Mistero: dalla divulgazione inquietante al trash paranormale

Nato come esperimento estivo di “divulgazione di confine”, Mistero ha finito per trasformare il paranormale in caricatura.

C’è stato un momento, nell’estate del 2009, in cui Italia 1 ha davvero dato l’impressione di voler tentare qualcosa di nuovo. Non l’ennesimo varietà, non la solita comedy da seconda serata, ma un programma di divulgazione dell’occulto pensato come racconto televisivo popolare su ignoto, paranormale e scenari liminali. Mistero nasce così: come trasmissione borderline culturale e, allo stesso tempo, inquietante. prodotta da Mediaset e costruita attorno a servizi, ricostruzioni e inviati, Mistero parte da un’idea precisa di fondo: portare in prima serata il brivido dell’ignoto impastandolo con la cronaca, la storia, l’archeologia anomala e le paure collettive. Un programma dedicato a ufologia, paranormale, complottismi e pseudoscienza, andato in onda dal 2009 al 2016 (poi con il titolo Mistero Adventure). Il problema è che quell’embrione di progetto non ha retto alla tentazione più antica della tv commerciale: alzare i toni, sbracare, gonfiare, spettacolarizzare. E quando la spettacolarizzazione diventa sistema, la ricerca del mistero si riduce a fiera dell’assurdo. Mistero è un caso di scuola perché racconta in diretta la traiettoria di un format che, dovendo scegliere tra racconto e reality di emozioni facili, ha scelto quest’ultimo. E con una certa ostinazione.

Mistero: la prima stagione con Enrico Ruggeri

La prima edizione, condotta da Enrico Ruggeri – che prestava il volto e una credibilità da narratore curioso e disincantato – aveva un’atmosfera diversa. Non era un capolavoro scientifico, certo, ma mostrava una voglia di costruire un immaginario, non solo inseguire l’audience. In quell’edizione compaiono temi come le mummie di Palermo, la paura del 2012 come anno apocalittico e la reliquia della Sindone di Torino letta come possente simbolo misterico. Nella prima stagione figura Rachele Restivo nel ruolo, figura seducente e misteriosa che riprenderemo successivamente. Almeno all’inizio, il programma sembrava sapere che l’effetto inquietante nasce dal dubbio, non dalla certezza urlata. Il 2012 veniva raccontato come ansia collettiva, non come countdown venduto a rate. Le mummie erano riprese e commentate in tutta la loro solennità giocando con la curiositas e con il conseguente senso di inquietudine del telespettatore mentre guardava quelle immagini crude all’interno del convento dei Cappuccini a Palermo. La Sindone stava nel solco delle grandi domande religiose e storiche, pur con derive fantasiose che la tv di quel periodo inseguiva volentieri.

La figura dell’Oracolo: simbolo del possibile abbandono

La presenza dell’Oracolo, interpretata da Rachele Restivo, è uno dei segni distintivi della prima fase di Mistero. In queste edizioni iniziali, Restivo non era una semplice inviata bensì una presenza scenica fissa, vestita come figura rituale che introduceva i blocchi con frasi evocative e toni sospesi. Era un dispositivo estetico: una donna ieratica, con vesti solenni e al contempo voluttuose, che pronunciava enunciazioni da sibilla moderna. Questa scelta rifletteva un’idea più consapevole del racconto del mistero, o almeno quella che il programma sembrava avere all’inizio. Dopo la sesta edizione, la restyling del format e il cambio di ruoli la riportano in posizione più giornalistica, e l’Oracolo sparisce lentamente dal centro della narrazione. In altre parole: l’Oracolo rappresentava un freno estetico al sensazionalismo. Quando quel freno viene tolto, il program­ma perde l’ultimo lenzuolo della sua dignità e scivola nella logica della “prova shock”.

La deriva: da racconto a giostra del sensazionalismo

Con l’arrivo delle edizioni successive, e con conduttori come Raz Degan, l’impianto cambia. Il baricentro si sposta dalla narrazione all’esperienza, dal contenuto al personaggio. L’impostazione dei servizi diventa più spinta: filmati notturni, “riprese inedite”, testimonianze da brivido. L’inserimento di figure come Adam Kadmon – volto coperto, maschera, sedicente iniziato – cambia radicalmente la grammatica del programma. Da quel momento in poi, Mistero non si propone più come racconto inquietante ma come show dell’ignoto. Le storie riguardano gnomi con l’ascia, alieni in 3D spacciati per reali, video amatoriali di sparizioni abrupt e fantasmi visibili come cartoni animati. L’effetto: l’ignoto non evoca più il dubbio, ma genera solo ilarità. Il pubblico ricorda non la rivelazione storica o archeologica, ma lo “gnomo” diventato meme.

Il servizio su Morgellons: l’apice del sensazionalismo televisivo

Tra i servizi più ricordati – e oggi citati quasi come esempio di televisione parodia – c’è senza dubbio quello dedicato alla cosiddetta sindrome di Morgellons, una condizione non riconosciuta dalla comunità scientifica e spesso associata a forme di delusione parassitaria, ma trasformata dal programma in un caso di “nuova misteriosa malattia dell’era moderna”. Mistero portò in scena testimonianze fortemente enfatizzate, con primi piani di presunti filamenti che “spuntavano dalla pelle”, riprese ravvicinate, luci drammatiche e un montaggio che alternava musica inquietante a ricostruzioni in stile horror. Nel servizio venivano mostrati campioni di materiale fibroso presentati come “organismi sconosciuti”, accompagnati da dichiarazioni che lasciavano intendere possibili origini tecnologiche o addirittura extraterrestri. Anche il linguaggio adottato, più vicino alla narrazione apocalittica che all’inchiesta, contribuiva a rendere la vicenda un vero e proprio caso mediatico. Questo segmento è rimasto nella memoria collettiva per la sua impostazione fortemente spettacolare, diventando un simbolo della fase in cui il programma privilegiava l’effetto scenico rispetto alla cautela narrativa.

Adam Kadmon: il volto enigmatico del programma

All’interno di Mistero, la figura di Adam Kadmon diventa uno degli elementi più riconoscibili e discussi dell’intero format. Uomo dal volto parzialmente celato, voce filtrata e presenza scenica costruita per enfatizzare distacco e riservatezza, Kadmon si presenta come narratore di tematiche complesse e spesso legate al mondo dell’occulto, della simbologia e delle teorie alternative. Il nome scelto richiama l’“uomo delle origini” della mistica ebraica, una figura archetipica che suggerisce conoscenza primordiale e sapienza iniziatica. La sua identità reale non è mai stata rivelata ufficialmente e l’anonimato, accuratamente mantenuto anche fuori dal programma, ha contribuito a creare attorno a lui un’aura che unisce enigma e strategia comunicativa. Nel contesto del format, Kadmon assume così un ruolo centrale: non solo volto, ma simbolo dell’immaginario costruito dal programma, ponte tra l’estetica del mistero e la fascinazione per ciò che rimane nascosto. Il suo anonimato – ancora oggi oggetto di curiosità e speculazioni – continua a rappresentare uno degli aspetti più longevi dell’eredità culturale lasciata da Mistero.

Critica metodologica: quando il mistero diventa marketing

Sin dalla prima stagione il programma è stato oggetto di critiche per la diffusione di notizie non verificate e per l’uso di modalità investigative antiscientifiche. Per esempio, il blog di Paolo Attivissimo ha messo in luce che uno dei filmati presentati come “feto alieno” era molto probabilmente una lepre scuoiata. Se si definisce “divulgazione” la proposta televisiva di Mistero, allora le sue prime edizioni avrebbero potuto essere meno ambiziose ma più autentiche. Così non è stato. Invece di correggere la rotta, il programma ha abbracciato la spettacolarità estrema come identità. Il risultato: non una ricerca, ma una fabbrica di titoli sopra le righe, climax emotivi e grafiche 3D. Quando un format sul mistero decide che la verità è meno importante dello “shock”, il mistero muore.

Eredità ambigua e lezione televisiva

Quando nel 2016 il programma si spegne, lascia dietro di sé un’eredità che è al tempo stesso pop-nostalgica e contraddittoria. Da una parte il ricordo di un guilty pleasure generazionale: molti lo guardavano sapendo che stavano assistendo a una messa in scena. Dall’altra, la normalizzazione dell’anti-metodo: l’idea che “qualunque cosa possa essere prova” e che l’emozione rappresenti la verità. Se il mistero viene usato per vendere fumo, alla fine non resta nemmeno il gioco: resta solo il fumo.
Forse è per questo che oggi Mistero fa ridere e arrabbiare insieme. Ridere perché è impossibile non sorridere davanti allo “gnomo con l’ascia” o agli alieni in CGI. Arrabbiare perché quel riso copre un fatto semplice: per anni una rete nazionale ha spacciato pseudoscienza per divulgazione, bufale per indagini, paure per cultura. È un monito: la forma televisiva deve essere sempre sobria e rigorosa e deve lasciar bene intendere (senza alcun fraintendimento) se si tratta di intrattenimento o di serio programma divulgativo.

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