Cronaca Capitanata

Lager per prostitute a Marina di Lesina: arresti

Terribile la scoperta dei Carabinieri di San Severo e San Paolo di Civitate nelle campagne di Marina di lesina: un casolare-lager dove le prostitute venivano segregate. Nel perimetro della struttura completamente recintata anche con filo spinato, sono state trovate alcune baracche dove erano state allestite una serie di “camere da letto”, più simili ad autentiche celle, dove erano state segregate e impossibilitate ad allontanarsi giovanissime donne, tutte di nazionalità bulgara, tenute sotto stretta vigilanza dai loro aguzzini. Vere e proprie prigioniere, le donne quando non erano sulla strada a “lavorare” venivano costrette in stanze in condizioni igieniche e di sicurezza inaccettabili, chiuse dall’esterno con dei lucchetti per impedire loro di allontanarsi. All’interno delle “camere”, di dimensione di pochi metri quadri, lo stretto necessario per la sopravvivenza: una lampadina, una stufa e nessuna finestra, sempre per rendere loro impossibile la fuga.

Le indagine che hanno portato i militari al ritrovamento shock erano iniziate soltanto pochi giorni prima, a seguito della coraggiosa denuncia di una ventenne, anch’essa bulgara. La ragazza, approfittando del passaggio avuto da un cliente, e quindi in un momento in cui non si trovava sotto osservazione diretta, si era presentata in grave agitazione alla Stazione Carabinieri di San Paolo di Civitate. I Carabinieri l’hanno accompagnata presso il Comando della Compagnia di San Severo dove, con l’ausilio di un’interprete si è finalmente sentita a proprio agio ed è stata ascoltata. Quanto riferito dalla ragazza è subito andato a combaciare con quella che è, purtroppo, la più classica modalità con cui giovani donne, di varie nazionalità, in situazioni di disagio economico e di bisogno vengono tratte in inganno per poi essere avviate alla prostituzione lungo le nostre strade. La ventenne, infatti, aveva raccontato di essere stata contattata nel proprio paese da una connazionale, che le aveva proposto di andare in Italia con la promessa di un lavoro onesto e ben retribuito come collaboratrice domestica. Una volta giunta a San Severo però, appena una decina di giorni prima, la giovane era stata messa davanti a tutta un’altra realtà: ad attenderla vi era un altro suo connazionale che, dopo averle sottratto i documenti e il cellulare, l’aveva minacciata e poi picchiata, costringendola a prostituirsi insieme ad una decina di altre ragazze che, nelle sue stesse condizioni, erano anch’esse recluse nel casolare-lager.

Da quel momento era iniziato un vero e proprio incubo. La giovane aveva così riferito, con dovizia di particolari, le modalità con cui i suoi aguzzini la portavano lungo la statale 16, tenendola sempre sotto controllo per evitare che potesse allontanarsi o chiedere aiuto alle Forze dell’Ordine. Al termine della giornata veniva poi riportata, sempre insieme alle altre, nel casolare, dove venivano rinchiuse, e chi non era riuscita a guadagnare almeno cento euro veniva oltretutto anche picchiata con una mazza.
A seguito della denuncia i Carabinieri hanno quindi eseguito una serie di servizi di appostamento, che hanno in breve consentito di individuare l’autovettura con la quale le ragazze venivano portate sulla statale, principalmente nei pressi del bivio per Ripalta, e infine di localizzare con esattezza il casolare, ben descritto dalla giovane. All’atto dell’accesso, dopo aver forzato i lucchetti posti al cancello del casolare, i militari si sono trovati di fronte dieci donne, la maggior parte delle quali di età compresa tra i 20 e i 25 anni, e un uomo, un italiano, il proprietario del casolare, che, unico trovato in possesso delle chiavi di accesso, era appena tornato con un’altra ragazza in auto.

Portati tutti al Comando Compagnia di San Severo, le più giovani, superato un primo momento di sospetto e paura, hanno iniziato a raccontare i soprusi che avevano dovuto subire e le modalità con cui erano state costrette a prostituirsi, e proprio dalle loro dichiarazioni sono così venute allo scoperto gravissime responsabilità di tre di loro, che avevano tentato di confondersi con le vere vittime. Si è potuto allora capire che queste tre, sorprese sì anch’esse nel casolare, ma in stanze decisamente diverse da quelle occupate dalle altre, senza lucchetti, con finestre, più pulite e ordinate, avevano un ruolo di controllo e supervisione sul lavoro delle poverette, accompagnandole e controllandone l’attività sulla strada, rifornendole dei preservativi e tenendo la contabilità di quanto guadagnato da ciascuna.

Dall’ascolto delle ex schiave è inoltre emerso che l’anziano proprietario della “prigione” spesso si recava nel casolare, e che mensilmente ritirava il denaro dalle tre carceriere sue complici.

I racconti hanno poi permesso di individuare un altro casolare, in una campagna a poca distanza dal primo, dove avevano riferito che viveva una coppia di loro connazionali, complici del loro schiavista italiano. E’ scattata quindi una seconda perquisizione. La coppia di bulgari nulla ha a questo punto potuto per evitare che i Carabinieri trovassero tutti i documenti sottratti alle ragazze, che custodivano nella convinzione di non poter essere scoperti.

I reati contestati sono gravissimi: induzione, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione, oltre a profili inerenti il reato di riduzione in schiavitù, ora al vaglio dell’Autorità Giudiziaria.

Le ragazze liberate, dopo aver potuto rassicurare le rispettive famiglie, sono state affidate ad alcune comunità protette, mentre sono stati portati nel carcere di Foggia: un uomo di 73 anni, tre donne bulgare di 23, 24, 29 e 35 anni e un connazionale di 27 anni.

Gli ultimi due, trovati nella seconda fase dell’attività, sono stati denunciati anche per furto di energia elettrica, essendo stato trovato nell’abitazione che occupavano un allaccio abusivo alla rete pubblica.

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Redazione

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