Manfredonia – SIAMO seduti in una stanza, in una sala Consiliare in una parte di maggioranza, l’altra di minoranza, alle spalle giù nel porto io penso al mare fresco in uno stato di profumo, mi ricorda il mio passato. Poi guardo voi che ci sparate, noi che vi spariamo.
Uno si alza all’improvviso con l’usciere che lo guarda tra la bandiera che la sfiora, lui che schiaccia la sua ombra contro il muro di una porta. La salita viene così crudele poi la memoria si nasconde nel girone del presente, tutta sola tra la gente.
Ti guardo e non capisco perché tu stai bruciando, qui la vita è molto strana ti sospinge tra la gente, che sale su un vagone, su quel treno del Sud, che parte che porta e va su, dai bestie salite, salite più in fretta, mio padre diceva son vagoni d’emigrati di Manfredonia,che partono al Nord nella mente già insultati dalle lingue poi sputati, nel rumore del loro mare,mare che di questo Golfo.
Peccato che noi partiamo per la costrizione della miseria, i nostri sguardi misteriosi, io li guardo, poi mi abbasso al dispiacere, poi parlo di una storia per far sorridere anche gli indisponenti,ma il rumore fa un gran chiasso, io fumo e poi sbraito, io fumo e poi mi azzittisco.
Mezzogiorno dal quel treno che passa accanto ad un campo di erba bagnata, il treno del Sud che porta lassù, dai nuovi incivili salite, salite più in fretta mio padre sorrideva dalla rabbia poco nervosa,con l’istinto un po’ bestiale con il senso naturale, delle cose che sto perdendo dalle parole. La civiltà l’avevamo noi al Sud, mentre loro al Nord ci ospitavano in quartieri ghettizzati con i bagni fuori casa alla distanza di metri centocinquanta.
Lungo treno del Sud che al tuo passare sento i fiori ed il mare , così continuiamo da eroi malmenati dal padrone insultati,che sbuffava: -Uffa che noia la sera che cade sulla nostra casa deserta, e rideva di pancia all’aria poi beveva.
Di Claudio Castriotta