Manfredonia, Riccardi replica a La Marca: “La città va avanti, ma resta fermo al 2019”
Ci sono città che cambiano, e amministrazioni che invece restano immobili nelle stesse parole, negli stessi argomenti, negli stessi fantasmi. Manfredonia, sei anni dopo lo scioglimento per mafia, appartiene alla prima categoria. Il suo racconto pubblico, purtroppo, alla seconda.
In vista della preannunciata trasmissione Propaganda Live su La7, in onda domani, e riservandomi di esprimere una valutazione politica compiuta dopo la puntata, ho letto le ultime dichiarazioni del sindaco La Marca e non posso non rilevare un elemento evidente.
Frasi come: “La criminalità organizzata c’è”, “La comunità ha pagato un prezzo”, “Stiamo ricostruendo una città ferita” ripropongono un linguaggio già sentito: quello del commissario Piscitelli nel 2020 o del già sindaco Rotice nel 2023.
Un lessico identico nelle parole e nello schema narrativo: Manfredonia descritta come un luogo fragile, piegato, costantemente sull’orlo di una minaccia.»
Ma la verità, oggi, è un’altra.� Ed è una verità che dà fastidio a chi governa, perché non permette più di nascondersi dietro l’ombra del passato.
Oggi Manfredonia non è una città ferita: è una città che, nonostante tutto, ha ricominciato a lavorare, a crescere, a produrre. Lo ha fatto mentre le amministrazioni si avvicendavano, mentre le narrazioni cambiavano solo nei volti che le recitavano. E lo ha fatto senza attendere il permesso della politica.
Eppure, la politica continua a dipingerla come se fosse ancora sotto shock.� Perché?
Perché è molto più semplice evocare l’emergenza che rispondere alla domanda più scomoda:� che cosa è stato fatto, davvero, con le condizioni straordinarie in cui si governa oggi?
Perché il sindaco La Marca non governa in mezzo alle macerie. Governa in un contesto che i suoi recenti predecessori non hanno mai avuto: un bilancio risanato, risorse del PNRR (alcune perse irrimediabilmente), come mai nella storia recente, decine di nuove assunzioni, margini amministrativi e operativi larghissimi.� E malgrado tutto questo, la città non ha ancora percepito una direzione.
Si è riusciti, invece, a bruciare circa 150 mila euro in un cartellone estivo senza identità, una sequenza di iniziative slegate, come se bastasse riempire il calendario per colmare il vuoto di una visione culturale inesistente.
Sul fronte della sicurezza, ogni episodio di cronaca diventa l’occasione per un proclama. Il tono indignato è assicurato, la strategia un po’ meno. Mancano presidi, manca una regia, manca la capacità di distinguere tra fenomeni specifici e narrazioni comode da spendere nei comunicati.
Ed è così che Manfredonia, per chi la governa, resta un eterno dopo disastro: un comodo rifugio retorico che permette di evitare domande, spostare responsabilità, consolidare l’idea che “prima era tutto peggio”. �Ma oggi il passato non regge più. �Non regge perché non c’è nessuna emergenza amministrativa da gestire. �Non regge perché non c’è nessun dissesto finanziario da sanare. �Non regge perché la città è pronta da tempo a ripartire. �E non può aspettare che chi la guida trovi finalmente il coraggio di smettere di raccontarla come un luogo perduto.
La verità è che Manfredonia non ha più bisogno di consolazione, ma di direzione.� Non ha bisogno di giustificazioni, ma di scelte. �Non ha bisogno di chi parla come un commissario, ma di chi amministra come un sindaco.
La comunità ha già dimostrato di saper reagire.� Ora resta solo da capire se chi la governa saprà, prima o poi, raggiungerla.
Palombella Rossa
Angelo Riccardi

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