel “serpente con i bargigli e la coda pesciforme che divora un pesce”.
La familiarità dei Dauni con gli ambienti acquatici, marini ma anche palustri, è ravvisabile anche nelle rappresentazioni delle attività di pesca che – diversamente da quanto si verifica per le immagini fantastiche – compaiono esclusivamente sulle stele con ornamenti.
Su un’altra stele con ornamenti, rinvenuta nell’antica Siponto, lo specchio posteriore collocato sotto il collare che orna le spalle della figura rappresentata ospita la raffigurazione di una barca condotta da un rematore seduto, mentre un pescatore in piedi è in atto di lanciare una fiocina verso un branco di pesci.
Ma la più intrigante è l’immagina incisa su una stele che ci mostra una “nave in corsa con la prua alta nel vento, sottolineata e nella tesatura della grande vela fissata in testa all’albero e nelle chiome scarmigliate dei naviganti, mentre il nocchiero incita a gran voce, portandosi le mani a imbuto intorno alla bocca per soverchiare l’urlo del vento, i marinai e il timoniere, che regge il timone sul mare agitato. Il naviglio, con la sua elegante chiglia stretta e affusolata, solca con leggerezza le onde, fendendole con la prua aguzza, ornata dal grande occhio apotropaico, da nave corsara”.
Maria Luisa Nava ci fa notare che tutte le figurazioni sono caratterizzate da un’estrema cura per i particolari dei diversi momenti della navigazione, illustrati attraverso i dettagli costruttivi degli scafi e dell’apparato marinaro delle vele e del timone, nonché con la caratterizzazione delle azioni dei naviganti, descritte con analitica precisione, che denuncia una profonda conoscenza dell’arte dell’andar per mare.
La struttura delle imbarcazioni è in tutte alquanto simile a quella delle navi raffigurate sulle stele di Novilara: anche in questo caso si tratta di navi da corsa che trasportano truppe, e che – almeno in un caso – sono impegnate in una battaglia cruenta e sanguinosa, con i guerrieri caduti in mare trascinati a fondo negli abissi.
Tutti questi elementi concorrono a indicare la frequentazione del mare da parte degli antichi Dauni, sia come strumento di commercio e di scambi tra le popolazioni adriatiche (quindi, un utilizzo pacifico) sia come mezzi utili per il combattimento in mare (uso guerresco).
Scene di pesca pacifica. Scene di battaglie in mare. Emerge, però, che le imbarcazioni da ‘combattimento‘ sono più adatte a veloci assalti e predazione. Pirati ‘ante litteram’? Chissà.
I Dauni, da quel che si può evincere soprattutto dalle stele, possedevano una casta guerriera importante. Un tassello intrigante di un popolo ancora tutto da scoprire.
Archivio di Giovanni BARRELLA.
Fonti e alcune immagini:
– Maria Luisa Nava, “I pirati e il mare nelle stele daunie”, in “La pirateria nell’Adriatico antico”, Lorenzo Braccesi Editore, 2004.
– Giovanni Colonna, “I Dauni nel contesto storico e culturale dell’Italia arcaica”, da studietruschi.org
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