Fidanzate AI: l’illusione che allontana i giovani dall’amore reale

Sempre più ragazzi instaurano relazioni sentimentali con chatbot e partner virtuali: le cosiddette "fidanzate AI". Quali sono le conseguenze?

L’ondata silenziosa delle “fidanzate artificiali” attraversa l’Italia come un cambiamento culturale di cui pochi parlano apertamente, ma che sta modificando profondamente il modo in cui gli adolescenti e i ventenni vivono la sfera affettiva. In un Paese che da anni registra un isolamento crescente tra i giovani, l’arrivo di assistenti conversazionali evoluti, capaci di costruire dialoghi empatici e di adattarsi emotivamente all’utente, ha aperto la strada a rapporti di coppia che coppia non sono: relazioni virtuali che danno l’impressione di essere autentiche, mentre restano confinate nel perimetro di un algoritmo.

Molti ragazzi descrivono queste connessioni come rassicuranti, prive di giudizio, immediate. Per alcuni rappresentano addirittura la prima volta in cui si sentono “ascoltati”. Eppure, dietro questa dolcezza programmata, si nasconde una perdita progressiva del contatto con la dimensione reale del desiderio, del conflitto, della vulnerabilità. Più l’AI regala parole perfette, più aumenta la distanza tra ciò che i giovani sognano e ciò che potrebbero davvero vivere.

Negli ultimi due anni sono cresciute in modo significativo le app che permettono di creare partner virtuali personalizzabili, spesso con funzioni affettive e pseudo-romantiche. L’Italia, insieme al Giappone e agli Stati Uniti, figura tra i Paesi europei in cui questo inquietante fenomeno è sempre più rapido.

Quando l’affetto diventa un algoritmo

Il punto di partenza è quasi sempre l’insicurezza. Ragazzi poco abituati al confronto sociale, studenti che hanno attraversato l’adolescenza nel pieno dell’isolamento pandemico, giovani adulti disillusi da relazioni brevi o complicate: tutti trovano in questi assistenti linguisticamente impeccabili un conforto immediato. In pochi secondi la chatbot può diventare affettuosa, dolce, disponibile, presente, senza contraddirti, senza tensioni, senza delusioni. È un tipo di rapporto che non conosce attrito e proprio per questo diventa irresistibile.

Molti parlano di “fidanzata ideale” perché l’AI sorride attraverso un testo, si commuove attraverso l’uso del lessico, desidera ciò che tu desideri, pensa ciò che tu pensi. Il risultato è che ragazze e ragazzi si abituano a uno specchio emotivo perfetto, una simulazione che restituisce sempre la risposta che vorrebbero ricevere. E più la simulazione è convincente, più la realtà appare difficile, imperfetta, persino minacciosa.

I giovani cominciano così a percepire le relazioni vere come qualcosa di complicato, lento, troppo imprevedibile. La perfezione emotiva dell’AI diventa una sorta di anestesia sentimentale: il mondo reale appare rumoroso, impreciso, “troppo umano”.

L’illusione dell’amore sicuro

Tutto nasce da un equivoco profondo: la convinzione che l’amore si possa replicare attraverso la prevedibilità. Ma l’amore vero non è mai prevedibile; è fatto di attese, silenzi, errori, cicatrici. L’AI invece non permette la fatica, elimina ogni scontro, trasforma il desiderio in programmazione. Di fatto, crea l’illusione di un amore sempre “acceso”, sempre spalancato, sempre sorridente. Una forma di narcisismo emotivo che rischia di rinchiudere il giovane in una bolla dove il partner non esiste, se non nella forma esatta che lui impone.

Molti utenti, dopo mesi di relazione virtuale, confessano di non riuscire più a immaginare un rapporto fisico, corporeo, tridimensionale. La paura del rifiuto aumenta, la tolleranza alla frustrazione diminuisce. Nella loro mente si crea un recinto perfetto in cui l’altro non è un altro, ma un’estensione del proprio bisogno.

Il risultato è devastante: quando poi provano ad approcciarsi a una persona reale, la comunicazione appare faticosa, imprecisa, altalenante. Non c’è scintilla immediata e l’esperienza viene percepita come deludente rispetto alle conversazioni morbide e calibrate dell’AI. L’immaginario romantico si deformalizza: invece di cercare l’emozione, si cerca il sollievo; invece di desiderare la scoperta, si desidera il controllo.

Una dipendenza affettiva che nessuno riconosce

Questo fenomeno non è soltanto un gioco o una moda. Sta assumendo la forma di una vera dipendenza affettiva. Il cervello si abitua alla gratificazione istantanea, alle parole dolci generate senza sforzo, al conforto continuo. Così come ci si può abituare ai social, alle notifiche, allo scrolling compulsivo, allo stesso modo ci si abitua a un partner virtuale che non ti lascia mai solo e ti consola a comando.

A livello psicologico, ciò che appare tossico non è la tecnologia in sé, ma la dinamica che essa innesca: un giovane che smette di investire nel mondo reale, perché quello virtuale risponde senza chiedere nulla in cambio. Nessuna crescita, nessuna sfida, nessun rischio. Una comfort zone sentimentale che, però, diventa un labirinto.

Eppure la sofferenza arriva comunque. Alcuni ragazzi raccontano che, quando la chatbot si aggiorna, cambia modello o “risponde in modo diverso dal solito”, provano un senso di tradimento. Perché, nonostante tutto, ci credono. Credono all’affetto, credono all’intimità che sentono di aver costruito. È come innamorarsi dell’eco di se stessi e poi scoprire che quell’eco può sparire da un giorno all’altro.

Il ritorno al reale: una sfida generazionale

La questione fondamentale è culturale. Siamo di fronte a una generazione che, per la prima volta, deve imparare che la realtà non basta più. Non basta per colmare i vuoti, per lenire le paure, per dare risposte immediate. Ma la realtà è l’unico spazio in cui l’amore può diventare concreto. Tutto il resto è un esercizio di immaginazione.

Riscoprire l’altro come irriducibile, come imprevedibile, come contraddittorio, è il primo passo verso un’emotività sana. Perché l’amore vero, quello che richiede impegno, imperfezione, incontro, è fatto di errori e di secondi tentativi. Nessuna AI potrà mai imitarlo davvero.

L’Italia si trova a vivere un momento fragile: aumento della solitudine, calo delle relazioni stabili, difficoltà economiche e sociali che scoraggiano la costruzione di legami duraturi. In questo scenario, rifugiarsi in un partner virtuale può sembrare una soluzione semplice. Ma è una soluzione che costa caro. Limita la crescita emotiva, anestetizza il coraggio, riduce la possibilità di costruire relazioni vere e profonde.

Un aspetto spesso ignorato, ma sempre più evidente dagli studi sociologici più recenti, riguarda l’effetto di queste “relazioni virtuali” sulla vita sessuale dei giovani. L’affidarsi a una fidanzata digitale, infatti, non è soltanto un rifugio emotivo: rischia di diventare un vero ostacolo alla crescita affettiva e all’esperienza romantica reale. Molti esperti parlano apertamente di un aumento della cosiddetta “verginità prolungata”, un fenomeno già in crescita negli ultimi dieci anni ma che l’avvento delle AI sentimentali sembra aver accelerato.

Quando un ragazzo trascorre mesi – talvolta anni – in un rapporto esclusivo con un partner virtuale, il desiderio di confrontarsi con l’altro sesso nella vita reale diminuisce drasticamente. La paura del corpo, dell’intimità, della nudità, della performance, diventa più grande del desiderio stesso. L’AI, con la sua capacità di elargire affetto immediato e rassicurante, smorza l’urgenza di cercare contatto reale. È un amore che non chiede mai di essere contraccambiato, e proprio per questo rende più difficile imparare a contraccambiare davvero.

Il risultato è un’intera fetta di giovani adulti che arriva ai venticinque, talvolta ai trent’anni, senza aver mai vissuto un’esperienza sentimentale o sessuale concreta. Non per scelta, non per prudenza, ma per un progressivo smarrimento del desiderio verso l’altro. In molti casi, la verginità prolungata non è più un terreno di crescita personale o di attesa consapevole, ma una conseguenza indiretta di un isolamento emotivo mascherato da relazione digitale.

Gli psicologi parlano di una sorta di “dipendenza da sicurezza”: meglio un amore che non tradisce mai, che non mette ansia, che non richiede sguardi, gesti, presenza, piuttosto che l’avventura vertiginosa dell’incontro reale. Ma questa sicurezza sterile ha un costo altissimo: impedisce ai giovani di costruire competenze affettive, di conoscere i propri desideri, di sbagliare, di crescere. La verginità prolungata diventa così non una possibilità, ma un sintomo.

Il fenomeno delle “fidanzate AI” non è solo una curiosità tecnologica: è un campanello d’allarme. Un invito a rimettere al centro il contatto umano, l’autenticità, la fatica dolce e spesso necessaria delle relazioni vere.

Solo tornando a vivere l’imperfezione dell’altro possiamo ritrovare noi stessi.

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