Politica Italia

Tasso in Parlamento: “Il decreto Dignità è un inizio”

“Grazie Presidente,
Signor Ministro, Onorevole Rappresentante del Governo, Colleghe e Colleghi.
Il decreto legge dignità, di cui oggi stiamo dibattendo, contiene misure di politica sociale che, quantomeno, si propongano di restituire la dignità a quei lavoratori che per troppi anni hanno dovuto combattere – spesso inutilmente – per il riconoscimento di un diritto garantito dalla nostra Costituzione: il diritto al lavoro.
Un lavoro stabile ed una stabilità economica per quei lavoratori che vivono in uno stato continuo di insicurezza, senza più alcuna garanzia di tutela e certezza del posto di lavoro.
E’ un decreto legge finalizzato a contrastare il pensiero di quanti ormai credono che la precarietà sia l’unica forma di lavoro possibile e che intende fornire ai lavoratori subordinati uno strumento di tutela contro gli abusi.
Una riforma resasi necessaria dal groviglio di norme del Jobs Act, che ha innescato un pesante squilibrio tra forze e l’insufficienza, e talvolta l’assenza, di strumenti per tutelare il lavoro e, finanche, la dignità delle persone.
A mio avviso, questo decreto non rappresenta il raggiungimento di un obiettivo, ma l’inizio di un lungo ed impegnativo percorso.
Condivido l’intento:
– di tutelare il lavoro subordinato,
– di contrastare l’abuso delle forme di contratto a tempo determinato e dei licenziamenti senza giusta causa;
– di contrastare il Disturbo da gioco d’azzardo;

Tuttavia non posso esimermi da talune precisazioni e rilievi sul testo di legge.
Entrando nel merito del provvedimento è fondamentale rilevare la necessità e l’importanza di una stretta sui contratti a termine.
I primi tre articoli del testo di legge riguardano le misure di contrasto al precariato. Si parte dalla sostanziale quanto necessaria modifica del Jobs Act, peraltro al vaglio della Corte Costituzionale per alcune sue parti, con una drastica riduzione della durata massima dei contratti a termine da 36 mesi a 12 mesi se stipulati senza causale e a 24 mesi se viene prevista da subito la causale.
Fermo restando il limite di durata di 24 mesi, il numero delle proroghe possibili nei contratti a termine diminuisce da 5 a 4; oltre, il contratto si intende a tempo indeterminato.
Questa è una misura importante e accompagnata da altri elementi che sono espressione della lotta al precariato, quali:
– l’aumento dell’aliquota contributiva di 0,5 punti percentuali in caso di rinnovo del contratto a termine e l’ampliamento dei termini per la Tutela giurisdizionale, – l’applicazione delle disposizioni previste per il contratto a termine anche per il contratto di somministrazione, con alcune piccole differenze:
– l’aumento della indennità risarcitoria in caso di illegittimità del licenziamento fino a 36 mensilità, per le imprese dimensionate oltre le quindici unità, e…
– la previsione di causali puntualmente predeterminate, che eviteranno, così, l’abuso dei contratti di lavoro a termine.

Ma nella sostanza, a mio sommesso avviso, andrebbero rafforzate le misure atte a favorire le assunzioni a tempo indeterminato in luogo delle assunzioni a termine.
Come si farà ad assicurare l’assunzione a tempo indeterminato del lavoratore dopo la scadenza del termine di 24 mesi, senza che lo stesso venga sostituito da altro lavoratore assunto sempre con contratto a termine?
Come si farà ad impedire DAVVERO la invalsa abitudine delle sostituzioni continue del personale per evi-tare le assunzioni a tempo indeterminato?
Vi sono queste domande aperte.

Vi è, inoltre, la volontà del Governo di dare esecuzione alla sentenza n. 11 del 2017 emessa dal Consiglio di Stato, che ha decretato la decadenza dei contratti di lavoro stipulati con quei docenti in possesso del solo diploma magistrale conseguito entro l’anno scolastico 2001-2002, mediante la previsione di un concorso straordinario per risolvere il problema.

Mi chiedo se sarà sufficiente e giusto, soprattutto nei confronti di quei docenti in possesso di tutti i titoli previsti dalla legge, indire un concorso per l’equiparazione delle carriere del corpo docenti.

Il Capo II del Decreto Dignità è ancora incentrato sulla tutela del lavoro e dei livelli occupazionali del Paese, affrontando il fenomeno della delocalizzazione delle imprese.
Il testo in esame si preoccupa, ancora un volta, di garantire il livello occupazionale del Paese, con particolare riferimento a quelle imprese che spesso, dopo aver beneficiato dei contributi pubblici in conto capitale, decidono di delocalizzare l’attività economica interessata, o una sua parte, in Stati Esteri non appartenenti all’Unione Europea.
E’ evidente l’intento della norma di contrastare una volte per tutte gli insediamenti delle imprese finalizzati, solo ed esclusivamente, all’ottenimento dei contributi pubblici, per poi trasferire l’attività all’estero creando disoccupazione.
Tale intento di contrasto si concretizza:
– prevedendo la decadenza dal beneficio qualora ci sia la delocalizzazione dell’attività in Stati non appartenenti all’Unione Europea entro cinque anni dalla data di conclusione dell’iniziativa agevolata;
– prevedendo una sanzione pecuniaria pari ad una somma in misura da due a quattro volte l’importo dell’aiuto fruito, maggiorata di un tasso di interesse pari al tasso ufficiale di riferimento vigente alla data di erogazione o fruizione dell’aiuto, maggiorato di cinque punti percentuali.
Viene, però, trascurato un aspetto a mio avviso importante:
Gli incentivi alle imprese ad investire sui rapporti di lavoro a tempo indeterminato, sul nostro territorio, sui nostri prodotti, sul made in Italy.

Non dobbiamo dimenticare quelle imprese troppo spesso vessate dalla pesante e spesso insopportabile pressione fiscale e contributiva.
Le nostre imprese, i nostri imprenditori devono sapere di poter tornare ad investire sulla manodopera italiana; hanno bisogno di sapere che lo Stato è anche dalla loro parte, che li tutela.
Non è sufficiente prevedere, per esempio, “una deroga all’applicazione del contributo addizionale nell’ipotesi di lavoratori assunti a termine in sostituzione di lavoratori assenti o per lo svolgimento di attività stagionali” e
“la restituzione del contributo addizionale eventualmente versato in caso di trasformazione del contratto a tempo indeterminato ovvero in caso di assunzione a tempo indeterminato entro il termine di sei mesi dalla cessazione del precedente contratto a termine”.

Mi chiedo, pertanto, quali incentivi sono previsti alle imprese che vogliano investire nel lavoro subordinato a tempo indeterminato?

Questo decreto non tiene in debito conto anche un’altra fondamentale categoria di lavoratori del nostro Paese: i lavoratori autonomi, le cosiddette partite IVA, i liberi professionisti, da tempo schiacciati da una spregiudicata liberalizzazione, da un regime fiscale oppressivo e da eccessivi, e spesso inutili, adempimenti di ogni tipo.
Ho dichiarato in premessa di apprezzare e di condividere il nobile intento di contrastare il Disturbo da gioco d’azzardo, ma avrei qualche perplessità sulle misure adottate.
In Italia, sono stimati in circa diciassette milioni i cittadini che almeno una volta hanno voluto provare l’ebbrezza del gioco o della scommessa; ed è solo la punta di un iceberg che non restituisce il numero reale dei giocatori compulsivi che sono sotto cura, di quei parenti, amici o semplici sconosciuti che hanno perso i loro soldi, la casa e a volte anche la famiglia.
Con questa situazione “Vietare la pubblicità non servirà, da sola, a contrastare l’azzardopatia”.
Di certo si tratta di una norma di forte impatto, ma temo insufficiente.
Il giocatore compulsivo è colui il quale, pur sapendo che il banco vince sempre, è ossessionato dalla liturgia del gioco: inserire la moneta, tirare la leva della slot, grattare la pellicola del cartoncino;
è colui il quale, quasi, rincorre la giustificazione della perdita per poter continuare a giocare.

Allora mi chiedo a cosa serva vietare, sic et simpliciter, la pubblicità del gioco/ scommesse indistintamente.
Puntiamo, invece, alle coscienze delle persone.
Investiamo sulla cultura, sullo sport e su tutte quelle attività che sono in grado di allontanare gli individui dalle sale slot.
Se non possiamo vietare il gioco/scommesse, allora facciamo in modo di ricavare dal gioco/scommesse risorse da investire nello sport e nella cultura.
Si imponga, pertanto, alle aziende di gaming e di scommesse sportive che vogliono investire nella pubblicità, di versare allo Stato eguale quota di quella investita, da destinare allo Sport dilettantistico, ai musei, al teatro, alla cultura.
In tal modo si potrebbe arrivare al virtuoso paradosso che con le risorse ricavate da aziende di cui si auspica la riduzione del “core business” si finanzino strumenti per limitarne la diffusione e la pericolosità.
Tutto ciò detto, il Decreto Dignità rappresenta un importante INIZIO.
Concludo il mio intervento ricordando una parte del discorso del Presidente Pertini nel messaggio di fine anno del 1981:
“Io credo nel popolo italiano. Un popolo generoso, laborioso che non chiede che una casa e un lavoro…chiede, in sostanza, quello che dovrebbe avere ogni popolo”.

Allora torniamo a credere nel popolo italiano, restituiamogli la dignità.

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Redazione

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