Storia

I racconti dei nonni intorno al braciere (parte II)

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I RACCONTI DEI NONNI INTORNO AL BRACIERE [PARTE II].

Rieccoci con i nostri racconti, quelli dei nonni, della tradizione. Quelli belli, insomma. Abbiamo avuto modo, nella prima parte, di raccontare una storia suggestiva. Vi rimandiamo al link corrispondente, dove spieghiamo anche il significato intrinseco di questi nostri post: https://www.facebook.com/share/p/1aypmUxEd8ECtp43/?mibextid=WC7FNe.

Anche il racconto che stiamo per narrare è tratto dalla raccolta di storie di Angelo Del Vecchio, “Lupi Mannari, streghe e fantasmi del Gargano”. Attraverso l’autore e i testimoni da lui intervistati rivediamo luoghi noti e meno noti, del Gargano e della Daunia; riascoltiamo leggende di misteriose morti accadute in tempi indefiniti, di sparizioni improvvise, di animali impazzati, di ingannevoli fanciulle e di strani malocchi; vediamo sfilare, tra impauriti e divertiti, anime di defunti, vaganti solitarie in cerca di aiuto o conforto; e, con il narratore, scendiamo, trattenendo il respiro, nell’antro di Pagliacci non per ammirare un prodigio dell’arte preistorica, ma per assistere a una seduta spiritica. Molte di queste storie le racconteremo.

Ora, sediamoci nuovamente intorno al nostro braciere virtuale, immaginando l’atmosfera di un tempo e anche i nostri nonni, pronti a catturare l’attenzione degli astanti più giovani.

Ecco, allora: ‘DEFUNTI A CENA’.

Dovete sapere che la notte di tutti i Santi, nei centri garganici, si festeggia a ‘cena’ con i… defunti.

Stando, infatti, a una antica credenza popolare, tuttora rispettata dai più anziani, la sera tra l’1 e il 2 novembre di ogni anno i morti ritornerebbero dall’oltretomba per dedicarsi a tavolate imbandite in loro onore, stracolme di ogni genere di delizia culinaria. Pane, olive “interrate”, scarpedde, musciska, caciocavalli, caciotte, salumi, patate lesse, melograni, melocotogne, diavolacci, pastarelle, taralli e vino a volontà facevano e fanno da contorno a ricchi piatti di fumanti orecchiette e strascinate al sugo.

Questo accadeva e accade sia nelle famiglie più ricche, che in quelle più povere. Tale usanza (principalmente a Rignano Garganico), dicevano, è tutt’oggi in voga, anche se, col passare dei lustri e con l’acculturamento progressivo della popolazione, sta lentamente scomparendo.

L’idea di “ringraziare” i morti e offrire loro in segno di suffragio beni culinari, aveva e ha un duplice scopo: per prima cosa, lo si faceva per conquistarsi la benevolenza delle “anime” dei defunti, al fine di scongiurare eventuali “ritorsioni” notturne; poi, per essere più vicini ai propri cari scomparsi (e magari, per i più fortunati, rivederli in persona).

Le “ritorsioni”, se non si preparava il banchetto serale, stando a quanto raccontano gli anziani del posto, possono essere di vario tipo: si poteva ricevere una tirata o persino il taglio dei capelli, uno schiaffo o uno sputo in pieno volto, la distruzione di soprammobili o di oggetti ornamentali.

C’è pure chi parla di intasature improvvise delle fogne. Ma la paura più grande è che i defunti si presentino a chiedere cibo nel pieno del sonno, con tutti i rischi e i danni per coronarie poco resistenti.

Se a ciò aggiungiamo dicerie e favole di paese, il quadro si fa più ampio e grottesco. Si narra, infatti, di chi, approfittando del momento, abbia chiesto ai defunti persino i numeri per vincere al lotto, di anziani finiti in ospedale per curare seri danni al cuoio capelluto (la tirata dei capelli), di denti rotti da schiaffoni troppo violenti e altro ancora.

Parleremo, più in là, in occasione del giorno dei morti, anche di un’altra tradizione riscoperta di recente: “L’anëme dë ‘li mortë” (nulla a che vedere con il moderno Halloween), con interessanti risvolti antropologici. Torniamo alla storia.

Sempre in quei giorni (1 e 2 novembre), in passato, ci si incamminava, soprattutto nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, a dorso d’asino e con una bisaccia, intonando canti e strofe in dialetto. Quello che si raccoglieva, in genere dolci nostrani, frutta e prodotti dell’orto, lo si divideva in serata tra tutti.

Ma la storia più inquietante che ci incollava alla sedia era quella della ‘processione dei morti’. Era usanza (ancora oggi) accendere ceri da collocare sul davanzale delle finestre delle abitazioni, affinché i defunti potessero ritrovare la strada di casa. Attraversare i borghi garganici in quelle ore notturne rappresentava uno spettacolo inquietante e, allo stesso tempo, affascinante.

A questo punto, i nonni abbassavano la voce e sussurrando come per divulgare un segreto raccontavano che se si voleva osservare l’arrivo dei defunti in processione, verso le varie destinazioni, bisognava ‘guardare’ attraverso la fiamma traballante di questi lumini accesi.

Quante ciglia e sopracciglia bruciacchiate per la macabra curiosità. Alzi la mano chi non l’ha provato almeno una volta.

Poi, la narrazione si interrompeva di botto, lasciando tutto in sospeso, con il mistero ancora vivo nelle nostre testoline. Intanto, la nonna cominciava a distribuire dolci. Che nostalgia. È proprio vero che l’autunno mette malinconia.

Archivio di Giovanni BARRELLA.

Parte del testo tratta da: “Lupi Mannari, streghe e fantasmi del Gargano”, A. Del Vecchio, 2008

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