Game Boat non è stato semplicemente un programma per bambini, ma un tassello preciso della strategia televisiva Mediaset degli anni Novanta. Inserito nel preserale di Rete 4, subito dopo il TG4, il contenitore rappresentò un tentativo strutturato di recuperare pubblico giovane in una fascia sempre più contesa. Oggi è ricordato soprattutto per Sailor Moon, ma ridurlo a questo significherebbe perdere di vista il suo ruolo più ampio: laboratorio editoriale, zona di sperimentazione, risposta diretta alla concorrenza Rai e specchio di un’epoca in cui l’animazione era ancora uno strumento centrale di costruzione dell’identità televisiva.
La nascita di Game Boat e la sfida a Go-Kart
Quando Game Boat debuttò nel 1996, il panorama televisivo per ragazzi era già cambiato. Rai 2 dominava il tardo pomeriggio con Go-Kart, forte del pacchetto Warner Bros e di una formula veloce, rumorosa, americana. Mediaset rispose scegliendo una strada meno caotica e più narrativa: un contenitore che non fosse solo un contenitore, ma un “luogo” riconoscibile, coerente, abitabile.
La scelta di Rete 4 non fu casuale. Canale 5 aveva già spremuto il filone dell’animazione giapponese, Italia 1, invece, di lì a poco, avrebbe iniziato a mandare in onda Bim Bum Bam (che tornava nella sua casa originaria da Canale 5). Rete 4, invece, poteva permettersi una programmazione di transizione, rivolta a bambini e preadolescenti, ma collocata in una fascia adulta come il preserale. Game Boat nacque esattamente per questo spazio ibrido.
Pietro Ubaldi, volto e voce del programma
Alla conduzione venne scelto Pietro Ubaldi, celebre doppiatore conosciuto per aver dato la voce al Gatto Giuliano in Kiss Me Licia o a Taz in Tazmania. Ubaldi non era solo un presentatore, ma un interprete, un “capitano” che guidava idealmente il pubblico all’interno del sottomarino scenografico. La sua forza non stava tanto nel gesto televisivo quanto nella voce, elemento centrale in un programma che dialogava continuamente con la Sala Macchine e i piccoli telespettatori che venivano chiamati affettuosamente “pesciolini”.
La sigla, scritta da Alessandra Valeri Manera, con la composizione di Silvio Amato e cantata dallo stesso Ubaldi, rafforzava questa dimensione. Ad accompagnarlo c’era un coro di bambini, ovvero, i Piccoli Cantori di Milano diretti da Laura Marcora.
Il sottomarino come spazio narrativo
Game Boat non si limitò a introdurre cartoni animati, ma costruì una cornice narrativa precisa. Lo studio venne allestito come un sottomarino, con comandi, oblò, leve e luci che suggerivano un viaggio continuo. Non era un’ambientazione casuale: il sottomarino era un mezzo che esplorava, che attraversava, che portava da una storia all’altra. Una metafora televisiva perfetta per un contenitore.
In questo spazio prese forma anche uno dei personaggi più ricordati del programma, il precitato Sala Macchine, voce fuori campo che dialogava con Ubaldi, lo contraddiceva, lo interrompeva, creando una dinamica comica e familiare.
Il Signor Sala Macchine e la voce di Giovanni Battezzato
La Sala Macchine non era un semplice espediente comico, ma un vero personaggio. A dargli voce era il compianto Giovanni Battezzato, attore e doppiatore con una lunga carriera nel cinema e nel teatro, poi noto anche per ruoli televisivi come nella fiction “I Cesaroni”. La sua interpretazione conferiva al personaggio una dimensione adulta, ironica, quasi surreale, che bilanciava il tono infantile del programma.
La presenza di Battezzato era significativa perché confermava come Game Boat non fosse improvvisato, ma costruito con attenzione anche sul piano interpretativo. La televisione per ragazzi Mediaset di quegli anni faceva largo uso di voci riconoscibili, creando un ponte tra mondo adulto e mondo infantile.
I volti accanto a Ubaldi e il giorno in cui Game Boat si fermò
Pur restando saldamente centrato sulla figura di Pietro Ubaldi, Game Boat non fu mai un programma a conduzione solitaria. Nel corso delle stagioni Ubaldi venne affiancato da altri volti molto noti al pubblico infantile e preadolescenziale dell’epoca, a partire da Roberto Ceriotti, già famoso per Bim Bum Bam, e da Cristina D’Avena, che non si limitava a una funzione simbolica: durante alcune puntate cantò integralmente le sigle dei cartoni animati trasmessi nel programma, trasformando il preserale di Rete 4 in uno spazio quasi performativo, a metà tra contenitore e piccolo evento musicale.
Proprio la presenza della D’Avena è legata a uno dei momenti più ricordati e drammatici della storia di Game Boat. In una puntata rimasta impressa nella memoria degli spettatori, la cantante annunciò in diretta la morte di Giancarlo Muratori, storico doppiatore del pupazzo Uan. Il tono del programma cambiò improvvisamente: il linguaggio leggero del contenitore lasciò spazio a un momento di silenzio e rispetto, segnando una frattura emotiva che mostrò come anche la televisione per ragazzi potesse, all’occorrenza, confrontarsi con la realtà e con il lutto. La puntata terminò con un fermo immagine del doppiatore con in braccio Uan, con accanto la scritta “Ciao Giancarlo”.
Sailor Moon come asse portante del contenitore
Il vero motivo per cui Game Boat è rimasto nella memoria collettiva è Sailor Moon. Il programma nacque e si strutturò soprattutto per ospitare la prima messa in onda italiana delle stagioni finali della serie, dopo il successo iniziale su Canale 5.
Su Rete 4 arrivarono Il Cristallo del Cuore, Il Mistero dei Sogni e Petali di Stelle. Game Boat divenne così il luogo in cui Sailor Moon crebbe insieme al suo pubblico, affrontando tematiche più cupe e narrative più complesse, in una fascia oraria che consentiva una maggiore continuità.
Gli adattamenti televisivi e l’allungamento degli episodi
Durante la prima trasmissione de Il Cristallo del Cuore e soprattutto de Il Mistero dei Sogni, Mediaset adottò una strategia insolita. Per evitare che gli episodi risultassero troppo brevi rispetto ai cartoon Warner Bros della concorrenza, alcune puntate vennero allungate artificialmente.
Vennero inseriti flashback, riutilizzate sequenze già viste e, in alcuni casi, recuperate scene da stagioni precedenti. Questa operazione alterò il ritmo originale dell’anime, ma rispose a una logica televisiva precisa: mantenere il pubblico agganciato in una fascia delicata del palinsesto.
I film di Sailor Moon a spezzoni
All’interno di Game Boat trovarono spazio anche i film cinematografici di Sailor Moon, proposti non integralmente ma a spezzoni, come eventi speciali. Questa scelta contribuì a costruire attesa e ritualità, trasformando il film in un appuntamento diluito nel tempo, perfettamente integrato nella logica del contenitore.
Calimero, vecchie e nuove puntate dentro Game Boat
Nel mosaico di contenuti animati di Game Boat trovò spazio anche Calimero, pulcino nero nato negli anni Sessanta e rilanciato in nuove vesti negli anni Novanta. La serie animata del 1992, prodotta da Tele Image e Visual 80 e basata sul personaggio cult dell’iconico pulcino creato da Toni Pagot era già stata trasmessa su Canale 5 prima di approdare nella fascia preserale di Rete 4. La presenza di Calimero all’interno del contenitore rispecchiava la doppia anima della programmazione: da un lato si puntava sulle novità e sulle prime visioni (come Sailor Moon), dall’altro si attingeva al patrimonio più consolidato dell’animazione classica per mantenere costante l’interesse del pubblico giovane e nostalgico. La sigla italiana fu curata da Alessandra Valeri Manera e cantata da Cristina D’Avena, elemento che contribuiva a legare il cartoon all’estetica sonora dello show. L’inclusione di Calimero nel palinsesto di Game Boat definisce come il programma cercasse di costruire un equilibrio tra generazioni di pubblico diverse: mentre Sailor Moon attirava preadolescenti legati alle trame complesse dell’anime giapponese, titoli come Calimero servivano a mantenere legami con la tradizione dei cartoon italiani trasmessi da Mediaset negli anni precedenti.
L’offerta animata tra anime e cartoon occidentali
Accanto a Sailor Moon, Game Boat propone un’offerta mista. Anime come Marmalade Boy ed È piccolo, è bonico, è sempre Gadget convivevano con serie occidentali come The Mask e Ace Ventura. Proprio Ace Ventura ospitò un episodio crossover con The Mask, evento promozionale raro per la televisione italiana del periodo. Del resto entrambi i personaggi vennero interpretati da Jim Carrey nei rispettivi lungometraggi,
Nel contenitore fu presentata anche la serie Sea Dogs – Col vento in poppa verso l’avventura, cartone avventuroso coerente con l’immaginario marittimo del programma, oltre a numerosi classici Hanna-Barbera usati come riempitivi strategici. Da non scordare anche Nel covo dei pirati con Peter Pan (titolo italiano della serie statunitense Peter Pan and the Pirates), un cartoon di avventura basato liberamente sul personaggio letterario di Peter Pan e prodotto per la televisione nel 1990 dalla Fox Kids. La serie, composta da 65 episodi, riporta le avventure del ragazzo che non voleva crescere, dei Bimbi Sperduti e della loro eterna lotta contro il famigerato Capitan Uncino, in un equilibrio tra fantasia, azione e comicità, con lanci narrativi che si distaccano e ampliano l’opera originale di J. M. Barrie. In Italia venne trasmessa dal 29 novembre 1997 e successivamente replicata su altre reti Mediaset e sulla Fox Kids italiana, testimoniando quanto il programma fosse diventato un hub tanto per le novità quanto per i titoli di catalogo che avevano saputo conquistare il pubblico dei più piccoli. In questo mosaico ebbero un ruolo centrale anche le varie stagioni de I Puffi, utilizzate come presenza stabile e rassicurante all’interno del palinsesto.
Sul versante dell’animazione d’azione trovò spazio anche Superman, la serie degli anni Novanta prodotta da Warner Bros. Animation, che portava nel preserale di Rete 4 un modello narrativo più maturo, ispirato all’estetica del fumetto e alla serialità americana di qualità. La presenza di Superman rafforzava ulteriormente la vocazione ibrida di Game Boat, capace di passare senza fratture evidenti dal melodramma giapponese all’epica supereroistica occidentale.
Bentornato Topo Gigio, la replica dell’anime italo-giapponese
Dentro il variegato palinsesto di Game Boat non c’era solo spazio per nuove stagioni di Sailor Moon, The Mask o Ace Ventura, ma anche per titoli che avevano già conquistato il pubblico anni prima. Tra questi spicca Bentornato Topo Gigio, un anime co-prodotto tra Italia e Giappone nel 1988 con protagonista il celebre personaggio ideato da Maria Perego nel 1959, reso famoso in decenni di televisione, pupazzi e media popolari. La serie giunse in Italia nel 1992 attraverso Bim Bum Bam, il contenitore storico di Italia 1/Canale 5 che lanciò molti anime nel mercato italiano. Topo Gigio divenne dunque familiare a una nuova generazione di bambini. Quando Game Boat debuttò nel preserale di Rete 4, la serie venne ripescata e riproposta nel 1997 nel nuovo contenitore, confermando la tendenza del programma a attingere non solo alle novità televisive ma anche ai titoli di catalogo già apprezzati dal pubblico dei più piccoli. Bentornato Topo Gigio racconta le avventure del topo astronauta sbalzato dal futuro che si ambienta nel mondo contemporaneo, circondato da amici e ostacoli narrativi tipici dell’animazione d’avventura di fine anni Ottanta, con doppiaggio italiano storico curato dallo Studio P.V. e con la voce dello stesso Peppino Mazzullo sul protagonista. La presenza dell’anime nel palinsesto di Game Boat testimonia più di un semplice “cambio di stagione”: inserire un titolo con radici già consolidate e un riconoscimento di pubblico come Bentornato Topo Gigio consentiva alla produzione di rinforzare il legame affettivo tra gli spettatori e il contenitore, offrendo continuità generazionale insieme alle novità. Quella riproposizione su Rete 4, a qualche anno di distanza dalla prima italiana, divenne parte di una strategia più ampia che bilanciò prime visioni e titoli di repertorio, mostrando come un personaggio che aveva già vissuto stagioni d’oro su Bim Bum Bam potesse essere rilanciato con successo anche in un palinsesto diverso, dentro un “sottomarino” mediatico che cercava di navigare tra gusti e epoche dello stesso pubblico.
Simba: è nato un re e la presenza di Mondo TV nel palinsesto
All’interno della variegata offerta animata di Game Boat trovò spazio anche Simba: è nato un re, serie prodotta da Mondo TV che negli anni Novanta rappresentò uno dei più significativi tentativi italiani di creare un grande racconto d’avventura ispirato al filone del “Re leone” nell’animazione televisiva. La serie, nata tra il 1995 e il 1996 da una coproduzione con lo studio di animazione nord-coreano SEK Studio, consiste in una stagione di 52 episodi che seguono le vicende del giovane Simba dopo la tragica perdita del padre re, costretto ad affrontare sfide, tradimenti e alleanze nell’ambiente selvaggio per diventare un giorno sovrano riconosciuto della giungla. Le dinamiche narrative richiamano apertamente il modello del racconto di formazione animale, con elementi drammatici, personali e di crescita che vanno oltre il semplice cartoon per bambini. Tra gli elementi più curiosi – e oggi decisamente divertenti – di Simba: è nato un re c’è anche una citazione che non passò inosservata agli spettatori più attenti e ai fan dell’animazione giapponese. Nel corso della serie, infatti, Simba manifesta il proprio potere una costellazione dell’Orsa Maggiore che appare sul suo petto come “power-up”, una scelta visiva che richiama in modo evidente l’iconografia di Kenshiro, il protagonista di Ken il guerriero.
Giochi, quiz e televisione pre-digitale
Una delle caratteristiche strutturali di Game Boat era l’uso dei giochi telefonici come collante tra un cartone e l’altro, dentro l’ambientazione del sottomarino. Si trattava di piccoli format rapidi, progettati per far entrare un bambino in trasmissione con regole semplici e immediatamente comprensibili. Vi erano diversi giochi ricorrenti, tra cui Il sogno del marinaio (basato sull’indovinare una sigla legata a Cristina D’Avena), Il bastimento (associazione tra categoria e oggetti), Il pesce talpa (riconoscimento visivo “con occhiali persi”), Il sonar (indovinare l’oggetto “nascosto”) e La mappa (ricomposizione del pezzo mancante), tutti coerenti con il lessico marinaro e con l’estetica del programma. Questa struttura è tipica della televisione pre-digitale: il telefono fisso diventava l’unico “canale di ritorno” per trasformare lo spettatore in partecipante, e la scenografia del sottomarino serviva proprio a dare un senso narrativo a quei giochi, come se ogni chiamata fosse una missione lanciata dalla plancia. In questo senso, Game Boat si colloca nella tradizione dei contenitori Fininvest/Mediaset che già in altri programmi per ragazzi avevano integrato episodi animati e giochi telefonici come formula standardizzata. Da menzionare anche il tipo di premi e la funzione “commerciale dolce” dei giochi. Viene ricordato che spesso i premi erano legati al mondo Mediaset ragazzi dell’epoca, come VHS di serie del momento (in particolare Sailor Moon) e prodotti musicali collegati al brand, come le musicassette Fivelandia, cioè l’universo delle sigle che trasformava la tv in merchandising emotivo. Qui si vede bene la logica: non solo intrattenere, ma tenere insieme palinsesto, musica, home video e consumo domestico, senza mai uscire dall’immaginario “per bambini”.
Akazukin Chacha, la leggenda televisiva mai trasmessa
Nel corso degli anni si è diffusa con sorprendente insistenza l’idea che Akazukin Chacha sia stata trasmessa in Italia all’interno di Game Boat. Si tratta però di un falso storico, privo di riscontri documentali. L’anime, prodotto in Giappone tra il 1994 e il 1995 e composto da 74 episodi, non è mai andato in onda sulla televisione italiana, né su Rete 4 né su altri canali Mediaset o Rai. L’assenza di qualunque traccia nei palinsesti ufficiali dell’epoca, nelle guide tv, negli archivi di doppiaggio e nelle Teche Mediaset conferma che Akazukin Chacha non ha mai fatto parte dell’offerta di Game Boat.
Il mito nasce probabilmente da una combinazione di fattori: l’estetica “maghette” simile a Sailor Moon, la sovrapposizione mnemonica con altri anime realmente trasmessi nel contenitore e la circolazione online, a partire dagli anni Duemila, di sigle fan-made e ricostruzioni fittizie che hanno alimentato una memoria collettiva distorta. In alcuni casi l’anime è stato persino ribattezzato con titoli inventati e attribuito arbitrariamente alla programmazione Mediaset, senza che esista alcuna prova di adattamento o doppiaggio italiano ufficiale.
Sfatare questo equivoco è fondamentale per ricostruire correttamente la storia di Game Boat. Il contenitore di Rete 4 ospitò molte serie realmente trasmesse e documentate, ma Akazukin Chacha non è tra queste. La sua associazione al programma rientra a pieno titolo nel fenomeno delle “leggende televisive” degli anni Novanta, in cui il ricordo affettivo, amplificato dal web, finisce per sostituirsi alla realtà dei fatti. Proprio per questo, distinguere ciò che è andato realmente in onda da ciò che non lo è mai stato diventa un atto di rigore storico, oltre che un esercizio di memoria critica.
Lo speciale “Game Boat al circo”
Accanto alla programmazione regolare, Game Boat conobbe anche una derivazione domenicale autonoma, nota come Game Boat al circo. Non si trattò di una semplice puntata a tema, ma di uno spin-off trasmesso esclusivamente l’ultimo giorno della settimana, collocato nel primo pomeriggio di Rete 4 e andato in onda per un periodo limitato, concentrato tra il 1996 e il 1997. La scelta editoriale rispondeva alla tradizione della televisione generalista di quegli anni, che riservava alla domenica pomeriggio contenitori più dilatati e sperimentali, capaci di mescolare linguaggi diversi.
In questa versione speciale, il programma abbandonava parzialmente l’ambientazione del sottomarino per aprirsi allo spettacolo circense. I cartoni animati venivano alternati a spezzoni registrati all’interno di veri circhi, con numeri di acrobati, giocolieri ed esibizioni da pista, inseriti nel flusso televisivo come momenti di meraviglia e pausa narrativa. L’animazione restava centrale, ma veniva incastonata in una struttura più vicina al varietà leggero, pensata per un pubblico familiare e non solo infantile.
Lo speciale domenicale rappresentò anche uno spazio di visibilità per interpreti musicali legati al mondo delle sigle televisive. In una di queste puntate avvenne la prima apparizione televisiva di Marco Destro, allora agli esordi, che si esibì cantando la sigla de La fabbrica dei mostri. Un dettaglio che, riletto oggi, conferma come Game Boat al circo non fosse soltanto un’appendice del contenitore quotidiano, ma un luogo di passaggio e sperimentazione, capace di intrecciare animazione, musica e spettacolo dal vivo.
L’eredità di Game Boat
L’eredità di Game Boat va cercata nella sua normalità quotidiana, non in un’aura mitizzata. Andava in onda dopo il telegiornale, in una fascia precisa e concreta del pomeriggio, quando la televisione generalista faceva ancora da collante tra mondi diversi: bambini che avevano appena finito i compiti per casa, la presenza rassicurante delle mamme, una routine condivisa che scandiva il tempo. Game Boat non interrompeva il flusso della giornata, lo proseguiva, diventando parte dell’arredamento emotivo di chi lo seguiva.
Non era un programma “evento” e non cercava di esserlo. Proprio per questo riuscì a lasciare un segno profondo. Il suo sottomarino immaginario, la voce familiare di Pietro Ubaldi, la Sala Macchine che borbottava fuori campo, i cartoni che cambiavano ma tornavano sempre alla stessa ora, costruivano un senso di continuità oggi quasi impossibile da replicare. Anche le sue imperfezioni – adattamenti forzati, repliche, soluzioni di palinsesto evidenti – facevano parte di un linguaggio televisivo artigianale, in cui si percepiva ancora la mano umana dietro le scelte.
Game Boat è stato uno degli ultimi contenitori per ragazzi a vivere pienamente dentro la televisione generalista, prima che l’offerta si frammentasse, prima che l’infanzia televisiva diventasse individuale, personalizzata, solitaria. Rivederlo oggi non significa solo ricordare Sailor Moon o un cartone in particolare, ma riconoscere un tempo in cui la tv non chiedeva di essere recuperata, cercata o selezionata: c’era, ogni giorno, alla stessa ora. E bastava questo.


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