Cronaca Italia

Emoscambio: origine, ideologia e il misterioso Vito Cosmaj

Emoscambio: dalle scritte sui muri dell’Italia degli anni Settanta al nome di Vito Cosmaj. Indagini, pseudoscienza e mito.

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Per molti automobilisti italiani degli anni Settanta e Ottanta fu solo una parola inquietante vista di sfuggita, dipinta sui muri lungo le strade statali, sui piloni dei cavalcavia, sulle cascine di campagna. Emoscambio. Una scritta secca, spesso accompagnata da un numero di telefono, talvolta preceduta da una sigma greca, come a suggerire un sapere arcano, scientifico o iniziatico.
Col tempo, quella parola è diventata qualcosa di più di un graffito: un caso mediatico sotterraneo, un oggetto di interrogazioni parlamentari, un esempio precoce di propaganda alternativa prima dell’era digitale. Al centro della vicenda compare il nome di Vito Cosmaj, figura opaca e controversa, associata a teorie sullo scambio di sangue come strumento di rigenerazione e persino di immortalità.
Questo dossier ricostruisce il fenomeno Emoscambio separando i fatti documentabili dalla narrazione successiva, analizzando il contesto storico, le fonti disponibili e il modo in cui un’idea marginale è riuscita a sopravvivere come leggenda urbana fino ai giorni nostri.

Emoscambio: una parola che buca il paesaggio

Il primo elemento da analizzare è il termine stesso. “Emoscambio” è una parola costruita con precisione: il prefisso emo, che richiama il sangue, e il sostantivo scambio, che implica reciprocità, circolazione, equilibrio. È una parola che suona tecnica, quasi clinica, ma al tempo stesso profondamente disturbante.
Negli anni in cui compare, l’Italia è attraversata da forti tensioni culturali e politiche. Il linguaggio scientifico gode ancora di un’aura di autorità indiscussa, mentre nuove forme di spiritualità, medicina alternativa e controcultura cercano legittimazione proprio appropriandosi di quel lessico. Emoscambio si inserisce perfettamente in questa frattura: promette qualcosa di radicale, ma lo fa con una parola che sembra uscita da un manuale di fisiologia.

Le scritte sui muri come mezzo di comunicazione

Prima dei social network, prima delle mailing list e dei forum online, il muro era uno spazio di comunicazione politica e ideologica potentissimo. Scritte, simboli e slogan avevano una funzione precisa: creare presenza, suggerire un movimento più grande, insinuare l’idea che “qualcuno” stesse parlando a molti.
Le scritte Emoscambio seguivano questa logica. Non spiegavano, non argomentavano, non convincevano: incuriosivano. La ripetizione ossessiva del termine, sempre uguale a se stesso, creava un effetto di familiarità inquietante. Il numero di telefono aggiunto in alcuni casi trasformava la scritta in un invito all’azione. Non era solo un messaggio: era una porta.

Il numero di telefono e il contatto diretto

Uno degli aspetti meno mitizzati ma più significativi del caso Emoscambio era la presenza costante di un recapito telefonico. Diverse testimonianze e ricostruzioni concordano sul fatto che chiamando quel numero si entrasse in contatto con un messaggio registrato o con indicazioni per ricevere materiale informativo.
Questo dettaglio è fondamentale perché sposta Emoscambio dal piano del simbolo a quello dell’organizzazione. Non si trattava di un artista anonimo o di una provocazione estemporanea: c’era un sistema minimo di risposta, un punto di riferimento, una struttura, per quanto rudimentale.

Milano San Felice e l’ombra di un centro studi

Il legame tra Emoscambio e un presunto centro di studi emerge con chiarezza quando la vicenda entra nei documenti ufficiali. In un’interrogazione parlamentare del 13 novembre 1973 presentata dal deputato democristiano Mario Gargano, in cui viene citato un “Centro Studi Emodinamismo”, con sede a Milano.
Il fatto che il tema venga portato in Parlamento indica che non si tratta più soltanto di scritte sui muri. Le autorità vengono sollecitate a verificare natura, finalità e metodi di questo centro, soprattutto in relazione a pratiche che coinvolgerebbero il sangue, materia delicatissima sotto il profilo sanitario e legale. Anche senza conoscere l’esito concreto di quelle verifiche, il passaggio istituzionale segna uno spartiacque: Emoscambio diventa un caso.

Vito Cosmaj: il nome che resta

Se Emoscambio è diventato una leggenda urbana, Vito Cosmaj è il suo punto di ancoraggio: l’unico nome proprio che ricorre con continuità nelle ricostruzioni e che, soprattutto, lascia tracce documentali al di fuori del puro “si dice”. La cosa più solida che oggi si possa affermare riguarda infatti la produzione editoriale attribuita a Cosmaj. Nel Bollettino del Servizio per il Diritto d’Autore e Diritti Connessi (1980), pubblicato nell’alveo del Registro Pubblico Generale delle opere protette, compare la registrazione di “VANGELO SECONDO VITO COSMAJ – III Ediz.” con autore, editore e stampatore indicati come “COSMAJ Vito”, pubblicato a Milano nel 1980. In altri termini: al di là della mitologia, Cosmaj risulta almeno come soggetto che deposita/registrava opere a proprio nome, un dettaglio che “materializza” la figura e la sottrae al solo passaparola.

Attorno a questa traccia primaria si consolidano poi le ricostruzioni giornalistiche: diverse fonti concordano nel collocare Cosmaj nell’area di Segrate–Milano San Felice, e nel legarlo a un autoproclamato “Istituto Italiano di Fisiologia” e al precitato “Centro studi emodinamismo”, presentati come cornice teorica e organizzativa del progetto Emoscambio. La sua comunicazione, almeno per quanto è ricostruibile, usava due canali: la propaganda “fisica” delle scritte murali con numero telefonico e una produzione testuale in forma di volantini e opuscoli, oggi rarissima e spesso citata per via indiretta. Il capitolo più delicato, perché incrocia lo Stato, riguarda l’eco istituzionale.Pare ci fossero state attenzioni da parte di Questura e carabinieri, in particolare in relazione a volantini ritenuti offensivi verso la religione e a pratiche sul sangue. Tuttavia, non sempre è possibile una verifica piena. Cosmaj emerge come promotore di un’ideologia pseudoscientifica che mescola linguaggio “fisiologico” e impianto quasi salvifico, ma la sua biografia resta in gran parte opaca, perché le fonti primarie sono scarse e frammentarie.

Da quel poco che si riesce a costruire veniamo a sapere anche i nomi dei genitori: : il padre Franco, descritto come emigrato al Nord da Bari negli anni Trenta e avviatore di una piccola attività nel settore dei cascami tessili, e la madre Lea Luigia, ricordata come cattolica devota e sostanzialmente estranea alle derive ideologiche del figlio. n questa cornice si inserisce l’idea di un Cosmaj cresciuto dentro una rispettabilità borghese-lavorativa e poi “scartato” altrove: diplomato perito tessile e impegnato nell’azienda di famiglia, fino a maturare una frattura biografica che lo porterà a investire energie e identità nella propaganda dell’Emoscambio. La tomba di Cosmaj sarebbe da collocare, inoltre, nel cimitero di Greco (Milano) fissando la morte al 2 febbraio 1999, dettaglio che viene spesso collegato anche al progressivo spegnersi delle attività e della presenza pubblica del fenomeno. Informazioni, ci teniamo a precisarlo, da prendere con le pinze, in quanto non del tutto confermate. Quanto ai parenti, alcuni familiari rintracciati dall’autore, a distanza di anni, avrebbero rifiutato di parlare pubblicamente per un persistente senso di vergogna, definendo Cosmaj una sorta di “pecora nera” familiare. È un dettaglio che non aggiunge gossip, ma chiarisce un punto: l’Emoscambio non appare come tradizione condivisa o “movimento di famiglia”, bensì come traiettoria individuale, vissuta dai suoi come frattura e stigma.

Tra pamphlet e vangeli laici

Il titolo “Vangelo secondo Vito Cosmaj” suggerisce una commistione esplicita tra linguaggio religioso e pretesa scientifica. Non si tratta solo di proporre una tecnica o una teoria, ma di costruire una visione del mondo alternativa, con proprie regole, verità e pratiche.
Questo tipo di operazione è tipico di molte micro-ideologie nate nel secondo Novecento: sistemi chiusi, spesso centrati su un fondatore carismatico, che reinterpretano concetti scientifici reali piegandoli a una narrazione salvifica. Emoscambio sembra inserirsi in questa tradizione, con il sangue come elemento centrale di redenzione biologica.

L’idea dello scambio di sangue

Secondo le ricostruzioni disponibili, il cuore teorico dell’Emoscambio sarebbe lo scambio periodico di sangue tra individui compatibili, preferibilmente di sesso opposto. Questo scambio verrebbe presentato come un mezzo per riequilibrare l’organismo, rallentare l’invecchiamento e, in prospettiva, superare i limiti naturali della vita umana.
È importante sottolineare che non esiste alcuna base scientifica riconosciuta a sostegno di queste affermazioni. La medicina ufficiale utilizza le trasfusioni esclusivamente in ambito terapeutico, con protocolli rigorosi e per condizioni cliniche ben definite. Al di fuori di questo perimetro, lo scambio di sangue comporta rischi enormi.

Il sangue come mito culturale

Il fascino del sangue come portatore di vita, forza e identità è antico quanto la civiltà umana. Dal sacrificio rituale alle leggende vampiresche, il sangue è sempre stato caricato di significati simbolici che vanno ben oltre la sua funzione biologica.
Emoscambio attinge a questo immaginario profondo, ma lo riformula in chiave pseudo-scientifica. Non parla di magia o di spiriti, ma di fisiologia, compatibilità, equilibrio. È proprio questa traduzione del mito in linguaggio tecnico a renderlo potenzialmente più persuasivo.

Emoscambio sulla stampa nazionale: il “vampiro all’italiana”

A metà degli anni Settanta il caso Emoscambio arrivò anche sulle pagine della stampa nazionale, assumendo contorni apertamente sensazionalistici. Un articolo pubblicato dal settimanale ABC — con un titolo fortemente evocativo come “Per il vampiro all’italiana si smuove anche il Presidente” — contribuì a fissare nell’immaginario pubblico l’idea di Emoscambio come fenomeno ai limiti tra pseudoscienza, setta e provocazione politica.
Secondo quanto riportato dal settimanale, Emoscambio sarebbe stato presentato come un sistema che prometteva una forma di immortalità biologica attraverso lo scambio quotidiano di sangue tra persone di sesso opposto, trasformando un’idea marginale in una narrazione quasi scandalistica, costruita sul parallelismo con il mito del vampiro. In questo racconto, il linguaggio giornalistico avrebbe volutamente esasperato i toni, parlando di “vampiro all’italiana” per rendere immediatamente comprensibile e inquietante il concetto al grande pubblico.

Nello stesso articolo, Emoscambio sarebbe stato collegato proprio al fantomatico Centro italiano di Emodinamismo, descritto come il primo nel suo genere, e attribuito a un “creatore” identificabile in Vito Cosmaj. Il testo suggerirebbe che l’iniziativa avesse attirato attenzioni non solo mediatiche ma anche istituzionali, arrivando a evocare un interessamento delle massime cariche dello Stato, come abbiamo visto effettivamente avvenne.

L’articolo riporta inoltre brani di presunta propaganda di Emoscambio, nei quali si invitavano i lettori a “scambiare un po’ di sangue ogni giorno” con persone compatibili, utilizzando un linguaggio che mescola terminologia fisiologica e promessa salvifica. È probabile che questa scelta comunicativa abbia contribuito a rafforzare l’immagine di Emoscambio come fenomeno pericoloso e deviante, alimentando una reazione di rigetto da parte dell’opinione pubblica e giustificando, almeno sul piano narrativo, l’attenzione delle autorità.

La reazione delle istituzioni

Quando il fenomeno Emoscambio attirò l’attenzione delle istituzioni, il motivo principale non fu l’eccentricità delle idee, ma il potenziale rischio per la salute pubblica. Parlare di scambio di sangue al di fuori di qualsiasi contesto medico regolamentato significava evocare pericoli concreti: infezioni, trasmissione di malattie, pratiche illegali.
Le segnalazioni, le denunce e le interrogazioni parlamentari indicano che lo Stato percepì il fenomeno come qualcosa che sndasse monitorato, se non contrastato. Anche in assenza di condanne o procedimenti clamorosi, l’attenzione ufficiale contribuì a cristallizzare Emoscambio come caso anomalo.

La scomparsa delle fonti dirette

Uno degli aspetti più frustranti per chi tenta una ricostruzione rigorosa è la quasi totale assenza delle fonti primarie. I testi attribuiti a Cosmaj sono difficili da reperire, i volantini originali quasi del tutto scomparsi, le registrazioni telefoniche probabilmente perdute.
Questa assenza ha due effetti opposti. Da un lato limita la possibilità di analisi diretta, costringendo a lavorare su fonti indirette. Dall’altro alimenta il mito: ciò che non si può verificare diventa facilmente oggetto di proiezioni, esagerazioni e leggende.

Emoscambio come leggenda urbana

Col passare degli anni, Emoscambio si trasformò progressivamente in una leggenda urbana. Le scritte scomparirono, il numero di telefono smise di funzionare, il nome di Cosmaj divenne sempre più sfocato. Ma il racconto rimase, tramandato da chi “ricorda di aver visto”, “conosce qualcuno che ha chiamato a quel numero”, “ha sentito dire da un amico…”.
Questo processo è tipico dei fenomeni liminali: abbastanza reali da lasciare tracce documentali, abbastanza opachi da non essere mai completamente chiariti. Emoscambio vive proprio in questa zona grigia.

Confronto con la scienza contemporanea

Negli ultimi anni, alcuni filoni di ricerca scientifica hanno riportato l’attenzione sul ruolo del sangue nei processi di invecchiamento, in particolare attraverso studi sperimentali su animali. Questi studi, spesso semplificati dai media, hanno contribuito a rianimare l’idea che il sangue “giovane” possa avere effetti benefici.
La differenza fondamentale è che la ricerca scientifica procede per ipotesi verificabili, risultati parziali e controlli rigorosi. Emoscambio, al contrario, proponeva certezze assolute e soluzioni universali, caratteristiche tipiche delle ideologie pseudoscientifiche. Insomma, un organismo torbido e pericolosissimo, le cui regole erano (e sono tuttora) assolutamente da non seguire!

E se Emoscambio fosse stata una trollata ante litteram?

Alla luce di quanto emerso, una domanda resta inevitabile e, proprio per questo, va formulata con cautela: e se Emoscambio fosse stata, almeno in parte, una gigantesca trollata ante litteram? Non nel senso moderno e superficiale del termine, ma come operazione deliberata di provocazione, ambiguità e disturbo simbolico, costruita per sfruttare le debolezze del sistema mediatico e culturale dell’epoca.
Alcuni elementi sembrerebbero andare in questa direzione. La scelta di una parola volutamente scientifica ma inquietante, la ripetizione ossessiva delle scritte senza spiegazioni, il numero di telefono come esca, fino alla produzione di testi dai titoli volutamente iperbolici: tutto potrebbe essere letto come un esperimento di comunicazione radicale, più che come il tentativo concreto di fondare una pratica realmente diffusa. In questo scenario, l’Emoscambio avrebbe funzionato come uno specchio deformante, capace di riflettere e amplificare paure già presenti nella società.

Anche la copertura mediatica sensazionalistica, che avrebbe contribuito a fissare l’etichetta del “vampiro all’italiana”, potrebbe aver giocato un ruolo decisivo nel trasformare un’operazione marginale in un caso nazionale. È plausibile che l’effetto di rimbalzo tra muri, giornali e istituzioni abbia superato di gran lunga le intenzioni iniziali dei promotori, creando un fenomeno più grande del suo stesso nucleo originario. In questa chiave, Vito Cosmaj potrebbe essere interpretato non tanto come un leader carismatico seguito da masse invisibili, quanto come l’innesco di una narrazione sfuggita di mano.

D’altra parte, la presenza di tracce amministrative, di depositi editoriali e di attenzioni istituzionali suggerirebbe che ridurre Emoscambio a una semplice burla sarebbe comunque insufficiente. Più che una trollata nel senso stretto, potrebbe trattarsi di una zona grigia: un’operazione che oscillava consapevolmente tra provocazione, pseudoscienza e costruzione di un mito, sfruttando l’autorità del linguaggio scientifico e la lentezza dei meccanismi di verifica dell’epoca.

Emoscambio: un caso avvolto ancora dalle ombre

Emoscambio non fu un semplice graffito, né un movimento strutturato nel senso classico. Fu un esperimento comunicativo, ideologico e culturale che sfruttò il linguaggio della scienza per costruire un mito moderno.
Vito Cosmaj resta una figura sfuggente, più traccia che persona, più nome che biografia. Ed è forse proprio questa indeterminatezza ad aver garantito al fenomeno una lunga sopravvivenza nella memoria collettiva.
Ricostruire Emoscambio oggi significa fare un esercizio di metodo: distinguere ciò che è documentato da ciò che è raccontato, riconoscere il fascino delle narrazioni radicali senza smettere di interrogare le prove. In un’epoca in cui le pseudoscienze viaggiano più veloci che mai, anche una scritta sbiadita su un muro può insegnare qualcosa: mai fidarsi della scienza alternativa ma percorrere e rispettare sempre gli studi ufficiali!

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