Il Quaternus Excadenciarum Capitinate e i Templari: il rapporto tra Federico II e gli ordini militari in Capitanata

IL QUATERNUS EXCADENCIARUM CAPITINATE E I TEMPLARI: IL RAPPORTO TRA FEDERICO II E GLI ORDINI MILITARI IN CAPITANATA.

C’è qualcosa negli ordini cavallereschi che continua a esercitare un fascino profondo, quasi magnetico. Simboli, rituali, mantelli e croci: l’immaginario collettivo è nutrito da secoli di leggende e spesso finisce per oscurare la realtà storica, molto più complessa e, in molti casi, dimenticata. Soprattutto se prendiamo in considerazione i Cavalieri Templari, un ordine che non smette mai di incuriosire.

Eppure, anche nella nostra terra, le tracce lasciate da questi ordini non mancano.

Ma cosa accade se incrociamo la presenza di Templari, Giovanniti o Teutonici con la figura imponente di Federico II, lo stupor mundi? Che tipo di relazione si instaurò tra questi due mondi, l’impero svevo e i cavalieri religiosi, sul suolo della Capitanata, soprattutto con i Templari?

È a partire da queste domande che prende forma il nostro percorso che si deve appoggiare a una delle fonti scritte più preziose: il Quaternus de excadenciis.

Quelli che le fonti chiamano quaterni o quaterniones non erano altro che registri redatti per mantenere un controllo costante e capillare sull’apparato amministrativo del Regno. Non semplici elenchi, ma strumenti di governo, compilati nei vari distretti del Regnum, per documentare conti, proprietà, redditi e ogni voce utile alla macchina fiscale.

Nello specifico, il termine excadencia, che deriva dal verbo latino scado –ere, indica innanzitutto quei beni pubblici la cui concessione è giunta al termine, è “scaduta”, per ragioni diverse, e che quindi tornano sotto il controllo del fisco.

Per quanto riguarda il territorio della Capitanata, il riferimento principale è il Quaternus excadenciarum Capitinate, un registro privo di data ma redatto con ogni probabilità tra il 1249 e il 1250, dunque nell’ultimo anno di vita di Federico II. Il documento, articolato in undici fascicoli, è chiaramente incompleto. Manca infatti il dodicesimo, andato perduto.

Ma facciamo qualche passo indietro.

Nel 1208, appena uscito dalla minore età, Federico II confermò l’atteggiamento benevolo già avviato dalla madre nei confronti degli ordini religioso-militari, Templari in testa, allora ancora pienamente legati alla Sede Apostolica. I primi segni concreti di questo favore si manifestarono soprattutto in Sicilia, tra il 1209 e il 1210, con la concessione al Tempio di una serie di possedimenti.

Ma già dopo il 1220, qualcosa cambia. Pur confermando alcuni privilegi già riconosciuti dall’autorità pontificia, Federico avviò una politica più prudente, riducendo drasticamente le nuove concessioni. Preoccupato dalla perdita di controllo sul patrimonio demaniale e impegnato nel difficile riassetto del Regno, il sovrano iniziò a contenere l’espansione degli ordini, in particolare sulla terraferma.

A partire dal 1227, anno che segna l’inizio del pontificato di Gregorio IX, i rapporti tra Federico e i Templari scivolarono verso una crescente freddezza, se non una vera e propria ostilità (situazione non del tutto lineare a dire il vero). A differenza dell’Ordine Teutonico, che godeva della stima personale dell’imperatore grazie al legame con Ermanno di Salza, i Templari si trovarono presto coinvolti nelle tensioni tra Impero e Papato. La loro dipendenza da Roma ne fece bersaglio di confische e restrizioni, specialmente nel Mezzogiorno continentale.

Fatte queste premesse, è bene chiarire un punto che spesso viene dato per scontato. Le informazioni conservate nel Quaternus sono state a lungo interpretate dagli storici come una prova del contrasto tra Federico II e gli ordini militari. Si deve considerare, però, che le revoche registrate nel Quaternus non sono collegate al conflitto post-crociata di Federico II, bensì a un momento successivo, circa vent’anni dopo, in un contesto del tutto diverso.

Secondo il Prof. Kristjan Toomaspoeg, del Dipartimento di Storia, Società e Studi sull’Uomo dell’Università del Salento, l’idea di un sequestro sistematico e punitivo dei beni appartenenti agli ordini cavallereschi non trova riscontro concreto nelle fonti. Se davvero ci fosse stata una confisca generalizzata, ci aspetteremmo di trovarne traccia ovunque. E invece, in centri come Termoli o Troia, non si riscontra alcuna revoca a loro danno. Anzi, è lo stesso Quaternus a offrirci un indizio significativo: nella descrizione dei confini di alcuni beni, compaiono terreni che risultano ancora nelle mani dei Templari e degli Ospitalieri.

Per capire davvero il significato delle revoche registrate nel Quaternus, basta incrociare due elementi: le fonti che raccontano l’origine dei beni e la quantità effettivamente sottratta. Un confronto che chiarisce subito un punto: gran parte delle proprietà restituite al demanio non erano legalmente detenute.

Molti terreni e immobili erano stati concessi agli ordini dalla corte in forma di affitto, senza un passaggio formale di proprietà. Altri, invece, erano entrati nei loro patrimoni con modalità che la corona riteneva illecite, come nel caso dei feudi.

Emblematico l’episodio del casale di Sant’Eleuterio, presso Castelpagano. Nel 1205 Matteo Gentile, potente conte di Lesina, ne concesse metà agli Ospitalieri, che l’anno dopo acquistarono l’altra metà. Ma si trattava di un bene feudale, vincolato alla corona e non liberamente cedibile. Per sistemare la faccenda fu necessario un atto formale: l’8 aprile 1206 un privilegio intestato al giovane Federico II confermò il possesso. Eppure quel documento evita di menzionare l’acquisto, parlando solo di concessione.

Tra i pochi casi in cui il Quaternus menziona esplicitamente un feudo, spicca quello di Alberona:

“Quam terram cum hominibus et predictis dixerunt fuisse de domo Templi et iamdiu est quod fuit ad manus Curie revocata”.

E ancora:

“Item dixerunt infrascripta de novo fuisse revocata ad manus Curie, que tenuit dicta domus Templi de Alberone”.

Per alcuni studiosi questa sarebbe la prova che il feudo appartenesse all’Ordine del Tempio, mentre altri mettono in evidenza l’assenza di un qualsiasi atto ufficiale che confermasse tale possesso.

Ad oggi, l’unico scenario plausibile sull’arrivo dei Templari ad Alberona sembra ruotare attorno alla donazione della chiesa di Santa Maria di Bulgano, o Vulgano, fatta da Corrado, conte di Molise. Ma, se ci si affida alla testimonianza raccolta dal Gattini, quel gesto non avrebbe comportato l’investitura dell’ordine sul feudo vero e proprio. Più semplicemente, Corrado si sarebbe limitato a riconoscere ai cavalieri la chiesa e i terreni immediatamente connessi. Nulla di più. Mancando documenti ulteriori, le origini della presenza templare ad Alberona rimangono, dunque, avvolte nell’incertezza.

Le carte del Quaternus non restituiscono l’intero panorama dei beni templari in Capitanata, ma solo una parte limitata: quella riguardante proprietà ottenute in affitto dalla corte o beni acquisiti in modo poco trasparente. Eppure, anche questo spaccato parziale è sufficiente a rivelare quanto capillare fosse la presenza del Tempio nella provincia di Foggia e quanto ampio il suo patrimonio. Spiccano soprattutto le revoche concentrate a Foggia e Siponto.

Nella Foggia medievale, l’impronta dei Templari era tutt’altro che marginale. Attorno alla loro domus, con chiesa intitolata a San Giovanni Battista, si era formato un intero sobborgo, il suburbium Templi. In quell’area, il patrimonio gestito dai frati era cospicuo: case adiacenti a residenze di famiglie influenti, una distesa di sessantadue ‘casalina’ affidate a coltivatori locali, e altri venticinque appezzamenti lasciati a se stessi, situati appena oltre la domus, lungo il tracciato del fossato. Nonostante la frammentarietà delle fonti, questi dettagli bastano a restituire la misura della loro presenza.

A San Quirico, nei pressi di Siponto, dove un’antica chiesa templare lasciava intravedere la presenza dei frati, l’intervento della Curia fu tutt’altro che simbolico. Due abitazioni furono sottratte all’ordine, insieme a una vigna generosa e a due oliveti, completati da altrettanti campi coltivati.

Anche Monte Sant’Angelo non fu risparmiata. Qui le confische toccarono alcune residenze dei frati, un certo numero di vigne e pochi, ma preziosi, appezzamenti d’uliveto.

A Casalnuovo, la presenza dei Templari non era affatto episodica. Il loro insediamento era solido, ramificato, ben inserito nel tessuto agricolo locale. Lo dimostrano le numerose revoche che colpirono la domus, priva da un giorno all’altro del suo vegetarium, di filari di viti e di ulivi , di abitazioni, terreni e perfino di un’unità produttiva con tutte le sue pertinenze. Segno evidente di un possesso consistente, tutt’altro che secondario.

I dati, pur frammentari e imprecisi in molti casi, permettono comunque di abbozzare un bilancio: i beni restituiti al fisco ammontavano a circa 470 unità tra case, terreni, vigne e oliveti. Si calcola che dai beni posseduti gli ordini ricavavano almeno 38 once d’oro, 400 ettolitri di grano, 500 di vino e 27 di olio.

Cifre che parlano, anche più delle parole.

E così, tra registri fiscali e carte di revoca, il Quaternus finisce per raccontarci molto più di un semplice inventario: parla di potere, di strategie e di una convivenza mai del tutto risolta tra Federico II e i cavalieri della croce, in particolare i Templari, protagonisti silenziosi di un capitolo complesso della nostra storia meridionale.

Fotografie: A. Grana, G. Barrella, archivio web.

Fonti:

– “GLI INSEDIAMENTI TEMPLARI, GIOVANNITI E TEUTONICI NELL’ECONOMIA DELLA CAPITANATA MEDIEVALE”, K. Toomaspoeg (Atti del Convegno internazionale Foggia-Lucera-Pietramontecorvino, 10–13 giugno 2009), Mario Congedo Editore.

– “Le grenier des templiers. Les possessions et l’économie de l’Ordre dans la Capitanate et en Sicile“, K. Toomaspoeg.

– ”La gestione dei beni fiscali da parte di Federico II di Svevia: il Quaternus excadenciarum Capitinate”, M. R. Zecchino (Tesi dottorato di ricerca, Università di Bologna).

– “I priorati, i baliaggi e le commende del Sovrano Militare Ordine di San Giovanni di Gerusalemme nelle provincie meridionali d’Italia prima della caduta di Malta”, M. Gattini (Napoli, 1928)

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