Miracoli, il programma che portò santi e veggenti nel prime time

Tra il 1999 e i primi Duemila Miracoli su Rete 4 ha raccontato santi, guarigioni inspiegabili e veggenti. Il format e i conduttori.

C’è una trasmissione che appartiene a un’Italia che sembra lontana, e che invece resiste nei ricordi di chi in quegli anni si sedeva davanti alla tv aspettando qualcosa di diverso dal solito talk o dal solito varietà. Si chiamava “Miracoli”, andava in onda su Rete 4 quasi sempre in prima serata, e aveva un’obiettiva particolarità: parlava di fede, di misteri e di eventi inspiegabili con una naturalezza che oggi difficilmente troverebbe spazio nel palinsesto di una rete generalista. Al timone c’erano Piero Vigorelli, giornalista di lungo corso, ed Elena Guarnieri, allora volto emergente dell’informazione Mediaset.

A guardarlo oggi attraverso le clip che sopravvivono online, “Miracoli” sembra provenire da una bolla sospesa: luci basse, musiche new age, grafica essenziale, atmosfera quasi da confessionale. Eppure attirava milioni di persone. La biografia professionale di Vigorelli ricorda come la trasmissione fosse una delle più seguite del periodo, con stagioni capaci di superare di slancio risultati insperati per un canale come Rete 4. Un successo silenzioso, costruito puntata dopo puntata grazie alla formula semplice ma potentissima: raccontare il soprannaturale attraverso le storie di chi diceva di averlo toccato con mano.

Miracoli: di cosa si occupava il programma di Rete 4?

Nelle varie stagioni del programma sono passate figure che ancora oggi popolano l’immaginario religioso popolare: Natuzza Evolo, con le sue esperienze mistiche e le testimonianze di chi l’aveva incontrata; Santa Gemma Galgani, raccontata in un servizio che mostrava il diario della giovane lucchese segnato – secondo la devozione – dalle “zampate del demonio”; Julia Kim di Naju e i presunti miracoli eucaristici che attiravano curiosi e devoti da mezzo mondo.

Ma “Miracoli” non era solo un catalogo di prodigi. Era un programma costruito come un viaggio. Le troupe seguivano le storie nei luoghi in cui erano nate: santuari, stanzette piene di ex voto, case di veggenti, piccoli paesi che custodivano reliquie e guarigioni ritenute inspiegabili. Era una televisione che non aveva paura del mistero, e che al tempo stesso provava a mettere ordine fra la fede popolare e i dubbi della ragione.

Tra gli ospiti più famosi (e frequenti) ricordiamo il professor Simone Morabito, medico-psichiatra dalla forte impronta religiosa, autore di libri che intrecciano malattia mentale, peccato e dinamiche preternaturali. Morabito non rappresentava la “razionalità clinica” nel senso puro del termine, ma una visione ibrida in cui scienza e fede cercavano un punto d’incontro. Di fronte a lui sedeva spesso don Giovanni D’Ercole, teologo e volto rassicurante per chi desiderava una spiegazione credente degli eventi raccontati.

Uno dei servizi più citati dai fan storici della trasmissione riguarda la stanza di Santa Gemma Galgani. Il programma entrò nella camera della mistica e mostrò le presunte impronte infernali rimaste sulle pareti. Montaggio serrato, musica, primi piani sulle superfici bruciate: sembrava la scena di un film, e invece si trattava di un vero reportage televisivo. Una tv che oggi apparirebbe fuori dal tempo, ma che all’epoca riusciva a tenere insieme religione popolare e spettacolarità.

Immancabili, poi, le puntate dedicate a Padre Pio. Anni in cui il Santo di Pietrelcina era già circondato da una devozione sterminata, ma in cui la tv generalista non aveva ancora scoperto appieno il potenziale narrativo delle sue guarigioni. “Miracoli” lo fece prima degli altri, con interviste alle persone che dichiaravano di essere state salvate o guarite grazie alla sua intercessione. Era un modo diretto, quasi ingenuo, ma estremamente televisivo di parlare di Fede.

Un altro elemento che contribuiva a rendere unica l’atmosfera del programma era la sigla. Per anni si è detto che fosse un brano degli Era, il gruppo francese famoso per i cori pseudo-gregoriani. L’identificazione non è mai stata confermata del tutto, ma il timbro era quello: voci lontane, sonorità sospese, perfette per introdurre un racconto che oscillava tra sacro e mistero.

La conduzione di Vigorelli e Guarnieri funzionava perché era vera. Lui, col passo sicuro e il tono da cronista; lei, più morbida, più narrativa. Insieme riuscivano a trasformare anche i contenuti più difficili – come i racconti di presunte possessioni o gli esorcismi – in un dialogo comprensibile per chiunque. Non mancavano ovviamente le polemiche: c’era chi accusava il programma di spettacolarizzare la sofferenza, chi di concedere troppa visibilità a fenomeni non verificati, chi di alimentare credenze irrazionali. Eppure, al di là delle critiche, “Miracoli” ebbe un ruolo che oggi appare evidente: fu il primo programma a portare stabilmente nel prime time il racconto del soprannaturale cattolico, anticipando di oltre un decennio format come “La strada dei miracoli”.

Oggi, in un panorama dominato da social, debunking e flussi informativi rapidissimi, la lentezza di “Miracoli” sembra quasi rivoluzionaria. Guardarlo ora significa tornare in un’Italia che credeva, o almeno voleva credere: un Paese in cui il mistero non era un argomento da ridicolizzare, ma un territorio da esplorare.

E forse è proprio questo il motivo per cui il format di Vigorelli merita di essere ricordato: non perché avesse tutte le risposte, ma perché si prendeva il diritto di fare le domande, e lo faceva con una sincerità che oggi, pur con tutte le cautele del caso, continua a colpire.

Se la tv generalista non tornerà più a quel tipo di racconto è difficile dirlo. Ma chi ha seguito “Miracoli”, anche solo per poche puntate, sa che quel programma ha lasciato una traccia: una scintilla di curiosità, di attesa, di meraviglia. Quella stessa meraviglia che, alla fine, era il vero protagonista della trasmissione.

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