Quando si passava da Manfredonia per salire sulla terra del cielo

Manfredonia (Ph: c.castriotta)

Manfredonia – ERA giunto ormai l’anno 1967, un anno prima della morte del frate stimmatizzato, al tempo di quando da Manfredonia passavano tanti mezzi di trasporto di quell’epoca per andare a San Giovanni Rotondo, dove c’era sempre una ressa continua, ed era storia di tutti i giorni,via vai continuo di persone che salivano e scendevano dal piccolo paese del Gargano.

Tutto questo accadeva perché lì vi era un frate oramai vecchio, che aveva la pazienza di ascoltare tutti. In tutto quel frastuono e caos di gente imbizzarrita che bussava al convento dal mattino presto a sera, spesso anche di notte,se occorreva tanto da perdere il tatto dell’attimo. Mentre le giornate scorrevano sempre uguali, in una vita opposta e inosservata, ma allo stesso momento parallela a poca distanza dalla chiesa, su alla parte delle rocce colme di vegetazione, viveva una specie di barbone, la sua abitazione era una fossa di pochi metri di pietra rotonda all’interno,in un mondo tutto suo, fuori dai ficcanasi.

I bambini però andavano a giocare là e lo guardavano dall’alto della terra battuta, e lui li guardava serio e stralunato in preghiera, senza fare alcun gesto ne parlare,ma solamente rientrava a riprendere il suo silenzio. Era la curiosità del paese, che francamente non commentava e dava poca importanza a questo signore, ormai un po’ anziano,giustamente presi da quel clamore e da quel fragore, neanche facevano più caso alla sua decisione di stare laggiù. Però qualcuno buono ogni tanto gli portava un po’ di cibo, ma difficilmente accettava,infatti il più viveva di stenti. Era vestito con abiti vecchi, con barba folta e lunga compresi i capelli di colore brizzolati, in quella fossa,subito dopo una ventina d’ anni dall’arrivo del giovane cappuccino nella nostra esitanza Garganica.

Oramai erano passati quasi quarant’anni, che viveva chiuso in quel fosso di bosco di quel sentiero bagnato friabile, rosso di alberi messi in fila,dove a malapena penetrava una piccola luce per la via su in cima. Della sua estraneità non parlava nessuno,lui era nato in quel luogo,ma poco importava di essere considerato. la sua rinuncia all’aria e alla luce del sole,voleva stare da solo nella sua notte infinita. Ma non si sa come,vedeva e capiva attraverso la terra col cielo,sicuramente aveva forti contatti con il frate,come è difficile pensarlo, ma un allaccio riconduceva a una grazia speciale, quasi un volere di comunicazione dalla fossa alla persona, in quella modernità del tempo,alla cella di quel frate segregato tra quelle mura di grigio smaltato.

Ma rimaneva l’attenzione più grande, ch’era quella dei ragazzi che abitavano nei pressi del convento, che lo andavano a trovare quasi tutti i giorni per curiosare. Comunicavano con lui,sdraiandosi lunghi con la faccia nel vuoto e lo chiamavano Il barbone del buio, vieni fuori, e lui dopo un po’ veniva fuori e qualche volta accennando un mezzo sorriso,con il corpo quasi ricurvo alzava leggermente la mano nella sua ombra che rifletteva ai suoi occhi di spirito alto mentre si rigirava col suo segno di mano.

Di Claudio Castriotta

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