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24 maggio 1915, la Grande Guerra ebbe inizio qui

In questo golfo leggendario, all’alba del 24 maggio 1915, mentre la nave Turbine eroicamente si sommergeva, Manfredonia, prima fra tutte le città adriatiche, sperimentò impavida la rabbia austriaca ed il fulgido valore italico.

“[…] È l’alba del 24 maggio 1915. E piove. I giornali titolano l’ingresso dell’Italia nella grande guerra, ma nessuno sembra ancora percepirne il reale pericolo. Neppure quando una unità da battaglia austriaca, l’Helgoland (3500 tonnellate di stazza, armata di 12 cannoni da 105mm) si avvicina. […] A pattugliare il Golfo di Manfredonia ci sono due nostri cacciatorpedinieri, l’Aquilone e il Turbine, che in quel momento è il più vicino all’incrociatore austriaco. Al comando della nave italiana, il capitano di corvetta, Luigi Bianchi, genovese, classe 1873. […] Da lontano, all’orizzonte, già appare l’Helgoland, l’incrociatore è più potente e meglio armato dell’unità italiana. Davide contro Golia. Bianchi lo sa, ma non esita a ingaggiare battaglia. Dopo i primi scambi di bordate il Turbine lentamente ripiega verso il largo lasciandosi inseguire dal nemico, il piano è portarlo in trappola verso le Tremiti dove dovrebbero esserci altre unità tricolore (tra cui il Libia che aveva tentato una sortita nell’isola di Pelagosa).
L’Helgoland inizia l’inseguimento. Barletta è salva. Il cacciatorpediniere fa rotta verso il Gargano, è più veloce di almeno tre miglia e sfrutta abilmente il vantaggio rimanendo poche centinaia di metri dalla portata dei cannoni austriaci. L’euforia dura poco, nei pressi ecco altre due navi nemiche, il Cspel e il Tatra (1200 tonnellate, due cannoni da 105 mm e 6 da 66) appena varate. Bianchi in cuor suo sa di essere in trappola, ma decide di vendere cara la pelle.
La battaglia infuria senza esclusione di colpi il Turbine è circondato, procede a zig zag per evitare i colpi che arrivano da ogni parte. […] La nave italiana è ripetutamente colpita, molti uomini cadono dalle fiancate, anche Bianchi è ferito alla testa. […] I kinston della nave vengono aperti, il Turbine imbarca acqua e si allaga piegandosi su un lato. I superstiti si schierano sul ponte di coperta, Bianchi ordina l’ultimo saluto alla bandiera, e all’unisono gli uomini gridano: «Viva l’Italia, viva il Re!». Non c’è più tempo.
Mentre il nemico continua a sparare viene messa in acqua una scialuppa per ospitare i feriti, poi si imbarcano i superstiti. L’unico a rimanere a bordo è Bianchi, non vuole abbandonare la nave a cui mancano solo pochi minuti di vita, dalle lance lo incitano a tuffarsi. «Comandante abbandoni la nave!», ma egli è irremovibile.
Il capo timoniere conosce quell’uomo meglio di chiunque altro, sa che si lascerà morire, e allora si tuffa, si arrampica sulle lamiere che stanno per essere inghiottite dai flutti, lo raggiunge e lo abbranca lanciandosi in mare con lui. Un enorme gorgo inghiotte il Turbine portandolo negli abissi.
Di lì a poco all’orizzonte appare il Libia che mette in fuga il nemico, ma troppo tardi.”

(Tratto da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 10 ottobre 2010)

 

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