Mirella Gregori, un mistero lungo 42 anni: la storia del caso

Un’inchiesta approfondita su Mirella Gregori, scomparsa a Roma il 7 maggio 1983: chi era, come svanì e perché fu collegata a Emanuela Orlandi.

Roma, 7 maggio 1983: una ragazza di quindici anni esce di casa dopo aver risposto al citofono e si dissolve nel vuoto. Si chiama Mirella Gregori e il suo nome diventerà, suo malgrado, il filo che cuce e scuce oltre quarant’anni di ipotesi, omissioni, voci, carte e ricordi. Il suo caso, accostato a quello di Emanuela Orlandi, resta uno dei buchi neri della cronaca italiana, dove il tempo sedimenta più domande che risposte. A distanza di decenni, l’eco di quelle ore si è allargata ad aule giudiziarie, commissioni parlamentari e inchieste vaticane riaperte: ogni volta sembra il passo decisivo, ogni volta riaffiorano dubbi e nodi. Raccontare Mirella significa ricostruire la sua vita di studentessa, la geografia dei luoghi (via Nomentana, via Volturno, un bar, un campanello), il perimetro di amicizie e abitudini. Significa anche misurare la tenuta dei collegamenti con l’affaire Orlandi, verificando atti, sentenze, riaperture e i motivi reali dell’accostamento tra i due nomi. Questo piccolo dossier mette in fila i punti fermi e quelli fragili, distinguendo ciò che è documentato dai racconti e ripercorrendo le più recenti acquisizioni della Commissione bicamerale Orlandi–Gregori. Non un romanzo, ma un mosaico di riscontri.
Una storia che continua a chiedere, almeno, una verità storica.

Chi era Mirella Gregori: ritratto di una quindicenne romana

Mirella nasce a Roma il 7 ottobre 1967. È la figlia minore di una famiglia che gestisce il bar “Coppa d’Oro” tra via Volturno e via Montebello; abita in via Nomentana 91. Frequenta con profitto la seconda superiore all’Istituto commerciale femminile “Padre Reginaldo Giuliani” (via dell’Olmata), è descritta come una ragazza “assolutamente normale”, con amicizie di quartiere e routine scandite dalla scuola e dal bar sotto casa, il “Bar Italia – Pizzeria da Baffo” in via Nomentana 81, dove lavora l’amica Sonia De Vito. La sua quotidianità, nei documenti, è la bussola per leggere ogni anomalia del 7 maggio.

7 maggio 1983: l’ultimo pomeriggio

La mattina è di scuola. Dopo le lezioni, il rientro, una sosta al bar, la salita a casa. Nel pomeriggio, il citofono: si presenta un “Alessandro”, descritto come ex compagno; Mirella esce di casa poco dopo. La traccia, nelle prime ore, si concentra tra il portone di via Nomentana e gli esercizi della zona. Le versioni sull’“Alessandro” vengono verificate: in seguito, si dirà che la persona indicata aveva un alibi e non vedeva Mirella da mesi. Quel nome resta un’ombra nel verbale, non una pista.

l bar sotto casa, le amicizie, gli orari: tasselli fondamentali

La figura di Sonia De Vito ricorre in atti e ricostruzioni: amica stretta, citata per il colloquio al bar nel primo pomeriggio. Nelle audizioni parlamentari emergono richiami a vecchie deposizioni: la cornice del bar in via Nomentana, l’orario tra le 14 e le 15, il dettaglio del bancone. Sono tasselli che definiscono un “ultimo perimetro” domestico, non una fuga preparata.

Perché Mirella fu collegata a Emanuela Orlandi

L’accostamento nasce nell’estate 1983: comunicati e telefonate che rivendicano il sequestro di Orlandi in cambio della liberazione di Mehmet Ali Ağca cominciano a menzionare anche Mirella, sovrapponendo i casi nel discorso pubblico. Col tempo, però, le sentenze parleranno di “accostamento arbitrario e strumentale”, sottolineando l’assenza di un impianto probatorio comune. Il collegamento, dunque, è un costrutto mediatico e telefonico prima che investigativo, almeno per la prima stagione di indagini.

Dalle prime indagini alle archiviazioni: cosa dissero i giudici

La prima grande stagione d’indagine si chiude negli anni Novanta con un’archiviazione che nega la matrice comune; in seguito, si alternano riaperture e approfondimenti, fino alla stagione recente che vede muoversi in parallelo giustizia italiana, Santa Sede e Parlamento. Il 9 gennaio 2023 il promotore di giustizia vaticano Alessandro Diddi riapre il dossier Orlandi, evento che riaccende i riflettori anche sull’universo Gregori. I riflessi istituzionali, in questa fase, contano quasi più delle piste.

La spinta dei familiari: l’appello di Maria Antonietta Gregori

Nel dicembre 2023, la sorella di Mirella sollecita la Procura di Roma a riaprire l’inchiesta, indicando incongruenze e testimoni da riascoltare (compreso il barista sotto casa). È una pressione civile, non un teorema: chiede verifiche su contraddizioni di vecchia data, proprio in contemporanea con le nuove iniziative su Orlandi. La memoria privata diventa benzina pubblica per riaccendere i motori dell’indagine.

Marco Fassoni Accetti: autoaccuse, telefonate, perizie

Nel 2013 Accetti si autoaccusa di un ruolo nei casi Orlandi e Gregori, affermando di essere anche la voce dell’“Amerikano”, il telefonista che fornì dettagli sull’abbigliamento di Mirella. Le sue versioni alimentano un racconto di “lotte di fazione” e ricatti interni al Vaticano. L’inchiesta romana evidenzia “inquietanti riscontri” secondo la stampa, ma approda all’archiviazione, con scelte procedurali (competenza del procuratore capo) considerate anomale da alcuni osservatori. Il suo profilo resta il tornante più esposto del dossier: verità parziali, mitomane, oppure una persona che ebbe realmente un ruolo a 360 gradi nella scomparsa?

La questione-voce: chi era davvero “l’Amerikano”?

Una parte della letteratura recente insiste sulle perizie vocali. Analisi e confronti (anche con strumenti d’intelligenza artificiale) sono stati riportati da cronache e siti di approfondimento come elemento di forte compatibilità tra la voce dei telefonisti del 1983 e quella di Accetti. Altre fonti, inclusi atti parlamentari, segnalano come non siano state sempre disposte perizie foniche “risolutive” in sede giudiziaria, pur essendone stata ipotizzata l’utilità. Qui lo scarto tra ciò che le perizie suggeriscono e ciò che la giustizia certifica è la crepa più visibile.

Commissione bicamerale Orlandi–Gregori: che cosa ha aggiunto

Nel 2024–2025, le audizioni della Commissione offrono un deposito di materiali e contraddittori. Nei resoconti stenografici emergono richiami puntuali a dichiarazioni storiche su luoghi e orari (come il bar di via Nomentana) e domande pressanti su perché non si siano disposte in passato determinate perizie tecniche (confronti vocali) o approfondimenti patrimoniali. L’obiettivo dichiarato è arrivare almeno a una “verità storica”: un terreno diverso dalla prova penale, ma prezioso per ricostruire il contesto. Una parte della stampa d’inchiesta ha inoltre passato al setaccio tabulati, rubriche, indirizzi e vecchi incartamenti (es. riferimenti a utenze e indirizzi su via Nomentana; figure come Sonia De Vito; criticità delle prime verifiche). Questi lavori, pur non avendo il crisma dell’autorità giudiziaria, mettono in fila lacune investigative e piste ignorate, alimentando la richiesta di riascolti e nuovi accertamenti.

Il riflesso Orlandi: perché l’accostamento resiste ancora

Se la giurisprudenza ha considerato “arbitrario” l’accostamento, l’opinione pubblica continua a saldarlo: tempi vicini, adolescenti coetanee, Roma come palcoscenico, telefonate e comunicati che citano entrambi i nomi. Dal 2022, la docu–serie “Vatican Girl” e il successivo attivismo istituzionale hanno riacceso la narrativa incrociata, mentre nuove ipotesi (anche controverse) emergono ciclicamente sui media. La forza dell’accostamento è narrativa prima che probatoria, ma pesa sul modo in cui percepiamo il caso Gregori.

Luoghi della scomparsa: Roma come mappa investigativa

Via Nomentana 91 come casa, via Nomentana 81 come bar sotto casa; via Volturno e via Montebello come coordinate familiari; l’Istituto in via dell’Olmata. Questi punti costruiscono una mappa stretta, quasi domestica, che non suggerisce una pianificazione lunga o un allontanamento volontario prolungato: il raggio d’azione dell’ultimo pomeriggio pare breve, ma sufficiente a inghiottire una persona.

Cosa sappiamo (e cosa no) del “citofono”

Il “citofono” è l’innesco: un “Alessandro” annuncia la sua presenza; Mirella scende. Le verifiche successive depotenziano quella pista, ma la scena resta la più iconica. È un espediente semplice, quasi “di prossimità”, non una manovra da thriller internazionale. Se fu esca, fu un’esca costruita sulla fiducia di quartiere.

Linee del tempo a confronto: 7 maggio – 22 giugno 1983

Il 7 maggio scompare Mirella; il 22 giugno tocca a Emanuela. Ad agosto partono i comunicati che le accostano. L’intreccio mediatico si consolida, ma le temporalità non bastano a creare un nesso causale. Le indagini d’epoca non fissano un “ponte” condiviso; quelle più recenti rimandano a verifiche tecniche (perizie vocali) e a riascolti su specifici attori.

Sonia De Vito: l’amica confidente tra versioni contrastanti e silenzi

Sonia De Vito era la figlia dei gestori del bar situato sotto casa dei Gregori in via Nomentana, ed era indicata come la migliore amica di Mirella nel periodo antecedente la scomparsa. Secondo le deposizioni, il pomeriggio del 7 maggio 1983 Mirella passò dal bar per salutare Sonia e vi trascorse alcuni minuti, anche chiudendosi con lei nel bagno del locale per parlare. Durante le indagini, Sonia dichiarò che avevano parlato di “ciò che capita”, senza che lei avesse notizie utili su chi avrebbe potuto prendere Mirella. Con il passare degli anni, la posizione di Sonia è divenuta sempre più ambigua agli occhi degli investigatori e dei cronisti: nel corso della seconda inchiesta, ella ammise che il rapporto di frequentazione con Mirella si era esaurito in una fase successiva all’inizio del suo fidanzamento, una versione che contrastava con i diari e le agende della vittima, che suggerivano che l’amicizia fosse attiva anche nel 1983. In diverse ricostruzioni e articoli d’inchiesta si è sottolineato che Sonia cambiò versioni sul suo grado di vicinanza alla ragazza e su quanto sapesse dei fatti del giorno della scomparsa. Tra le carte emerse, un documento del SISDE del 31 ottobre 1983 riferisce una conversazione in cui Sonia avrebbe detto: «Come ha preso Mirella poteva prendere anche me, visto che andavamo insieme». Questo passaggio ha alimentato sospetti sul fatto che Sonia fosse consapevole dell’identità dell’uomo che persuase Mirella a uscire. Quanto alla sua audizione davanti alla Commissione parlamentare Orlandi-Gregori, è stata secretata, e alcune fonti sottolineano come sia difficile dissipare il segreto che la circonda. In audizioni recenti, un’amica di scuola di Mirella, Simona Bernardini, ha indicato che Sonia avrebbe avuto consapevolezza del luogo in cui Mirella si recò e di chi l’avesse accompagnata quel giorno. La stessa Simona ha affermato che, entrando al bar, Sonia disse: “Mirella era stata una stupida ad andare verso Villa Torlonia”. Dopo la scomparsa, inoltre, la frequentazione della ragazza con la famiglia Gregori si raffreddò: non tornò spesso a trovarli, cosa che alcuni interpretano come un allontanamento forzato o una reazione a timori avvertiti.

Raoul Bonarelli: perché viene sempre menzionato nel caso?

Raoul Bonarelli era all’epoca vice-capo della Gendarmeria dello Stato della Città del Vaticano e figura spesso evocata per il suo presunto legame con gli spazi frequentati da Mirella e Sonia. In un episodio significativo, durante la visita del Papa alla chiesa di San Giuseppe a Roma il 15 dicembre 1985, la madre di Mirella affermò di aver riconosciuto in un membro della scorta, presente in quel corteo, Raoul Bonarelli: una persona che, a suo dire, “spesso si intratteneva” con sua figlia e con l’amica Sonia in un bar vicino a casa. Questo episodio attirò immediatamente l’attenzione degli investigatori, e nel 1993 il giudice Adele Rando lo convocò per un confronto formale con la madre Gregori. Bonarelli negò con fermezza ogni aderenza alle affermazioni emerse: riconobbe di aver partecipato alla scorta papale, ma negò di aver avuto contatti con Mirella o Sonia o di essersi intrattenuto con loro. Durante il confronto, la madre di Mirella non riconobbe con certezza l’individuo messo davanti a lei, pur avendo in precedenza dichiarato di essere certa. In seguito, Bonarelli fu oggetto di indagini, e la sua posizione fu archiviata per insufficienza di prove. Alcune fonti riportano che egli fu assolto nel 1997, ritenuto estraneo alla vicenda. Un’altra curiosa coincidenza riguarda il fatto che, secondo alcune ricostruzioni, la madre Gregori attese ben otto anni prima che il confronto formale avvenisse, cosa che alcuni critici adducono come una grave omissione investigativa. In una prospettiva più ampia, la presenza di Bonarelli in ruoli di sicurezza vaticana alimentò sospetti mediatici che collegavano la vicenda Gregori (e Orlandi) a ambienti interni al Vaticano, ipotesi che però non è mai stata confermata da prove giudiziarie concrete. Pur essendo un personaggio “alta visibilità” rispetto alla media dei soggetti indagati, il contributo concreto che si possa attribuire a Bonarelli nella catena degli eventi resta incerto: la giustizia non ha trovato conferme della sua partecipazione attiva, ma il suo nome rimane evocato come possibile “contatto” tra il mondo vaticano e le zone frequentate da Mirella nei giorni della scomparsa.

Conclusioni (provvisorie): verso una “verità storica”

A quarant’anni dalla scomparsa, i punti solidi su Mirella sono pochi e imprescindibili: identità, luoghi, orari, routine, la misteriosa citofonata, il perimetro di un quartiere familiare. Il collegamento con Emanuela Orlandi è documentale nella sfera delle rivendicazioni e mediatico nella percezione; sul piano giudiziario, resta non dimostrato come matrice comune. Dopo 42 anni di omertà e risposte non date, la commissione parlamentare ha il merito di aver compattato materiali e chiesto conto di scelte e omissioni, mirando a una verità storica: un orizzonte meno definitivo della sentenza, ma capace di ridurre l’asimmetria fra memoria e dubbio. L’obiettivo? Riportare Mirella al centro, non come appendice di un altro caso, ma come persona scomparsa a cui la città di Roma deve risposte. Mirella, come Emanuela, Denise Pipitone, Alessia Rosati e altre ragazze scomparse, è divenuta la figlia di tutta l’Italia.

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