La porta della castità

Passeggiando su via San Lorenzo, poco prima di svoltare in via Santa Chiara, vi è un ingresso murato su cui spicca uno stemma e che sembra quasi volutamente nascondersi per sfuggire allo sguardo ‘indiscreto’ dei passanti. Dietro quella porta si nasconde una storia d’altri tempi, fatta di dolore e rinunce, ma anche della promessa di un amore eterno.Nella seconda metà del Cinquecento, la nobildonna Isabella de Florio, divenuta da poco mamma, si trovò ad assistere il marito sul letto di morte. Entrambi erano giovanissimi e molto innamorati.

Di compiere il balzo per l’altro mondo, il marito non aveva alcuna voglia, sapendo di lasciare soli la dolce moglie e il loro bambino, ma nel frattempo la malattia lo stava consumando, rendendogli i giorni sempre più terribili.

Un giorno Isabella gli si avvicinò per asciugargli il sudore dalla fronte, lui le afferrò un braccio con le poche forze che ancora aveva e le disse: “Non morirò mai contento se non mi prometti che dopo di me non avrai altre nozze”.

La giovane donna promise allora al marito che mai si sarebbe risposata e avrebbe avuto un altro uomo, e che gli sarebbe rimasta fedele per sempre, anche oltre la morte.

Detto questo, l’uomo ricevette l’estrema unzione e si spense serenamente. Dopo poco tempo, un triste destino privò la giovane donna anche del suo bambino.Isabella era nel fiore degli anni, bellissima e decisamente ricca. Avrebbe potuto mettere da parte quel doloroso passato e rifarsi una vita. Con molto coraggio, decise invece di tenere fede alla promessa fatta al marito.

E così, chiamò l’allora Arcivescovo di Manfredonia, Domenico Ginnasio, e concordò che, rinunciando a tutti i suoi beni, lì dov’era la sua elegante residenza, di fronte la cattedrale e proprio ai piedi del campanile (che all’epoca si trovava in via Arcivescovado), nascesse un convento dedicato alle Monache di Santa Chiara (le clarisse). Accanto, fece costruire una meravigliosa chiesa, che venne inaugurata il 21 novembre 1592.

Isabella, con due gentildonne, varcò la soglia del ‘suo’ convento dall’ingresso di via San Lorenzo, volse un’ultima volta lo sguardo verso la sua amata Manfredonia ricordando quando da bambina correva spensierata tra quelle vie, quindi si girò e non tornò mai più sui suoi passi. E in memoria del voto fatto all’amato marito, decise di mettere un muro, nel senso letterale del termine, tra sé ed il resto del mondo.

Fu così che quell’ingresso venne chiuso per sempre ed Isabella, che prese il nome di Suor Antonia, visse per il resto dei suoi giorni chiusa nel convento, in castità e preghiera. Da quel luogo (oggi divenuto un Seminario) non uscì nemmeno alla sua morte, sopraggiunta nel 1625: le sue spoglie furono infatti sepolte (e si trovano ancora) nel fossato della chiesa di Santa Chiara, dove un tempo sorgeva la sua casa e aveva vissuto i giorni più felici e spensierati della sua vita, con il suo unico grande amore ed il loro bambino. Insieme nella vita ed oltre la vita.

Oggi, dinanzi a questa porta murata che trasuda amore, c’è una fredda ed anonima centralina per l’elettricità.

Sarebbe bello spostare la centralina ed apporre una targa che possa raccontare questo affascinante pezzo della nostra meravigliosa storia.

Maria Teresa Valente

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