Famiglia nel bosco, portati via i 3 figli: il caso divide l’Abruzzo

Il Tribunale dei minori dell’Aquila allontana tre bambini dalla “famiglia nel bosco” di Palmoli. I genitori si difendono.

La chiamano ormai “famiglia nel bosco”, quasi fosse un racconto d’altri tempi. Ma a Palmoli, nell’entroterra chietino, la storia ha preso una piega durissima e molto concreta: i tre figli di Nathan e Catherine, coppia anglo-australiana che vive in un casolare isolato tra i boschi, sono stati trasferiti in una comunità educativa per un periodo di osservazione. Un provvedimento del Tribunale per i minorenni dell’Aquila, eseguito con assistenti sociali e forze dell’ordine, ha imposto l’allontanamento dall’abitazione dove i piccoli erano cresciuti lontano dai centri urbani e dai servizi essenziali. Secondo quanto ricostruito dal Corriere della Sera, i due genitori sostengono di aver voluto solo offrire ai bambini una crescita “nella bellezza” della natura, difendendo una scelta di vita radicale ma, a loro dire, basata su cura e amore. La loro quotidianità era fatta di autosufficienza, animali accuditi in proprio, ritmi scollegati dalla frenesia cittadina. Per l’istruzione avevano optato per l’educazione parentale, con il supporto di un’insegnante privata, nella convinzione che il bosco potesse essere un maestro più onesto di qualsiasi aula.

Perché il tribunale è intervenuto e cosa succede ora

Il nodo, però, non è solo culturale o filosofico. La vicenda era già finita sotto la lente della Procura minorile lo scorso anno, dopo che i bambini erano stati ricoverati per un’intossicazione da funghi; a quel punto i carabinieri avevano effettuato controlli nell’abitazione, avviando segnalazioni sui profili di sicurezza e adeguatezza della vita domestica. Da lì era arrivata una sospensione della potestà genitoriale, pur senza separare subito i figli dai genitori. Il nuovo passo, deciso tra il 20 e il 21 novembre 2025, è stato più drastico: trasferimento in struttura protetta a Vasto, con la madre autorizzata a restare con loro durante l’osservazione. Nelle motivazioni riportate in questi giorni, il giudice parla di diritto alla relazione e all’integrazione sociale compromesso, oltre a criticità su igiene e sicurezza dell’abitazione; non viene invece contestato in modo diretto il percorso scolastico scelto, quanto piuttosto l’isolamento prolungato. La linea difensiva della famiglia, affidata all’avvocato Giovanni Angelucci, annuncia ricorso e respinge al mittente l’idea di pericolo: “Non abbiamo fatto nulla di male”, ripetono i genitori, raccontando bambini sereni, legati agli animali e a un equilibrio che ora temono spezzato. Come spesso accade nei casi simbolici, la decisione giudiziaria è esplosa oltre il perimetro del paese. Una petizione online ha superato in breve tempo decine di migliaia di firme, mentre il fronte politico si è polarizzato: c’è chi parla di Stato invadente e chi difende la necessità di protezione quando la vita familiare deraglia in marginalità. Sullo sfondo resta la domanda più difficile: fino a dove può spingersi la libertà di educare e scegliere un’esistenza alternativa, e quando invece è dovere pubblico intervenire per garantire ai minori non solo affetto e istruzione, ma anche relazioni, salute e opportunità di crescita condivisa. La risposta, in questo caso, passerà dalle prossime settimane di osservazione e dalle carte del ricorso.

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