Anime satellitari: la primissima invasione giapponese sulla pay tv

Viaggio filologico e nostalgico nelle trasmissioni anime che hanno animato Telepiù, Stream, Sky e... i canali stranieri!

Alla fine degli anni Novanta la pay-tv italiana era un cantiere. Telepiù e Stream stavano costruendo un modo nuovo di intendere la televisione: non più un unico flusso generalista, ma un arcipelago di canali “a tema” in cui ogni nicchia poteva diventare un pubblico fedele. In quel momento l’animazione giapponese trovò un varco perfetto. Non arrivò come invasione rumorosa, ma come corrente sotterranea: qualche film in seconda serata, poi una fascia fissa qui e là, quindi contenitori riconoscibili, infine canali quasi esclusivamente dedicati. È proprio questa crescita a rendere il periodo 1998-2010 così unico. Il satellite non si limitò a trasmettere anime: li organizzò in un percorso culturale che passava dall’autorevole cinema cyberpunk ai blockbuster per famiglie, dagli OAV “impronunciabili” alle serie shōnen quotidiane, fino alla nascita di reti-cult come ITT, GXT e Cultoon/Cooltoon. Per una generazione di ragazzi italiani, accendere il decoder significò scoprire un Giappone animato che il chiaro non poteva (o non voleva) mostrare. Questo nostro dossier segue si pone come scopo proporre contestualmente ricostruzioni di palinsesto e memoria editoriale, senza mitizzare, ma restituendo la temperatura reale di quegli anni.

Telepiù: l’innesco adulto tra Akira e Ghost in the Shell

La prima scintilla non fu pop, ma autoriale. Attorno al 1998 Telepiù cominciò a far circolare in fascia serale o notturna titoli-monumento come Akira e Ghost in the Shell, opere già mitiche su VHS ma ancora “fuori standard” per la tv italiana. Non è semplice oggi fissare un giorno preciso senza i palinsesti cartacei originali, perché quelle proiezioni venivano spesso spostate dentro i canali cinema del bouquet, però il senso storico è chiarissimo: il satellite fu il primo spazio televisivo italiano a trattare questi film come cinema d’animazione per adulti, e non come “cartoni”. Quel passaggio cambiò la percezione di molti spettatori, aprendo l’idea che l’anime potesse essere distopia politica, filosofia tecnologica, violenza simbolica. Fu la notte satellitare a insegnare che l’animazione giapponese poteva parlare la stessa lingua del cinema d’autore.

I film di Pokémon e Digimon

Dopo l’innesco d’élite arrivò l’onda popolare. Tra 2000 e 2002 Telepiù mise in rotazione i film di Pokémon e Digimon, cavalcando un entusiasmo che in chiaro esplodeva già su Italia 1. La memoria dei palinsesti d’epoca e dei fan colloca questi passaggi soprattutto nei canali ragazzi del bouquet, con finestre ripetute che trasformavano i film in piccoli eventi domestici. La distinzione fra “Telepiù Bianco” e “Telepiù Nero” resta scivolosa perché la programmazione oscillava: Bianco era più family-oriented, Nero più cinema-centrico, e i film potevano migrare a seconda delle settimane. Ma il dato importante è un altro: Telepiù capì che gli anime per famiglie erano un asset strategico e potevano far sentire la pay-tv “più avanti” del terrestre, quasi un anticipo di ciò che il pubblico avrebbe desiderato vedere sempre.

MTV e il rito di Anime Night

Se esiste un simbolo televisivo di quell’epoca, è Anime Night di MTV Italia, canale incluso prima in Telepiù e poi in Sky. Lo spazio nasce il 21 ottobre 1999 in prima serata e dal 3 ottobre 2000 si stabilizza ogni martedì alle 21, diventando ufficialmente “Anime Night” nell’autunno 2002. La formula era quasi liturgica: tre slot a puntata, spesso prime visioni tv o repliche filologiche di serie poco rispettate in chiaro, con un’attenzione insolita all’integrità dell’opera e avvisi di fascia. In quel contenitore passarono anime-pilastro come Cowboy Bebop, Evangelion, Trigun, Inuyasha, GTO, Fullmetal Alchemist, Death Note e tante altre prime visioni che oggi sembrano ovvie, ma allora erano un colpo di genio editoriale. Anime Night non fu solo un programma: fu il momento in cui l’anime smise definitivamente di essere “roba da bambini” nel discorso mediatico italiano.

La7 tra 2001 e 2002: il tentativo di palinsesto giovanile

Fra il 2001 e il 2002 La7 era un canale completamente diverso da quello che conosciamo oggi. Non aveva ancora sviluppato l’identità politica, giornalistica e istituzionale che l’avrebbe resa, negli anni successivi, un punto di riferimento dell’informazione italiana. All’epoca era, piuttosto, una rete in cerca di sé stessa, sospesa fra progetti giovanili, sperimentazioni editoriali e un posizionamento incerto tra intrattenimento e cultura. In questo contesto la sua appartenenza al circuito Telepiù – e in seguito il passaggio nel bouquet Sky – la trasformò in una specie di “Italia 1 alternativa”, più audace, più disordinata e più incline a scommettere su prodotti vicini alla sensibilità teen del tempo. Premettiamo comunqeu che il canale, seppur conq ualche difficoltà, era già all’epoca visibile anche in chiaro.

Ad ogni modo, fu proprio in quella fase di transizione che La7 ospitò un piccolo ma significativo nucleo di anime oggi ricordati con un’affezione particolarissima. Yu Yu Hakusho, con il suo mix di combattimento, spiritualità, ironia e tensione sovrannaturale, rappresentava per molti ragazzi una ventata d’azione moderna, dalla struttura narrativa più serrata rispetto ai classici anni Ottanta. Daitarn 3, al contrario, era il ponte con la memoria televisiva precedente: un super robot dal carisma sintetico e senza tempo, riproposto in modo finalmente ordinato, con un nuovo doppiaggio e con trasmissioni curate e meno frammentate rispetto al trattamento discontinuo che spesso aveva ricevuto sulle tv locali. Street Fighter II Victory completava il quadro con il suo immaginario urbano, le atmosfere da action metropolitano e il fascino delle arti marziali animate, diventando uno dei titoli più seguiti dal pubblico maschile dell’epoca.

La programmazione di questi anime su La7 non fu un semplice riempitivo di palinsesto, ma un vero tentativo di intercettare un pubblico affamato di animazione giapponese moderna o rinata. Era come se La7 volesse ritagliarsi uno spazio proprio, diverso da Italia 1 ma parallelo nelle intenzioni: una finestra “giovane”, irriverente, laterale, capace di parlare a quella generazione cresciuta con i robottoni ma pronta a storie più mature, più veloci, più internazionali. Il satellite amplificò questa vocazione: chi aveva Telepiù e poi Sky percepiva La7 come un canale privilegiato, un posto dove l’anime poteva arrivare anche senza il filtro delle grandi reti commerciali. Era un’esperienza nuova, quasi una promessa di modernità culturale che oggi sembra lontanissima dall’identità politica attuale della rete.

La7, in quel biennio, fu insomma un tassello fondamentale dell’ecosistema anime satellitare: un canale di passaggio, di sperimentazione, di tentativi e di intuizioni, dove i ragazzi trovavano storie che il chiaro non trattava più con la stessa attenzione. Un laboratorio giovane, un seme mai completamente germogliato, ma di importanza enorme per chi, in quei due anni, scoprì Yu Yu Hakusho, ritrovò Daitarn 3 o si innamorò delle atmosfere di Street Fighter II Victory. Era la prova che anche la tv generalista, quando si muoveva all’interno del circuito pay, poteva diventare improvvisamente audace.

Canal Jimmy e il ritorno quotidiano di Saint Seiya

Nel 2002 Canal Jimmy, dentro l’universo satellitare Telepiù/Sky, diventa un’altra tappa fondamentale: proprio qui I Cavalieri dello Zodiaco tornano a una programmazione regolare, quotidiana, quasi di “affezione”, offrendo finalmente una fruizione seriale più ordinata rispetto ai ripetuti rimaneggiamenti del chiaro. Jimmy era un canale “di passaggio” ma con gusto esplorativo: accanto al grande classico, aprì spazio a titoli più spigolosi e meno compatibili con la tv generalista, costruendo per molti ragazzi il ponte perfetto fra nostalgia anni ’90 e curiosità da collezionisti. Sullo stesso canale approdarono una serie di OAV e produzioni “da nicchia adulta” che circolavano pochissimo altrove: Yōko Cacciatrice di Demoni, Gal Force, La Blue Girl, La regina dei mille anni, Appleseed, gli OAV di Darkstalkers e Guerriere Sailor Venus Five, parodia erotica di Sailor Moon in cui cinque ragazzine vengono reclutate dalla dea Afrodite per difendere la Terra dal perfido Necros. Con Canal Jimmy Telepiù esercitò la sua funzione più radicale: fare da “zona franca” dove l’anime poteva essere anche trasgressione, sperimentazione, mercato OAV anni ’90, senza passare dal filtro moralista del pomeriggio. La pay-tv fu, in quegli anni, il rifugio degli anime proibiti.

Fox Kids tra Teknoman, Super Pig e oltre

Nei primi Duemila Fox Kids, canale per ragazzi a pagamento, si impose come una delle principali vie d’accesso quotidiane agli anime “ibridati” dal mercato americano. La linea editoriale puntava su action e avventura e privilegiava serie in cui il DNA nipponico appariva a sprazzi e, quasi sempre mediato dal packaging occidentale: Teknoman (adattamento USA di Tekkaman Blade) e Super Pig diventano volti familiari del pomeriggio satellitare. La scelta di Fox Kids fu importante proprio perché normalizzò l’anime nel flusso giornaliero, rendendolo parte dell’abitudine televisiva e non più eccezione notturna. Sempre in quel periodo Fox Kids dimostrò una sorprendente sensibilità verso quella fascia di animazione “di confine” che metteva in dialogo Giappone, Stati Uniti ed Europa. Il canale propose infatti anche produzioni ibride dal forte valore sperimentale. Tra queste spiccavano Transformers: Robots in Disguise e Transformers Armada, la prima giapponese la seconda coproduzione tra USA e Giappone. Queste due serie vengono ricordate in quanto aggiornavano l’estetica robotica classica con un dinamismo narrativo tutto orientale: trasformazioni più fluide, character design più complessi e conflitti raccontati con l’intensità tipica degli shōnen d’azione.

Nello stesso periodo trovò spazio anche la coproduzione franco-nipponica Sophie & Vivienne – Due sorelle, un’avventura, una serie dolce, commovente, drammatica e avventurosa ambientata in gran parte in Africa, che mescolava sensibilità europee, eleganza francese e un tocco di animazione giapponese nelle espressioni e nelle coreografie emotive. Era un titolo che parlava di infanzia, lutto, dolore e crescita con un calore quasi “europeo”, ma possedeva quella delicatezza visiva tipica dei prodotti nipponici dei primi anni ’90 e 2000. Da ricordare Una sirenetta innamorata, ennesima riproposizione a cartone animato del classico di Hans Christian Andersen. Per molti spettatori fu l’inizio dei primi contatti con il mondo dell’animazione franco-nipponica, ponte ideale verso le coproduzioni successive come Oban Star Racers.

Non mancavano poi i recuperi cult: Fox Kids dedicò spazio anche a serie come Samurai Pizza Cats, vero e proprio oggetto di culto del periodo d’oro delle tv locali italiane. Riproporlo sul satellite significava riportare in vita un pezzo di anime comico-demenziale che aveva segnato l’immaginario di un’intera generazione. Il suo umorismo meta-televisivo, le sue battute surreali e la velocità frenetica delle sequenze d’azione risultavano perfette per il tono scanzonato di Fox Kids. In quel recupero si percepiva la volontà del canale di costruire non solo un palinsesto per ragazzi, ma una piccola mitologia condivisa fra passato e presente dell’animazione.

Sushi Time: “Le migliori emozioni dal Giappone”

Il 2003 è l’anno-chiave della strategia Fox Kids: nasce Sushi Time, contenitore annunciato come “Le migliori emozioni dal Giappone”, una specie di piccolo festival fisso del pomeriggio. La memoria dei palinsesti lo colloca come spazio riconoscibile che metteva insieme Super Pig, Saint Seiya, Flint a spasso nel tempo e Shinzo, un mix studiato per sommare cult già amati e avventure considerate “nuove” dal pubblico italiano. La forza di Sushi Time stava nell’identità: non più singoli anime sparsi, ma un’etichetta-ombrello che diceva apertamente: “Qui dentro c’è il Giappone”.

Fox Kids Late Night e Ulisse 31

Nel 2004 Fox Kids sperimentò una fascia più tarda, ricordata come Fox Kids Late Night, dove finì Ulisse 31 in seconda serata. Non era un titolo giapponese al 100%, ma un altro classico franco-nipponico che, trasmesso di notte, dava l’idea di un palinsesto cresciuto insieme al suo pubblico: chi seguiva Fox Kids di giorno poteva trovare “il cartone da grandi” la sera, in un continuum che il chiaro non costruiva più.

Oban Star Racers e la coproduzione che anticipa il futuro

Sempre nel 2004 Fox Kids inserì Oban Star Racers, ennesima coproduzione franco-giapponese di grande raffinatezza visiva. La sua presenza in pay-tv dice molto del satellite come laboratorio: Oban era un anime “globale” prima che la globalizzazione dell’animazione diventasse normale, e il satellite era il luogo naturale dove far attecchire questi esperimenti senza la pressione degli ascolti generalisti.

L’arrivo di Ultimate Muscle

Nel 2005, mentre l’Italia viveva una vera e propria “wrestle-mania” dovuta al boom televisivo della WWE su Italia 1, Fox Kids intercettò con grande lucidità questa ondata proponendo un titolo che univa mondo del ring e tradizione anime: Ultimate Muscle, versione occidentale della serie giapponese Kinnikuman Nisei. Fu un colpo editoriale notevole, perché Ultimate Muscle rappresentava all’epoca l’unica incarnazione del franchise Kinnikuman mai arrivata in Italia, una saga che in Giappone aveva radici profonde nel manga degli anni Ottanta e una popolarità ininterrotta da generazioni. Il suo arrivo su Fox Kids rispose esattamente alla sensibilità del pubblico maschile del tempo: un misto di comicità parodica, combattimenti spettacolari e il fascino esagerato di un wrestling reinventato attraverso il filtro surreale dell’animazione nipponica.

Il fatto che la serie fosse stata scelta proprio nel 2005 non è un caso: Fox Kids stava capendo perfettamente come parlare alla fascia teen pre-Jetix, mescolando cultura pop americana e anime d’azione giapponesi, offrendo una televisione “ibrida” e riconoscibile. Ultimate Muscle divenne rapidamente uno dei titoli più ricordati del periodo, anche perché, curiosamente, rimase per anni l’unica finestra italiana aperta sul mondo di Kinnikuman. Solo nel 2024, con enorme ritardo rispetto al resto del mondo, un’altra serie del franchise – Kinnikuman Perfect Origin Hen – è finalmente approdata su Netflix, permettendo agli spettatori italiani di riscoprire un universo che Fox Kids aveva introdotto quando nessun’altra emittente ne intuiva ancora il potenziale.

Shaman King e Bobobo su Jetix

Con la fine del ciclo vitale di Fox Kids nel 2006, si fece largo un nuovo canale prodotto (in parte) da Disney: Jetix. Questa nuova realtà mediatica trasmise lo stesso anno ( a settembre) la prima tranche della serie Shaman King del 2001, già vista l’anno prima su Italia 1. La seconda parte arrivò nel 2008. A differenza di Fox Kids, Jetix cercava di inttrattenere il pubblico teen con titoli d’avventura ancora molto richiesti. Nel 2007 Jetix tentò un nuovo affondo nel panorama anime con una delle serie più eccentriche, surreali e imprevedibili mai arrivate in Italia: Bobobo-bo Bo-bobo. Proveniente da un manga già considerato “fuori scala” perfino in Giappone, l’anime approdò sul canale con un doppiaggio volutamente sopra le righe, in linea con l’umorismo demenziale e caotico dell’opera originale. A differenza di altri titoli più lineari, Bobobo fu percepito come una ventata di follia necessaria in un palinsesto che stava gradualmente abbandonando la vena infantile dell’oramai defunto Fox Kids. Il pubblico giovane reagì con entusiasmo inaspettato: nel 2007 il successo fu abbastanza significativo da spingere Planeta DeAgostini a pubblicare il manga in Italia, intuendone il potenziale cult e il magnetismo comico presso un pubblico affamato di prodotti atipici rispetto ai classici shōnen di combattimento.

Tuttavia quella luminosità fu breve. Come spesso accadeva alle serie “borderline” dell’epoca, prive di un sostegno mainstream che solo un canale in chiaro di primi livello può dare, Bobobo-bo Bo-bobo scivolò rapidamente fuori dai radar. Il fatto di essere stato sempre confinato su Jetix e mai proposto nei palinsesti pomeridiani di un canale free, e l’esaurimento della pubblicazione cartacea resero il titolo un piccolo oggetto misterioso della memoria otaku italiana: amatissimo per un frammento di tempo, poi scomparso nel buio del satellite. Oggi l’anime è quasi introvabile in italiano, un reperto sfuggente di quella stagione in cui Jetix tentava ancora di sorprendere e divertire con scelte editoriali rischiose, prima dell’allineamento totale ai format più globali del panorama ragazzi.

Jetix e la ripresa dei Pokémon

Dopo anni in cui il franchise Pokémon era stato dominato dal canale terrestre Mediaset (in particolare su Italia 1) con le prime stagioni, nel 2009 Jetix fece un passo decisivo: il 30 marzo dello stesso anno la rete satellitare annunciò che avrebbe trasmesso in esclusiva in Italia la 11ª stagione del cartone, Pokémon Diamante e Perla: Battle Dimension, segnando il passaggio dei Pokémon dalla tv commerciale generalista a un canale a pagamento più “di nicchia”. In parallelo, l’11 aprile 2009 Jetix trasmise in prima visione televisiva italiana il lungometraggio Pokémon: Giratina e il Guerriero dei Cieli, dedicato alla generazione Diamante & Perla. Questo doppio movimento – nuova stagione + film evento – aprì una nuova era per l’anime Pokémon in Italia: non più soltanto repliche del passato, ma contenuti freschi, in linea con la programmazione internazionale, e destinati a un pubblico abbonato. Il fatto che Mediaset non avesse rinnovato i diritti sul franchise permise a Jetix di inserirsi nel ruolo di nuovo “canale di riferimento” per i fan italiani dei Pokémon, consolidando la percezione che la pay-tv fosse ormai l’habitat naturale per il brand più potente dell’animazione giapponese per ragazzi.

Cartoon Network e la “mini-rivoluzione” nipponica

Cartoon Network Italia, patria dell’animazione USA, cominciò nel 2004 a ospitare anime in modo più stabile: arrivarono Duel Masters. Il satellite diventava, ancora una volta, campo prova per titoli destinati a “graduarsi” nel digitale terrestre. Nel 2006 fu la volta della prima stagione di B-Daman, poi passata in chiaro su Italia 1 nell’estate dello stesso anno. Dal 2007 il canale si aprì di più: School Rumble in autunno mostrò al pubblico una commedia scolastica lontana dai soliti format di combattimento, e nel 2008 seguirono Zatch Bell (interrotto in Italia), Full Metal Alchemist, Paradise Kiss, Dream Team (anime calcistico ricordato per il doppiaggio italiano “atipico” nel suo primo passaggio), Keroro e l’oramai introvabile Happy Lucky Bikkuriman. In quegli anni Cartoon Network capì che l’anime era un linguaggio capace di rinnovare il brand, non solo un riempitivo esotico.

ITT: il primo canale italiano specializzato in anime

Nel 2003 Sky e Mediaset avviarono la joint venture che innescò il progetto più ambizioso dell’epoca: Italian Teen Television (ITT), canale tematico Mediaset ospitato su Sky e diretto da Carlo Vetrugno. ITT fu prima archivio e poi scoperta: riportò in tv grandi serie già amate su Italia 1 (Dragon Ball, Dragon Ball Z, GT, One Piece, Creamy, Evelyn), rilanciò l’universo CLAMP con repliche filologiche di Rayearth e Card Captor Sakura e propose anche l’inedito Clamp School Detectives. Non solo quest’ultimo, a fare la differenza anche altre serie inedite assolute mai passate in chiaro: Nurse Angel Ririka, A Baby and I, Eto Ranger; solo Let’s & Go – Sulle ali di un turbo ebbe poi una finestra su Italia 1. ITT diventò anche una piccola “fabbrica di casa” con programmi come Mangaus, BandIt! e Dance It, ricordati come un revival spirituale dei contenitori Mediaset anni ’90, ma stavolta più in chiave otaku. Le ricostruzioni e i ricordi dei fan indicano diversi volti giovani alla conduzione, fra cui Sara Strambini, Gabriella Capizzi, Mirko Cattaneo, Dino Lanaro, Jennipher Smith, Valentina Melis, Elisa Alloro ed Enrica Piccinin, con un turnover tipico dei programmi-contenitore. ITT fu un atto d’amore industriale verso l’anime: non solo trasmettere, ma costruire una comunità.

GXT, anime e wrestling nello stesso respiro

Nello stesso ecosistema Sky cresce GXT, canale teen nato il 1° maggio 2005 con identità irriverente e ibrida. L’idea era semplice e micidiale: unire le due grandi passioni degli adolescenti del periodo, wrestling e anime, in un palinsesto “adrenalina continua”. I titoli nipponici, spesso da cataloghi Yamato e Dynamic, includevano Burn Up Excess, X-1999, DNA², City Hunter, Burst Angel, Saiyuki, Ranma ½, Inuyasha, Slam Dunk e ancora Saint Seiya, con una programmazione percepita come più libera dalle censure. Da segnalare anch la trasmissione di Desert Punk, anime passato su Cooltoon qualche anno dopo. Per un breve periodo GXT fu il posto dove l’anime d’azione sembrava parlare la stessa lingua dello spettacolo sportivo americano. L’esperimento durò poco nella sua forma “anime-centrica” più forte, poi il canale virò verso l’intrattenimento trash Made in USA, ma restò una tappa fondamentale per chi cercava animazione d’azione fuori dai circuiti tradizionali.

Cultoon/Cooltoon, dalla nostalgia agli anime moderni

Nel 2007 nasce Cultoon, rete ideata da Dabid Bouchier, pensata come videoteca nostalgica dell’animazione di culto, giapponese e non, con una programmazione adulta ma affettuosamente retrò. E quell’esperimento ebbe success: da He-Man a Gordian, da Bavestarr a Ranma, da Fat Albert a Fantaman, il canale diventa un vero e proprio gioiellino per gli appassionati dei cartoni, occidentali o giapponesi che fossero, dei bei tempi andati, entrati oramai nell’immaginario di più generazioni. Nel 2008 il canale cambia nome in Cooltoon e tenta un salto: restare nostalgico ma diventare “hub dell’anime moderno”, aggiungendo serie più recenti come Inuyasha, Dai-Guard, Great Teacher Onizuka, Najica Blitz Tactics e altri titoli d’azione anni Novanta e Duemila. La strategia non regge sul lungo periodo: Cooltoon diventa sempre più un loop di repliche fino alla chiusura del 1° aprile 2011. Resta, però, l’idea meravigliosa che il satellite potesse essere anche “televisione-museo”, un 24/7 di memorie animate.

Gay TV nel 2003: l’incursione inattesa dei cartoni

Fra i canali più inattesi del panorama satellitare primi Duemila c’era Gay TV, rete tematica nata come spazio dedicato alla comunità LGBTQ+ italiana ma che nel 2003, in un momento di riposizionamento editoriale, decise di aprire una finestra sorprendente sull’animazione giapponese. In un contesto televisivo ancora in fierissima evoluzione, in cui le identità dei canali non erano rigide come sarebbero diventate negli anni successivi, Gay TV sperimentò un palinsesto pomeridiano serale in cui trovavano spazio alcuni anime di culto dal valore quasi “iconico”. La scelta aveva una sua coerenza più profonda di quanto potesse apparire superficialmente: l’estetica melodrammatica, sensibile, a volte apertamente gender-fluid di molti anime anni ’80-’90 dialogava in modo naturale con un pubblico abituato a linguaggi espressivi più liberi e stratificati.

Fra i titoli trasmessi spiccava Saint Seiya, proposto in blocchi regolari che riportavano il mitico shōnen nel circuito pay-tv dopo la messa in onda storica su Italia 7, Euro TV, Junior TV e Italia 1. Era un ritorno dal sapore quasi rituale: i Cavalieri avevano un’aura eroica e androgina che, proprio in un contesto come Gay TV, assumeva una leggibilità nuova, più vicina alla sensibilità estetica queer che riconosceva in quel character design elegante e nelle dinamiche tra i personaggi un linguaggio affettivo nascosto. A fianco dei Cavalieri venne proposto anche Caro Fratello (Oniisama e…), la serie capolavoro di Riyoko Ikeda, anima più complessa del filone shōjo: un’opera che parlava di amicizia, ossessione, ambiguità, potere e identità femminili attraverso un tratto sofisticato e un dramma psicologico di rara intensità. Non è difficile immaginare perché Gay TV la scelse: era uno degli anime più significativi del melodramma giapponese, con una costruzione emotiva che toccava temi di identità e relazione molto affini alla sensibilità del canale.

L’incursione si completava con una rarità assoluta: il lungometraggio live-action di Lady Oscar, la trasposizione cinematografica franco-jap del 1979 diretta da Jacques Demy. Che un film del genere – ibrido, stilizzato, oggi quasi invisibile – trovasse spazio nel palinsesto di Gay TV dice moltissimo su quella stagione del satellite. La rete stava sperimentando un linguaggio televisivo nuovo, che intrecciava cultura pop, mito giapponese e sensibilità queer. Era una scelta audace e visionaria, destinata a restare nella memoria di quei telespettatori che, nel 2003, si trovarono all’improvviso davanti a un bouquet di anime e live-action che nessun’altra rete, né satellitare né terrestre, avrebbe mai proposto in quella forma.

La parentesi anime di Gay TV fu breve ma intensissima, e oggi rappresenta una sorta di “scheggia impazzita” nella storia dell’animazione giapponese in Italia: un momento in cui il satellite mostrò tutta la sua straordinaria capacità di accogliere esperimenti editoriali radicali, lontani da ogni logica commerciale, nutriti solo da intuizioni culturali e desiderio di proporre qualcosa di diverso. Fu una delle prove più affascinanti che l’anime, nel contesto giusto, sa parlare a pubblici molto diversi, rivelando lati nuovi di sé.

Rai Sat Smash, Nickelodeon, Jim Jam, Telepace e TBNE

Accanto ai grandi progetti Sky, esisteva un arcipelago minore ma prezioso. Rai Sat Smash tra 2006 e 2007 ospitò titoli come Tweeny Witches, aprendo una micro-finestra anime in casa Rai. Nel 2006 Nickelodeon aggiunse un tassello curioso e sorprendente alla sua programmazione con Kappa Mikey, una serie statunitense che non era affatto un anime, ma che degli anime faceva una caricatura brillante, piena di citazioni, e perfino affettuosa. In un periodo in cui l’animazione giapponese aveva già conquistato buona parte dell’immaginario giovanile, Kappa Mikey giocava apertamente con gli stereotipi del genere: gli occhi enormi, le reazioni esasperate, i fondali statici, le transizioni “a raggi di luce”, i duelli iperbolici e quel modo tipicamente nipponico di costruire la comicità attraverso il paradosso visivo.

La serie raccontava le avventure di un attore americano catapultato in un Giappone televisivo immaginario, trasformato in superstar all’interno di un programma che parodiava gli shōnen più celebri. Il contrasto fra Mikey, disegnato con uno stile occidentale “piatto”, e tutti gli altri personaggi, animati nello stile anime, era il vero motore comico della serie. Era un gioco metatestuale che rifletteva, in modo leggero ma lucidissimo, la crescente popolarità della cultura otaku nel mondo occidentale.

Per Nickelodeon, l’arrivo di Kappa Mikey fu una dichiarazione programmatica: pur essendo un canale profondamente americano, non poteva più ignorare la forza culturale dell’anime. La scelta di inserire in palinsesto una serie che “prendeva in giro” gli anime dimostrava che il fenomeno era ormai pienamente assorbito dalla televisione globale, al punto da diventare oggetto di satira e omaggio contemporaneamente. In quel 2006, sulle frequenze del satellite italiano, fu un segnale chiaro: anche i canali che non programmavano anime direttamente ne riconoscevano ormai il potere iconografico. Nel 2007 il canale propose anche Mix Master, serie coreana in stile “duello di carte” che rifletteva l’eco di Yu-Gi-Oh!. Jim Jam recuperò Tao Tao fra 2006 e 2007, dimostrando che anche la tv prescolare poteva importare animazione asiatica. Qualche anno prima, nel 2002, Telepace trasmise prodotti come La signora Minù e Bun Bun, mentre nel 2003 TBNE trasmise Superbook, anime biblico-educativo che raccontava Antico e Nuovo Testamento attraverso due ragazzini e un robot guida: un esempio quasi unico di “anime catechistico” su emittente religiosa italiana. Questo sottobosco satellitare non era quantitativamente enorme, ma era culturalmente significativo: mostrava che l’anime stava penetrando ovunque, anche nei luoghi più inaspettati e non finisce qui…

Piemonte Sat nel 2003: l’arrivo di Ken il guerriero

Nella grande costellazione dei canali satellitari primi Duemila, accanto ai colossi nazionali e ai brand internazionali, esisteva anche un’area più piccola ma sorprendente: quella delle emittenti regionali che, grazie agli slot satellitari su Hotbird, riuscivano a raggiungere un pubblico ben più ampio del proprio territorio locale. Tra queste spiccava Piemonte Sat, canale regionale piemontese che nei primi anni 2000 sfruttò la diffusione satellitare per proporre un palinsesto ibrido fatto di produzioni locali, intrattenimento leggero, rubriche tecniche e, in modo del tutto inaspettato, anche serie animate giapponesi cult.

Nel 2003 Piemonte Sat diventò infatti un piccolo fenomeno nella community otaku italiana grazie alla trasmissione di Ken il Guerriero. A differenza delle repliche intermittenti su alcune tv locali – spesso in orari scomodi, con copie mal conservate o tagli di montaggio – Piemonte Sat offrì una versione più stabile, con programmazione regolare e qualità d’immagine sorprendentemente buona per gli standard delle tv regionali del periodo. La scelta di Hokuto no Ken non era casuale: il pubblico satellitare dell’epoca era formato da adolescenti e giovani adulti cresciuti negli anni ’90, che consideravano Ken un’icona assoluta, un personaggio mitologico sospeso tra filosofia post-apocalittica e testosterone animato.

L’arrivo su Piemonte Sat fu percepito come un regalo inatteso. I forum del periodo – vere miniere di memorie digitali – testimoniano l’entusiasmo di chi scopriva che, anche senza abbonamenti costosi, grazie alla parabola era possibile ritrovare Kenshiro in una versione più integra rispetto alle edizioni “tagliate” del terrestre. Era uno di quei momenti in cui il satellite dimostrava tutta la sua natura anarchica e creativa: non solo grandi canali, ma anche piccole reti che potevano, con una scelta brillante, diventare improvvisamente rilevanti per un pubblico di nicchia ma appassionatissimo.

Piemonte Sat, in quel 2003, rappresentò quindi un frammento prezioso dell’ecosistema anime dell’epoca: un’emittente laterale, marginale rispetto a un colosso come Sky, ma capace di offrire una finestra alternativa su un classico intramontabile. Per molti telespettatori fu un ritorno alle radici dell’animazione giapponese arrivata in Italia negli anni ’80, una sorta di madeleine nostalgica resa possibile solo dal caos creativo del satellite dei primi anni Duemila.

AXN e l’esperimento Animax

Nel 2008 AXN, canale Sony su Sky, avviò una fascia Animax per testare il pubblico italiano in vista di un possibile lancio dedicato. La programmazione includeva titoli come Planetes, Cowboy Bebop, .hack//SIGN e Noein, trasmessi prevalentemente in fasce notturne. Per gli appassionati fu un altro segnale di maturità del mercato: l’anime non era più “ospite”, ma potenziale asse di canale. Pare inoltre che in Italia il canale Animax arrivò “ridotto” a contenitore perché Sky preferì la creazione di Cooltoon, ma sono solo dicerie.

DeAKids: De Agostini e l’occasione mancata

Quando nel 2009 De Agostini lanciò DeAKids, molti appassionati di animazione giapponese sperarono fosse in arrivo un canale specializzato, moderno e potente. In realtà il canale si rivelò un passo indietro rispetto ai grandi esperimenti degli anni precedenti: la programmazione anime fu residuale, ripetitiva e sporadica, quasi un appoggio alle rubriche giovanili e non un progetto serio di animazione tematica.

Il bouquet di titoli fu sorprendentemente limitato. Fra i più presenti si annoveravano Alice Academy, Sugarbunnies, Detective Conan (ma solo i primissimi episodi), Ransie la strega, L’incantevole Creamy e le prime due stagioni di Magica Doremì. Tutti titoli di buon livello, ma sparsi, senza continuità, senza una curatela che li collocasse dentro un percorso riconoscibile per il pubblico appassionato.

In parallelo, DeAKids propose anche una produzione sud-coreana, Z‑Girls (nota in originale come The Fairies of Crystals Z–Squad), realizzata nel 2006 con animazione 3D e attiva in mercati asiatici. L’inserimento della serie può essere letto come un tentativo di diversificazione, ma il risultato fu l’impressione di un catalogo anime “di servizio”, poco coraggioso e poco valorizzato editorialmente.

Alla fine, DeAKids appare come un canale che non seppe raccogliere l’eredità editoriale di Fox Kids, Jetix, ITT e gli altri: parte di un ecosistema che negli anni Duemila aveva vissuto una stagione di libertà e sperimentazione, ma che con l’avvento di nuovi modelli si richiuse. L’anime su DeAKids non viveva: replicava, risputava, si riciclava. E per molti fan fu un dispetto più che una speranza: quel pubblico che aveva vissuto l’ondata satellitare degli anime rimase con la sensazione di una occasione mancata.

Il satellite straniero: RTL II, Mangas e AB1 come “finestre segrete”

Uno degli aspetti più romantici di quell’epoca è la caccia ai canali esteri. Chi aveva decoder più elasticamente configurati intercettava reti tedesche o francesi che vivevano l’anime come palinsesto naturale. RTL II in Germania, dentro spazi come B-TV, proponeva un flusso quotidiano con Monster Rancher, Power Stone, Kamikaze Kaitou Jeanne, Wedding Peach, Flint, Pokémon, Digimon e altro. In Francia Mangas – del gruppo AB Sat, oggi Bis TV – era (ed è tuttora) un’istituzione: un canale interamente costruito sul Giappone animato, con maratone di shōnen, robotici, romantici e thriller. Mangas poteva inoltre contare sull’immenso reertorio animato del leggendario contenitore Club Dorothee, trasmettendo così serie divenute cult anche in Italia come Marx (Orange Road), Juiette je t’aime (Maison Ikkoku), Ranma, Vanessa et la magie des rêves (Evelyn e la magia di un sogno d’amore), Nicky Larson (City Hunter) ecc. AB1 completava il quadro con serie come Blue Seed ed Escaflowne. Questo “satellite nel satellite” fece scuola: era un’università parallela per fan italiani che imparavano titoli, sigle e perfino il lessico francese o tedesco degli anime. La cosa bella è che AB Sat, prima di diventare Bis TV, era tranquillamente ricevibile dall’Italia tramite opportuno abbonamento, rendendo il mosaico animato del satellite qualcosa di incredibilmente esclusivo e ricco per gli standard dell’epoca!

XXP: la notte cyberpunk di Bubblegum Crisis che inaugurò il 2002

Nel vasto panorama dei canali esteri captabili via parabola dai primi anni Duemila, pochi ebbero un fascino “underground” quanto XXP, emittente tedesca nata il 7 maggio 2001 e controllata dal gruppo Spiegel TV / Der Spiegel, storica struttura editoriale specializzata in reportage, documentari e magazine culturali. Pur essendo percepito come canale informativo, XXP disponeva in realtà di un’identità molto più fluida e sperimentale: era una rete metropolitana, nata per raccontare l’attualità in chiave pop, con incursioni in tutto ciò che ruotava attorno alla cultura alternativa europea, dalla musica elettronica alle sottoculture urbane, fino all’animazione giapponese.

Ed è proprio in questa cornice che si colloca uno degli episodi più leggendari della storia degli anime “captati” dall’Italia tramite tv satellitare estera: nei primissimi giorni del 2002 XXP programmò una maratona notturna di Bubblegum Crisis, trasmessa a partire dalla mezzanotte. Un evento mai annunciato con grande enfasi, non registrato negli archivi pubblici del canale (che allora documentavano solo la programmazione diurna e i format giornalistici), ma rimasto scolpito nell’immaginazione di chi, in quelle notti, smanettava con la parabola alla ricerca di segnali stranieri.

La scelta di XXP non era casuale: Bubblegum Crisis, OAV cyberpunk del 1987, era l’emblema dell’estetica che la televisione europea di inizio millennio stava riscoprendo. Neon, metropoli decadenti, androidi, armature potenziate, musica synth-rock: un immaginario che dialogava perfettamente con la linea editoriale del canale, che proprio in quel periodo esplorava il confine tra cultura tecnologica, urban style e narrazioni distopiche. In Italia, quella maratona divenne quasi un mito: chi riuscì a intercettarla nella notte del 2 gennaio 2002 circa, raccontò poi l’esperienza su forum e prime community digitali come un piccolo rito iniziatico, “la notte in cui il satellite ti faceva sentire a Berlino”.

Il valore simbolico fu enorme. XXP dimostrò che l’animazione giapponese non era confinata ai canali che la programmavano regolarmente, ma poteva emergere anche dentro reti culturali, sperimentali, apparentemente lontane dal mondo anime. In un’epoca in cui Internet non forniva ancora accesso immediato agli OAV, vedere Bubblegum Crisis lineare, integrale, non interrotta e soprattutto in piena notte, diede a molti giovani italiani la sensazione di vivere un’esperienza transnazionale, sincrona, quasi clandestina. XXP chiuse poi nel 2006, inglobata nel nuovo progetto DMAX, ma quella maratona rimase come uno dei ricordi più affascinanti del satellite europeo: un frammento di cultura cyberpunk mandato in onda da un canale di informazione tedesco e captato, quasi accidentalmente, dalle parabole italiane.

Man-ga, la sintesi di tutto e la chiusura del ciclo Sky

Il 1° luglio 2010 nacque Man-ga su Sky, in collaborazione con Yamato Video. Fu la conclusione logica dell’onda: un canale interamente dedicato all’animazione giapponese, con programmazione sia di culto sia recente, spesso non censurata, talvolta in originale sottotitolato. Man-ga rimase su Sky fino al 1° luglio 2020, per rinascere come contenitore e infine tornare nel 2025 sul digitale terrestre in HbbTV, segno di una nostalgia ancora viva e di un mercato che non ha smesso di chiedere anime in tv lineare. Man-ga fu il monumento finale a dodici anni di sperimentazioni satellitari: raccoglieva la memoria di MTV, Jimmy, Fox Kids, ITT, GXT e Cooltoon, e la trasformava in una casa unica.

Perché quella stagione resta irripetibile

Guardando oggi quel periodo, la sensazione è che il satellite abbia fatto per gli anime ciò che le tv locali avevano fatto negli anni Ottanta: libertà editoriale, rischio, passione. Ma con una differenza cruciale. Le tv locali erano disperse e casuali; il satellite, invece, costruì un percorso coerente. Prima il cinema adulto notturno, poi i film-evento per famiglie, poi le serie teen curate come fenomeni culturali, poi i canali specializzati. Ogni passo preparava il successivo. Inoltre, il satellite aveva una qualità “rituale”: appuntamenti fissi, fasce serali riconoscibili, contenitori con identità visiva, promo che sembravano trailer di una tribù. Non era solo guardare anime: era vivere un palinsesto come se fosse una casa comune.
Ecco perché chi c’era se lo ricorda con un calore particolare. Non è soltanto nostalgia per i titoli, ma per il modo in cui quei titoli arrivavano: come scoperte, come tesori, come segnali di appartenenza. Quella pay-tv, oggi scomparsa o metamorfica, non ha lasciato soltanto un archivio di serie. Ha lasciato un modo di sentirsi spettatori.

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