Musica e Intelligenza Artificiale: strumento o scorciatoia?

Musica e Intelligenza Artificiale: strumento o scorciatoia?


Piattaforme di intelligenza artificiale per generare canzoni degne di un qualsiasi album, o addirittura intere colonne sonore, in pochi secondi: basta scrivere due righe di testo o caricare pochi secondi di melodia ed ecco pronto un brano. Sono ormai decine le soluzioni disponibili, ognuna con una sua specializzazione. Non parliamo solo di software per la produzione audio e video, ma di strumenti sempre più sofisticati integrati nei flussi di lavoro dei musicisti e dei producer. Oggi si può persino clonare o creare voci talmente realistiche da sembrare vere.

Da DJ e produttore, posso dirlo senza mezzi termini: se uno guarda a tutto questo con ansia, sembra davvero che il mondo della musica sia sotto assedio. Ma la realtà è più sfumata.

L’AI è uno strumento. Come ogni strumento, la differenza la fa chi lo utilizza. La tecnologia ha sempre abbattuto barriere e reso accessibili arti e mestieri a un numero crescente di persone: pensiamo alla fotografia digitale o ai software di home recording. Oggi, con l’intelligenza artificiale, si fa un passo in più: chiunque può tirar fuori qualcosa che assomiglia a una canzone in pochi click.

Ma attenzione: non basta. Una canzone non è solo tecnica, è emozione. L’AI può fare molto, ma senza un’idea artistica dietro il risultato resta sterile.

Io stesso ho sperimentato queste piattaforme: ad oggi ho tre brani legalmente riconosciuti e distribuiti su Spotify, realizzati utilizzando anche l’AI. Non è stato affatto semplice: scrivere un prompt non basta per ottenere un pezzo valido, occorre comunque gusto musicale, capacità di arrangiare, di mixare e di rifinire il suono. Senza queste competenze, il rischio è produrre brani mediocri, tutti uguali e destinati a perdersi.

Se negli anni ’60 per realizzare una canzone servivano autore, compositore, arrangiatore, fonico, musicisti e studi di registrazione, oggi molto di quel lavoro può essere condensato nella figura del music producer. Negli anni recenti sono nati ruoli come i beat-maker e, allo stesso modo, nasceranno figure professionali legate all’AI: data analyst musicali per le etichette e le piattaforme di streaming, esperti di etica e copyright per la musica generata con l’intelligenza artificiale, educatori che insegneranno a usare questi strumenti in maniera consapevole.

E magari, un domani, ci sarà persino un “AI detector” capace di dire quanta parte di una canzone è stata creata dall’uomo e quanta dalla macchina. Chissà, forse arriveremo persino a mettere un’etichetta “DOC” su un disco, come per le marmellate, con la percentuale di “frutta umana” rispetto a quella artificiale.

Il punto, per me, resta questo: un artista non deve avere paura della tecnologia. Chi si spaventa ha già perso la curiosità che alimenta la musica. La storia ce lo insegna: il pianoforte, l’amplificatore a valvole, i sequencer degli anni ’80… ogni epoca ha avuto la sua rivoluzione. L’AI è la nostra.

Il vero rischio non è l’AI in sé, ma l’uso pigro che se ne può fare. Chi pensa di trovare scorciatoie facili finirà nella mediocrità. Chi invece la integra nella propria crescita artistica, può aprirsi nuove possibilità creative.

Io scelgo questa strada: vivere e cavalcare il mio tempo, senza nostalgie, con la musica come compagna e con la tecnologia come strumento.

Antimo DJ
DJ, produttore e sperimentatore musicale. Tre brani ufficiali su Spotify realizzati con l’aiuto dell’intelligenza artificiale — e il prossimo è già in arrivo.

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