MANFREDONIA, L’INSEDIAMENTO DI COPPA NEVIGATA E LA PIÙ ANTICA PRODUZIONE DI PORPORA IN ITALIA.
Un vecchio detto, assai abusato, recita: ‘Nessuno è profeta in patria’. Questo per dire che molto spesso non siamo consapevoli dell’importanza storica (e non solo) del territorio che abitiamo.
Più volte, tra queste pagine, abbiamo documentato ‘record’ emersi dal passato che riguardano il nostro promontorio: la farina più antica del mondo e l’uomo più antico d’Europa (ne parliamo in questo post: https://www.facebook.com/share/p/1BMWnVJLR5/?mibextid=wwXIfr), oppure le prime miniere d’Europa realizzate per approvvigionamento di materia prima strategica (ecco il nostro post: https://www.facebook.com/share/p/19kgs9aEEN/?mibextid=wwXIfr).
Non è questione di proporre il solito campanilismo ma è l’occasione di far capire che il nostro amato territorio è stato teatro in passato di conquiste straordinarie e che è necessario recuperare un certo ‘amor patrio’ per comprendere che il Gargano, come la Daunia, non è stato meno importante di tanti altri luoghi più blasonati. Ecco la necessità di divulgare e far sapere.
Ma andiamo con ordine. Qui di seguito, proponiamo un altro ‘record’ emerso dallo studio di Alberto Cazzella, Claudia Minniti, Maurizio Moscoloni e Giulia Recchia.
C’era un tempo in cui le coste del Tavoliere pugliese non apparivano brulle e distese, ma ornate da lagune salmastre che dialogavano direttamente con l’Adriatico. In questo scenario prese forma Coppa Nevigata, un insediamento che già dal Neolitico e fino alle prime fasi dell’Età del Ferro si impose come crocevia di genti, commerci e saperi. La sua posizione era strategica: abbastanza vicina al mare da garantire accesso ai traffici, ma protetta da una laguna che fungeva da filtro naturale. Non era un villaggio qualsiasi: qui sorsero fortificazioni poderose, cinte murarie di pietrame a secco larghe oltre cinque metri, fossati e torri. Un abitato che raccontava, pietra dopo pietra, la volontà di radicarsi, di proteggere e al tempo stesso di dominare i traffici che solcavano l’Adriatico.
La sua vita attraversò le fasi del Bronzo: dal Protoappenninico al Subappenninico, fino a lambire l’alba dell’età del Ferro. Eppure, più che le mura, ciò che ha reso immortale Coppa Nevigata è un tesoro intangibile: il segreto della porpora.
Tra i resti degli scavi, migliaia e migliaia di conchiglie di murici frantumati hanno svelato il mestiere silenzioso che lì si svolgeva. Non erano scarti di cucina, non avanzi di pasti: erano i relitti di un’industria primitiva e raffinata, la produzione della tintura più preziosa del Mediterraneo. Il colore dei re, dei sacerdoti e dei vincitori. La porpora, estratta dalla ghiandola di un mollusco, il ‘Hexaplex trunculus’, che solo con il sole e il tempo rivelava la sua metamorfosi cromatica: da un liquido incolore a una gamma di tonalità che culminava nel rosso–porpora, vibrante e immortale.
È qui, a Coppa Nevigata, che si registra la più antica attestazione della porpora in Italia. Una scoperta che racconta di saperi importati da lontano, forse dall’Egeo, dove già si praticava questa arte. I frammenti di murici trovati nei livelli più antichi, databili al XIX–XVIII secolo a.C., dimostrano che già allora la comunità locale aveva appreso — o ricevuto — la tecnica. Segno che non si trattava di un esperimento isolato, ma di una connessione culturale e tecnologica con il Mediterraneo orientale.
La porpora non era solo colore: era valore economico, simbolico e politico. Poteva viaggiare in piccoli carichi, ma il suo prezzo la rendeva più preziosa del bronzo o dell’avorio. Intorno a essa si muovevano scambi, alleanze e, in controluce, il prestigio di chi la produceva. Non sorprende che nei secoli centrali del II millennio a.C., coincidenti con la massima fioritura del mondo miceneo, la produzione a Coppa Nevigata raggiungesse il suo apice. Le quantità di murici frantumati sono impressionanti, e raccontano un’industria organizzata, forse con aree di lavorazione fuori dall’abitato, presso la laguna, dove gli scarti venivano accumulati.
Non era solo porpora. A Coppa Nevigata arrivavano anche tecniche e innovazioni dal Mediterraneo orientale: la lavorazione dell’olio d’oliva, attestata da residui organici nelle ceramiche, o l’introduzione dell’asino, animale da soma che compare nei livelli coevi all’espansione dei traffici egei. Non mancano reperti in avorio, ambra e pasta vitrea: segni di un mosaico di scambi che legava la Puglia alle vie del mare.
Ma la porpora rimane la protagonista. Ogni guscio frantumato racconta la fatica e la sapienza di un processo lento, quasi rituale: perforare la conchiglia viva, estrarne il mollusco, mescolare la carne con sale e lasciarla decomporsi al sole per tre giorni. Solo allora il liquido purpureo mutava, come una magia chimica, in colore regale. Plinio il Vecchio, secoli dopo, ne descrisse i passaggi; ma a Coppa Nevigata quegli uomini li conoscevano già, molto prima che Roma fosse anche solo un’idea.
Il legame con l’Egeo si intuisce anche dalle oscillazioni della produzione. Nei livelli più tardi del Subappenninico, tra XII e XI secolo a.C., il numero di murici crolla. È lo stesso momento in cui il mondo miceneo entra in crisi, e con esso l’intera rete di traffici che alimentava gli scambi mediterranei. Coppa Nevigata risente di questa frattura: la sua vocazione transmarina si riduce, e con essa l’industria della porpora. L’abitato sopravvive ancora per un po’, ma alla fine dell’età del Ferro verrà abbandonato, complice anche l’inaridimento della laguna.
Il paradosso è che quella minuscola ghiandola di mollusco, a cui si affidava la potenza di un colore, finì per intrecciarsi alla storia geopolitica del Mediterraneo. Dalla prosperità micenea al crollo dei traffici, la porpora segna i cicli di vita e declino di Coppa Nevigata. Un colore che non era solo estetica, ma potere, e che nei secoli futuri avrebbe continuato a distinguere imperatori, senatori e vescovi.
Oggi, a distanza di millenni, i cumuli di conchiglie frammentate parlano ancora. Sono la prova tangibile di un laboratorio ante litteram, di un sapere antico che univa chimica, artigianato e commercio. E soprattutto, testimoniano che in Puglia — molto prima di Taranto o delle fabbriche ellenistiche e romane — la porpora aveva già trovato casa.
Coppa Nevigata, con le sue mura, i suoi fossati e i suoi gusci spezzati, rimane così un monumento silenzioso al potere del colore. Perché non era solo il mare a lambire le sue sponde, ma l’eco di un Mediterraneo che respirava all’unisono, dove anche un piccolo mollusco poteva accendere le rotte della storia.
Archivio di Giovanni BARRELLA.
Fonti:
– “L’insediamento dell’età del Bronzo di Coppa Nevigata (Foggia) e la più antica attestazione della produzione della porpora in Italia”, A. Cazzella, C. Minniti, M. Moscoloni, G. Recchia, Trento 2005.
– “Campagne di scavo 2014 e 2015 a Coppa Nevigata”, A. Cazzella, M. Moscoloni, G. Recchia, San Severo 2016.
– “Coppa Nevigata (Manfredonia – FG): campagne di scavo 2012 e 2013”, A. Cazzella, M. Moscoloni, G. Recchia, San Severo 2014
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